Anche Torino ha avuto i suoi miracoli
Parlare di miracoli non è facile: infatti i miracoli veri corrispondono ad un numero decisamente inferiore a quello che invece viene spesso proposto dalle fonti non ufficiali. La Chiesa è molto cauta quando si tratta di parlare di miracolo, poiché prima di accettare per vero un fatto soprannaturale è necessario escludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, la possibile origine naturale del fenomeno riconosciuto come il prodotto dell’intervento divino.
Il nostro viaggio per le strade cittadine non poteva non avere il proprio focus nel luogo per eccellenza del miracolo: il Santuario della Consolata.
Nella primavera del 1104 un nobile di Besançon, Giovanni Ravacchio, cieco dalla nascita, ebbe in sogno un’apparizione in cui la vergine lo invitava a mettersi sulle tracce dell’icona che la raffigurava e che era andata persa sotto le rovine del vecchio santuario torinese.
Il Ravacchio venne a sapere che quella raffigurazione della Vergine – portata a Torino dall’Oriente – fu donata dal Vescovo di Vercelli, sant’Eusebio, a quello di Torino, san Massimo. Poi, quando i Longobardi distrussero la chiesa, l’icona scomparve. Il giovane Giovanni di Besançon decise quindi di mettersi in viaggio per Torino per dedicarsi alla ricerca di quell’immagine: partì con una ragazza che era al servizio della famiglia e segretamente innamorata di Giovanni. Giunti alla porte di Torino il giovane ebbe la visione della Vergine che gli indicò il luogo preciso in cui si trovava il prezioso dipinto. Contemporaneamente vide l’azzurro del cielo e il volto della sua compagna, poi l’oscurità ritornò a colmare il suo orizzonte.
Appena giunti davanti ai ruderi della chiesa di Sant’Andrea, i due si inginocchiarono a pregare e immediatamente furono imitati dai passanti: a poco a poco il gruppo si fece sempre più grande e il vescovo della città ordinò tre giorni di preghiera. Quando le preghiere cessarono, il Ravacchio indicò il punto esatto in cui si sarebbe dovuto scavare: in breve l’icona ritornò alla luce tra l’esultanza dei Torinesi. Era il 20 giugno 1104. Secondo la tradizione, dopo il ritrovamento dell’immagine, il giovane cieco riacquistò la vista.
L’incipit del miracolo del Corpus Domini può essere posto nella notte del 3 giugno 1453, quando alcuni ladri entrarono nella chiesa di Exilles e, tra gli altri beni, sottrassero l’ostensorio custodito nel tabernacolo nel cui interno era contenuta l’ostia consacrata. Celata la refurtiva in un sacco di granaglie posto su un mulo, partirono per Torino dove intendevano vendere il bottino.
Giunsero in un caldo pomeriggio estivo nella contrada Dora Grossa (oggi via Garibaldi); a quel punto accadde un fatto che la tradizione locale ha indicato come un miracolo: il mulo si bloccò sul posto e a nulla valsero i tentativi di far rialzare l’animale da parte dei ladri. Mentre la povera bestia veniva tempestata con una serie di bastonate, dai sacchi di granaglie fuoriuscirono diversi oggetti tra i quali l’ostensorio sottratto ad Exilles: miracolosamente l’oggetto cominciò a sollevarsi da terra, fino all’altezza del secondo piano delle case che circondavano la piazza. Mentre si verificava il miracolo fu avvertito il vescovo di Torino, monsignor Ludovico Romagnano, che dopo aver prelevato un ostensorio dalla cattedrale, si diresse velocemente in piazza del Grano dove si inginocchiò: intanto l’ostia, che era uscita dall’ostensorio e sospesa in aria, lentamente scese verso il basso entrando infine nel calice che monsignor Romagnano stringeva tra le mani. Al miracolo furono testimoni molte persone che senza indugi confermarono i fatti. Per ricordare l’evento straordinario fu posto nel sito un pilone commemorativo. In seguito, nel 1510, quando il pilone venne demolito, fu costruita la chiesa del Corpus Domini: opera affidata all’architetto Michele Sanmicheli. Poi, per sciogliere il voto fatto dalla Città di Torino in occasione dell’epidemia della peste (1598), nel 1603 si diede inizio alla costruzione dell’attuale basilica: il cantiere fu affidato al Vittozzi; l’unica navata termina con il maestoso altar maggiore, realizzato nel 1664 da Francesco Lanfranchi; suggestivo è l’utilizzo di marmi rossi e neri con inserti di bronzo dorato e colonne tortili.
Lasciamo il centro e superiamo il Po per salire in un luogo emblematico nella storia dei miracoli torinesi: il Monte dei Cappuccini. Qui, secondo una diffusa tradizione, nel 1640, mentre Torino era stretta d’assedio, i francesi decisero di porre su quell’altura un punto di osservazione, poiché la posizione del sito ne faceva un luogo di notevole rilevanza strategica. Nella chiesa però si erano rifugiati numerosi Torinesi, che furono travolti dalla furia nemica e uccisi senza pietà. Mentre i militari si erano abbandonati al saccheggio, uno di loro entrò nella chiesa dei Cappuccini e si diresse rapidamente verso il tabernacolo con l’intento d’impadronirsi del suo contenuto. Ma appena ne ebbe aperto lo sportellino, fu investito da una forte vampata di fuoco che gli bruciò gli abiti ustionandogli le mani ed il volto.
Così la cronaca del tempo: “Una lingua di fuoco uscita dal Santo Ciborio andò a cogliere in pieno petto l’audace e sacrilego francese da bruciargli gli abiti e la faccia. Di che spaventato gittandosi a terra gridava; Mon Dieu! Mon Dieu! Tosto la chiesa fu empita di denso fumo e fra il comune stupore cessò il vandalismo”. L’evento venne immediatamente considerato un miracolo e malgrado l’infuriare della guerra, la sua eco si diffuse rapidamente; per cercare di far luce sui fatti il Vicario Generale fece interrogare alcuni testimoni dal Tribunale dell’Inquisizione: alla fine furono raccolte prove sufficienti per confermare che dietro quella fiammata vi era qualcosa di soprannaturale.
Lasciato il Monte dei Cappuccini e raggiunto corso Casale, proseguiamo entrando nel lungo tratto costituito dal Parco Michelotti: raggiungiamo così la chiesa della Madonna del Pilone. Testimonianza di un evento miracoloso che qui si verificò nella primavera 1644. La moglie di Alessandro Molar, un commerciante torinese, si dirigeva, con la piccola figlia Margherita, al mulino che si trovava appunto nell’area in cui oggi sorge la chiesa della Madonna del Pilone. Allora in quel sito vi era un pilone (innalzato nel 1587) dedicato alla Vergine Annunziata considerata protettrice contro la furia delle acque vorticose del fiume che facevano girare con forza i meccanismi dei mulini. E fu proprio tra quei meccanismi che la figlia Margherita si infilò rincorrendo il gatto dei proprietari del mulino.
Come sempre i bambini sono del tutto incuranti del pericolo e così la piccola non si avvide dell’estrema vicinanza delle ruote meccaniche del mulino: una di queste la urtò facendola precipitare in acqua. Margherita fu trascinata dai flutti e in breve tempo scomparve alla vista della madre e di quanti avevano assistito all’incidente. Le ricerche iniziarono subito anche se la speranza di trovare Margherita ancora in vita erano molto labili. La madre disperata si gettò ai piedi dell’effigie della Vergine e cominciò a supplicarla d’intercedere in suo favore; intanto il tempo trascorreva inesorabilmente e dopo alcune ore di vane ricerche tutti si arresero. Però, inaspettatamente la bambina fu vista emergere dalla acque al centro del fiume: era come se una misteriosa e invisibile mano la sollevasse sostenendola sopra l’acqua. Margherita fu tratta in salvo da un barcaiolo che la riconsegnò alla madre piangente.
Il fatto si diffuse rapidamente a Torino e l’autorità ecclesiastica, dopo aver constatato l’autenticità dell’evento, approvò la costruzione di una chiesa dedicata alla Madonna Annunziata. Quella Madonna che, ancora oggi, la tradizione popolare chiama “del Pilone”, in ricordo del salvataggio della piccola Margherita Molar.
Fonte: Centini – Torino tra mito magia e storia –
VIENI A CONOSCERE LA NOSTRA ORGANIZZAZIONE - Clicca sui loghi qui sotto -
SE TI E' PIACIUTO L'ARTICOLO CONDIVIDILO SUL TUO SOCIAL PREFERITO
QUALCHE PICCOLO CONSIGLIO DI LETTURA