Ulisse e Polifemo
Ripropongo un articolo che scrissi nel 2011, all’età di XVII anni, leggermente modificato, apparso per la prima volta nella Musa bertoniana(*1), raccolta curata dal prof. Gabriele Ragogna docente di Lingua e Letteratura Greca e Latina al Liceo Classico “Gaspare Bertoni” di Udine
Quivi dimorava un uomo smisurato e deforme, che, solo, pasceva separatamente le greggi, e, stando in disparte, conosceva uno stile di vita senza legge, e infatti era stato reso mostruoso alla vista e non assomigliava a un uomo che mangia pane, bensì a un massiccio selvoso d’alte vette, che appare lontano dagli altri(*2).
Omero, Odissea
Questa è la descrizione di Polifemo, fratello dell’omonimo argonauta figlio di Poseidone(*3). In questa creatura si imbatte Odisseo (Ulisse), catturato insieme con alcuni compagni, in numero di dodici, da Polifemo. Il numero dodici ricorre nelle tradizioni di differenti culture ed è sovente associato ai compagni che seguono l’eroe, sia esso il Moreh ha-Tseddeq qumrânico, Gesù Cristo, Carlo Magno, re Artù o, in questo caso, Odisseo.
Nel brano sopra riportato, Polifemo viene descritto come un gigante, «un massiccio selvoso d’alte vette». Il suo essere «smisurato e deforme» contrasta apertamente con il concetto ellenico di καλοκαγαθία, di cui è emblematico il celeberrimo canone di Policleto. L’uomo deve essere bello sia esteriormente, sia interiormente, e quindi retto, non in senso moralistico o post-socratico, bensì nell’accezione pre-cristiana del termine, nel senso di giusto agli occhi della comunità, della città, della πόλις, di cui era emblema la piazza, l’ἀγορά. Ecco farsi vivo il tema aristotelico dell’uomo come “animale politico”, animale che si dedica, oltre che all’etica, anche alla vita pubblica, politica appunto, per cercare di raggiungere la felicità, vale a dire la “vita secondo ragione”. Questa concezione di uomo, di cui la πόλις non è che la rappresentazione di esso inteso come “collettività”, “società”, è in evidente contrasto con la figura del gigantesco Polifemo, il quale, «solo», «separatamente» e «stando in disparte», conduce «uno stile di vita senza legge», «lontano dagli altri».
Anche la caratterizzazione di Polifemo quale pastore di greggi è significativa, se inquadrata in quest’ottica. Risalendo agli albori della storia, si può confrontare il conflitto tra l’uomo Ulisse e il ciclope pastore Polifemo con quello mesopotamico, narrato nell’Epopea di Gilgameš, in cui viene descritta la vittoria dell’eroe, Gamlgamiš, Giš.gim.maš(*4), su Enkidu, brutale “uomo selvaggio”, che non conosce l’agricoltura(*5), così come Polifemo, che ignora il vino, di cui finisce, al pari del biblioco Noah (Noè), per inebriarsi. Polifemo dunque è il diverso, il barbaro che non conosce civiltà, secondo la concezione greca dei barbari, diversa da quella dei Romani, per cui costoro erano soltanto manchevoli di alcune τέχναι. Il fatto che, nel chiedere aiuto, Polifemo non riesca a comunicare il suo dolore agli altri ciclopi, a mio avviso, può essere indice anche della sua apolitia, oltre che dell’astuzia d’Odisseo.
Lo scontro fra il mostro e l’eroe (archetipo, per usare una terminologia junghiana, mitologico peraltro presente dalla Scandinavia di Thor e Jormungand, la perfida serpe di Midgard, alla valle dell’Indo di Indra e del mostro Vrtra) cela un conflitto etnico-culturale fra i Greci (coltivatori di viti e ulivo) e i barbari, dipinti come pastori. È proprio la pastorizia a costringere l’“apolide” ad una condizione di semi-nomadismo, antitetica alla civiltà dell’agricoltore sedentario. Tale conflitto etnico-culturale è ben evidenziable nei fatti storici e negli scontri bellici che interessarono il Vicino Oriente antico, nell’accezione estesa di Greater Mesopotamia, per esempio sotto la XV dinastia faraonica (Hyksos), quando popolazioni di pastori semi-nomadi (tendenzialmente Semiti o Ḫurriti) penetrarono in Egitto. I nomadi vennero descritti come rozzi, rudi e bellicosi nei testi egizi, i testi di una terra che, al pari dell’Ellade, viveva prevalentemente di agricoltura e pesca(*6).
Ma gli stessi semi-nomadi che, dopo la loro espulsione dall’Egitto nel XVI sec. a.C., andarono a formare i clan proto-israelitici sedentarizzatisi, descrissero a loro volta come “barbare” e incivili le popolazioni loro nemiche, come i Filistei, di origini mediterranea, ma indoeuropea. Come non ricordare la lotta del re David di Giuda e Israele e il gigante Golia, filisteo? Così come nell’opera omerica, ancora una volta il piccolo David sconfigge con l’astuzia il grande ma stolto Golia, assimilabile a Polifemo, che «non assomigliava a un uomo che mangia pane».
Il tema del “pane” diviene significativo se si comprende come esso sia proprio il frutto del lavoro della civiltà, l’agricoltura. Lo stesso re David era oriundo di Betlemme, Beth-lehem, letteralmente “la dimora del pane”, alimento sacro ai faraoni, re di agricoltori sedentari, con la dea Hathor associata al pane sacro del tempio del monte Serâbit el-Khâdim, che viene generalmente identificato col biblico monte Horeb, nella penisola montuosa del Sinai(*7).
È un conflitto culturale pertanto a contrapporre Ulisse a Polifemo: a dividerli la civiltà, nella prospettiva elleno-centrica. L’incontro-scontro tra i due dunque non è solo un mito narrato in un poema, ma è la descrizione di una cultura, è lo specchio dei sentimenti, delle passioni e anche degli odi e dei pregiudizi che aimavano una cultura, l’antica Grecia.
I A. DI LENARDO, Polifemo. Il gigante come imago del barbaro, in G. RAGOGNA (a cura di), Musa bertoniana. Piccola antologia della letteratura greco pensata e creata dalla classe I liceo, Liceo Classico Paritario “G. Bertoni”, Udine 2011, pp. 6, 7.
II OMERO, Odissea, IX, 187-192.
III C. CORDIÉ (a cura di), Mitologia, Mondadori, Milano 2005, alla voce “Polifemo”.
IV M. LURKER, Dizionario di angeli, demoni e dèi, Alessandria, Piemme 2004 (1994).
V J. BOTTERO, S.N. KRAMER, Uomini e dei della Mesopotamia. Alle origini della mitologia, Einaudi, Torino 1992.
VI A. DI LENARDO, Israeliti e Hyksos. Ipotesi sul II Periodo Intermedio d’Egitto e la sua cronologia, Kimerik, Patti (Me) 2016; A. DE ANGELIS, A. DI LENARDO, Exodus. Dagli Hyksos a Mosè: analisi storica sui due Esodi biblici, Altera Veritas, Tivoli (Rm) 2016.
VII L. GARDNER, I segreti dell’Arca perduta, Newton Compton, Roma 2006, p. 10.
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QUALCHE PICCOLO CONSIGLIO DI LETTURA
Fabiana Spaceintime
Articolo molto interessante, però vorrei chiedere all’Autore, se fosse possibile aggiungere una Traslitterazione dei termini greci menzionati (con una ulteriore spiegazione magari in italiano) in più occasioni, per rendere così più scorrevole e avvincente la lettura 🙂
Andrea Di Lenardo
Buon giorno,
La ringrazio per il commento e mi scuso per il ritardo nel risponderLe. Di seguito traslittero in caratteri latini i termini greci nell’articolo e li traduco.
kalokagathía = la condizione di chi è bello dentro e bello fuori.
pólis = città.
agorá = piazza.
téchnai = tecniche.
Andrea Di Lenardo
Fabiana Spaceintime
Grazie Andrea Di Lenardo