Questo romanzo breve venne pubblicato nel 1868. E’ il primo romanzo di Emile Zola a raggiungere una certa popolarita’, benche’ accompagnata da fiumi di polemiche e di grida allo scandalo. Individuabile nella corrente del naturalismo francese, che, all’epoca, aveva una sorta di corrispondenza in Italia nella corrente del Verismo rappresentato principalmente da Verga, questo romanzo viene descritto come scientifico dallo stesso autore: i personaggi e le loro vicende vengono analizzati e squarciati, mettendo a nudo i loro pensieri ed i loro gesti in maniera spietata, cosi’ come sono, spesso suscitando fastidio nel lettore. Viene ribaltato il concetto di immedesimazione, il lettore viene portato quasi ad odiare cio’ che legge, talmente e’ messo di fronte senza alcun filtro alla miseria di sentimenti dei protagonisti. E’ un’opera poco nota ma incredibilmente moderna, con molti spunti di riflessione: molte sfaccettature dell’animo umano, che oggi usualmente si cercano in qualche modo di nascondere con l’overdose di informazioni, immagini, notizie da cui siamo sommersi, emergono in questo libro in tutta la loro crudele realta’.
In brevissimo, la trama: Therese Raquin, orfana, viene adottata dalla zia in tenera eta’; con lei cresce il cugino, sempre debole e malato, e con il quale viene costretta in matrimonio, preludio di una vita insipida, noiosa e a tratti ripugnante. Tutto cambiera’ con l’arrivo di un affascinante amico del marito, con il quale iniziera’ una torbida relazione, che non fara’ altro che portare ulteriore dolore e morte nelle loro vite, devastandole.
Come gia’ detto, all’epoca della pubblicazione, lo scandalo fu inevitabile, tanto che l’autore scrisse una bellissima prefazione alla seconda edizione in difesa della sua opera. Ritengo sia degna nota e qui la riporto.
In Thérèse Raquin ho voluto studiare indoli, non caratteri: in ciò è tutta l’essenza del libro. Ho scelto personaggi dominati superlativamente dai nervi e dal sangue, privi di libero arbitrio, sospinti in ogni atto della vita dalla fatalità della loro carne. Thérèse e Laurent sono due esseri bestiali e null’altro. In questi due bruti ho voluto seguire, a passo a passo, il sordo travaglio delle passioni, gli impulsi dell’istinto, i turbamenti cerebrali che susseguono a tutte le crisi nervose. Gli amori dei miei due protagonisti non sono che la soddisfazione di un bisogno; il delitto che essi commettono è una conseguenza del loro adulterio, conseguenza che essi accettano supinamente, come il lupo considera normale sbranare le pecore; ciò che, infine, sono stato costretto a chiamare rimorso non è in loro che un semplice disordine organico, una reazione del sistema nervoso troppo teso. L’anima è perfettamente assente, ne convengo, poiché ho voluto proprio che così fosse. Si comincerà a capire, spero, che il mio scopo è stato essenzialmente scientifico. Quando ho creato i miei due personaggi, Thérèse e Laurent, ho voluto porre e risolvere determinati problemi: così ho cercato di spiegare lo strano connubio a cui dà luogo l’incontro di due temperamenti diversi, e ho messo in rilievo i profondi turbamenti di una natura sanguigna a contatto con una natura nervosa. Si legga il romanzo con attenzione, e si vedrà che ogni capitolo è lo studio di uno strano caso di fisiologia. In una parola, non mi sono proposto che questo: dato un uomo vigoroso e una donna insoddisfatta, cercare in loro la bestia, non veder altro che la bestia, inserire entrambi in un dramma violento, e annotare scrupolosamente le sensazioni e gli atti di questi due esseri. In definitiva, ho fatto su due corpi vivi il lavoro di analisi che i chirurghi fanno sui cadaveri. […] Quando ho scritto Thérèse Raquin mi sono appartato dal mondo e ho copiato, con minuziosa esattezza, la vita, dedicandomi esclusivamente all’analisi del meccanismo umano: vi assicuro che gli amori crudeli di Teresa e di Lorenzo non avevano per me nulla d’immorale, nulla che possa spingere a turpi passioni. […] Mi sono, quindi, veramente sorpreso quando ho sentito definire la mia opera una pozza di fango e di sangue, un pattumaio, una fogna, e via di seguito. Conosco l’amabile gioco della critica perché l’ho fatto anch’io, ma confesso che l’insieme del coro mi ha un po’ sconcertato. Ma come! non c’è stato neanche uno dei miei colleghi che abbia spiegato il libro, non dico difeso! Fra le tante voci che gridavano: «L’autore di Thérèse Raquin è un miserabile isterico che si compiace di pornografia», ne ho invano atteso una che dicesse: «No, questo scrittore non è altro che un analista, e ha potuto anche smarrirsi nel marciume umano, ma vi si è perduto come succede a un medico davanti al tavolo anatomico1 ». […] Non vi sono, ai giorni nostri, più di due o tre uomini capaci di leggere, comprendere e giudicare un libro. Da costoro io accetto di ricevere lezioni convinto ch’essi non parlano senza prima aver penetrate le mie intenzioni e valutati i rischi dei miei sforzi. Essi si guarderebbero bene dal pronunciare le grandi vuote parole di moralità e di pudore letterario, e mi riconoscerebbero il diritto, in questi tempi di libertà dell’arte, di scegliere i soggetti dove meglio mi pare, senza pretendere altro che opere coscienziose, poiché essi sanno bene che solo la stupidità nuoce alla dignità della letteratura. Sono sicuro, quindi, che l’analisi scientifica tentata in Thérèse Raquin non li sorprenderebbe: essi vi riconoscerebbero il metodo moderno, lo strumento d’indagine universale di cui il secolo si serve con tanto fervore per penetrare l’avvenire. A qualunque conclusione dovessero giungere, ammetterebbero il mio punto di partenza: lo studio dei caratteri e delle profonde modificazioni dell’organismo sotto l’influsso dell’ambiente e delle circostanze. Mi troverei di fronte a veri giudici, a uomini che in buona fede ricercano il vero, scevri di puerilità o di falso pudore, che non si sentirebbero in dovere di apparire disgustati davanti a pezzi anatomici nudi e viventi. Lo studio sincero purifica tutto, come il fuoco.
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