Saffo
Ripropongo un articolo che scrissi nel 2011, all’età di XVII anni, leggermente modificato, e apparso per la prima volta nella Musa bertoniana, raccolta curata dal prof. Gabriele Ragogna, docente di Lingua e Letteratura Greca e Latina al Liceo Classico “Gaspare Bertoni” di Udine.
Il locus amoenus come sede metafisica della pulsione amorosa – Saffo
Vieni da Creta a questo sacro tempio
dove cresce per te un amabile bosco
di meli e dagli altari si leva
fumo d’incenso,
e di là dai rami dei meli sussurra un fresco ruscello,
ovunque s’allarga,
ombra di rose,
da mormoranti fronde stilla sapore,
il prato delle cavalle
è in germoglio di fiori primaverili,
dolce soffia la brezza (…)
cingiti qui della tua benda, Cipride,
in coppe d’oro con un lieve gesto
versa nettare divino mescolato alla festa.
Saffo
Ricchi di partecipazione emotiva i versi di Saffo, propri ancora una volta non di un’illuminazione estatica individuale, bensì frutto di un ambiente fraterno, sacro, in cui alla base della vita comunitaria stava la religiosità e la devozione ad Afrodite (Cipride), dea dell’amore, della primavera, della fertilità, della rinascita – dea che viene invitata al tempio di Mitilene, descritto come un locus amoenus.
Ecco imbatterci nella presentazione di questo tema, il locus amoenus, associato a due concetti principali, vale a dire la “giovinezza dell’umanità” e “l’epoca di gioia, spensieratezza, innocenza e abbondanza che la accompagna”.
Il tempio della dea, presumibilmente derivata da una dea minoica, che viene «da Creta», è dunque una sorta di Eden biblico, «un amabile bosco / di meli», in cui «ovunque s’allarga / ombra di rose». Descritti soavemente in questo frammento di coccio (ὄστρακον), i meli e le rose erano associati ad Afrodite e, in generale, al femminino. Non a caso una mela venne associata nella demonologia medievale a Eva – Khawwâh (חַוָּה), da “khayah” (חיה) “vita”, chiamata dagli gnostici Zoe, ζωή, “vita” appunto) – e al serpente (Samael) del Gan ‘Eden (גן עדן), “giardino delle delizie”. Associato anche alla rinascita della natura, il momento della ripresa delle pulsioni sessuali, è anche il «germoglio di fiori primaverili». Il fiore impiegato nell’antichità, dalla Babilonia di Ištar e la Siria di Afrodite-Mari alla Grecia di Cipride, per simboleggiare la personificazione dell’amore, così come avviene ancora oggi, era naturalmente la rosa, termine che in latino, nelle lingue romanze e anche in tedesco e inglese ha la stessa radice consonantica del greco Eros (Cupido o Amor per i Latini), dio dell’amore (ἔρως).
Immancabile, in codesto sublime quadro paradisiaco, «un fresco ruscello», superba raffigurazione dell’acqua, vista come fertile scaturigine di tutto ciò che è vita, come per Apsu/Abzu (le acque dolci) e Tiâmat (quelle salate) dell’Enûma Eliš, per la Morgaine/Ourgein celtica, nome legato tanto al “mare” quanto alla “madre” o ancora per il divino fiume arcadico Alfeo, nome forse derivato dal fenicio aleph, inteso come inizio, origine, ἀρχή.
Infine è ulteriormente affascinante il probabile riferimento alle bende rituali («cingiti qui della tua benda») che si cingevano durante i sacri rituli primaverili in onore della dea Afrodite – rituali che potrebbero ancora una volta indicare la rinascita della natura, della fertilità, della pulsione amorosa dopo la “morte” dell’inverso (le bende), forse un triste simbolo per l’inevitabile abbandono del tiaso da parte delle amate fanciulle, agli occhi della dolce Saffo.
Andrea Di Lenardo
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