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Home» Altri Maestri»Rudolf Steiner: Fra Buddha e Gesù
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Rudolf Steiner: Fra Buddha e Gesù

Rudolf Steiner e il Buddhismo

Agli inizi del ‘900, la parola buddhismo era quasi sinonimo di teosofia, di quel movimento mistico ed esoterico che ruotava attorno alla russa H.P. Blavatskij, al colonnello Olcott, ad Annie Besant, a Leadbeater e a Sinnett. Ma anche a Rudolf Steiner (1861-1925), che della sezione teosofica tedesca fu il segretario dal 1902 al 1912.

In questo periodo il pensatore austriaco – più noto sia per aver fondato nel 1913 l’antroposofia sia per i suoi commenti esoterici ai Vangeli – tenne una serie di conferenze sul rapporto esoterico fra il Buddha e il Cristo. Da Berlino a Monaco di Baviera, da Düsseldorf a Karlsruhe, da Basilea alla vicina Dornach – attuale centro mondiale dell’antroposofia – R. Steiner parlò del Buddha e del Dharma a un pubblico di ascoltatori per il quale, sulla scia dell’interpretazione teosofica, il buddhismo equivaleva in pratica alla dottrina della reincarnazione.

Poco rapito dal mito Ex Oriente lux, Steiner illustra il messaggio buddhista alla luce dell’esoterismo cristiano, scorgendo nel Buddha il “precursore” del Cristo e nei bodhisattva addirittura i “fratelli del Cristo”.

La profezia di Asita e la visione di Simeone

Secondo Steiner, Siddhârtha nacque da parto prematuro: così volle il mondo spirituale, per far sì che egli conservasse le forze celesti prenatali, le sue antiche forze di bodhisattva, e non le smarrisse come tutti gli esseri umani che, nascendo da una gravidanza giunta a termine, si calano completamente nella materia.

Queste innate forze bodhisattviche, lasciate immacolate dal parto prematuro, agirono istantaneamente come forze rinnovatrici: non è una leggenda che alla nascita di Siddhârtha quanti prima si odiavano trovarono la forza di riconciliarsi. Furono queste forze bodhisattviche, poste tutt’attorno al bambino, ad accendere poi lo sguardo spirituale del veggente Asita, che – dicono i testi buddhisti – scorse nel corpo del bimbo i trentadue segni dell’Uomo Superiore destinato all’Illuminazione.

Cinque secoli dopo, le forze buddhiche ricompariranno, secondo Steiner, nel cielo notturno di Bethlehem sotto forma di angelica “moltitudine dell’esercito celeste”: era il sambhogakâya, il Corpo glorioso del Buddha circondato dai bodhisattva, che veniva a rivestire il Bambino delle più alte forze della compassione.

E quel veggente, Asita, che aveva riconosciuto il Buddha, rinascerà in Israele e si incarnerà come Simeone, ma conserverà la stessa funzione, lo stesso destino dell’incarnazione indiana: riconoscere e preannunciare il portatore della salvezza. Simeone riconobbe nel bambino Gesù le antiche forze buddhiche.

Finalmente a Simeone era concesso di vedere ciò che aveva da sempre atteso: contemplare l’aureola di gloria del Buddha mentre aleggiava sopra il bambino della stirpe di Davide. “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola“, narra Luca (2, 25-32), “perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza“.

Ma torniamo a Siddhârtha. Quelle forze bodhisattviche fecero sì che il principe crescesse dotato di una veggenza naturale e spontanea, di quella sensibilità interiore che l’umanità possedeva prima della nascita della filosofia, quando ancora “credeva” nel mito. Pur avendo queste doti spirituali, Siddhârtha però non conosceva ancora la realtà sensibile, non conosceva il mondo.

Ecco il senso dei tre incontri, fatti a 29 anni, nelle sue uscite per le strade di Kapilavâstu, la capitale del piccolo regno degli Sâkya: scopre che la vecchiaia è dolore, che la malattia è dolore, che la morte è dolore. Fugge allora di notte dalla reggia insieme con il fedele auriga Chanda] e il proprio cavallo Kanthaka: una volta lontano, si recide la chioma e ottiene l’”uscita dal mondo”, la Dipartita.

Quando affida Kanthaka nelle mani di Chanda e li rinvia al palazzo, Siddhârtha rinuncia, dice Steiner, alle sue antiche facoltà prenatali, per poter divenire un ideale modello umano, capace di destare negli uomini l’anelito verso quelle facoltà. Kanthaka e Chanda, dicono i testi indiani, erano nati nello stesso giorno di Siddhârtha.

La via verso la purificazione del corpo astrale

Al tempo dell’Illuminato, l’uomo non era più dotato della chiaroveggenza atavica che lo aveva spinto a vivere in simbiosi con la natura e con le forze invisibili del cosmo, non possedeva più l’antica veggenza che sorgeva dalle forze eterico-vitali del prâna; proprio per questo, avvertiva sempre più il bisogno di stabilire un colloquio “individuale” con il Divino: è ciò che la filosofia indiana chiama il dialogo fra il Sé e l’Assoluto, fra l’âtman e il brahman.

L’uomo del V secolo a.C. era insomma portato a un nuovo tipo di conoscenza legato alle percezioni sensibili e all’attività concettuale; in pratica, a ciò che Steiner chiama l’attività del corpo astrale. Non dimentichiamo che mentre il Buddha predica in India, in Occidente operano Pitagora, Parmenide, Eraclito e altri filosofi presocratici.

Per divenire padrone di sé, cioè dell’attività astrale, il monaco dovrà seguire, secondo il Buddha, un sentiero meditativo che gli darà una conoscenza sua, non più ereditata dal passato: gli darà nuove forze di consapevolezza, una nuova coscienza pensante. Ma poiché ogni uomo è destinato, secondo Steiner, a purificare l’attività del corpo astrale, verrà il momento in cui ognuno di noi scoprirà il profondo bisogno della meditazione e riconoscerà la dottrina del Buddha come qualcosa di connaturato alla sua stessa attività pensante: a questo punto svilupperà le forze buddhiche.

Tale purificazione del corpo astrale, scrive Steiner nell’Iniziazione, si realizza attraverso l’Ottuplice Sentiero, la cui pratica ridesta il “fiore di loto a sedici petali”, ovvero il vishuddhacakra, situato nella regione della gola, vicino al plesso laringo-faringeo. Questo cakra, scrive R. Steiner, dà la possibilità di penetrare con lo sguardo chiaroveggente nel modo di pensare di un altro essere e dischiude la visione delle leggi dei fenomeni naturali; ma soprattutto, agendo su questo cakra, la meditazione purifica il corpo astrale, sottraendolo all’influenza negativa dei samskâra, delle predisposizioni psichiche prenatali che sono depositate nel corpo eterico o vitale.

Tanta è l’importanza dell’Ottuplice Sentiero agli occhi del pensatore austriaco che egli lo integra – secondo una sua libera interpretazione – al percorso dell’ascesi occidentale o esoterico-cristiana descritta nell’Iniziazione.

Il Parinirvana: la Trasfigurazione della Luce

Nel descrivere il Parinirvana R. Steiner si rifà a una leggenda birmana, assai in voga al suo tempo, secondo la quale il Buddha morì trasfigurato come in un corpo di luce (cfr. E.J.Thomas, The life of Buddha as legend ang history, Londra 1975, p. 245). In base a ciò, Steiner pensa che “il Buddha è giunto fino al punto in cui la luce divina comincia a risplendere entro l’uomo. Quando si trova dinanzi alla morte del terrestre, egli diviene la luce del mondo” (Il cristianesimo quale fatto mistico). Il Parinirvana è dunque una trasfigurazione del corpo terreno del Buddha in un corpo di luce.

Questa esperienza non è diversa dalla Trasfigurazione del Cristo sul monte Tabor: “Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce“, si legge infatti in Matteo (17,2). Nell’arte bizantino-slava l’icona della Trasfigurazione, in cui il Cristo appare affiancato da Mosè e da Elia, ovvero dalle figure che emblematicamente rappresentano la Legge e i Profeti, è tutta dominata dall’esperienza della luce taborica: le vesti del Cristo glorioso sono d’un bianco immacolato ed emanano raggi di luce sfolgorante che trasfigurano la coscienza stessa dei tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, che assistono al fenomeno.

Seconda l’interpretazione steineriana, la Trasfigurazione è il momento in cui la forza del Logos permea il corpo eterico del Gesù di Nazaret: essa è il preannuncio della futura Resurrezione. Grazie infatti a questo corpo trasfigurato il Cristo potrà apparire ai discepoli tra la Pasqua e l’Ascensione.

Dove la vita umana del Buddha finisce con la trasfigurazione del Parinirvana, dice Steiner, ha invece inizio la missione spirituale del Cristo: la Passione e la Resurrezione. Ecco la grande differenza, ma anche la complementarità, fra il Buddha e il Cristo: se nel Buddha possiamo contemplare la figura ideale di colui che ha raggiunto la Saggezza (prajñâ), la Pura conoscenza, e che ne fa dono agli uomini, nel Cristo scorgiamo l’Amore che si è fatto uomo per lottare e amare con noi.

Cinque secoli dopo l’epoca del Buddha, mentre in Palestina si compiva l’evento cosmico del Golgotha, il Mahayana elevava la compassione al rango della saggezza, invitando a vivere la compassione come upâya, amore operante, carità, capacità di salvare gli esseri. E a vivere e a insegnare questa condizione celeste in cui la saggezza e l’amore s’incontrano saranno, secondo il Mahayana, i bodhisattva che avranno raggiunto le più alte Terre spirituali.

Le quattro nobili verità e la dottrina del Karma secondo Rudolf Steiner

Secondo il fondatore dell’antroposofia, le Quattro Nobili Verità sono i cardini di un ideale ascetico che è imperniato sulla svalutazione della vita umana in quanto invita l’uomo a rifiutare la rinascita. R. Steiner interpreta il distacco buddhista dalla corporeità come una sorta di rifiuto del mondo, un effetto dello spirito di rinuncia nutrito dagli anacoreti del passato, dai mistici solitari, dagli eremiti.

In questo come in altri casi, R. Steiner si riferisce al buddhismo delle origini, anche perché ai primi del ‘900 soltanto questa forma di buddhismo era nota al grande pubblico. Un’altra diversità fra la concezione buddhista e quella antroposofica riguarda l’ambito del karma: nel buddhismo, almeno in quello Theravada, il karma appare come qualcosa di estremamente personale, legato alle vite passate dell’individuo, mentre per l’antroposofia il karma è un’immensa forza che lega ognuno di noi non solo alle sue vite passate, ma anche al destino intero dell’umanità.

In questa differenza si riflette il contrasto fra l’ideale asiatico di “liberazione” e l’ideale mediterraneo di “salvezza”: se l’Oriente, infatti, ha per lo più mirato alla liberazione individuale, mediante l’uso di discipline psicofisiche, l’Occidente giudeo-cristiano ha inteso la salvezza come momento collettivo, redenzione di un popolo, caduta di un oppressore, speranza in un liberatore-Messia.

Quanto più l’uomo entrerà in sintonia con il messaggio del Cristo, sostiene Steiner, tanto più farà progredire il karma della Terra, perché il Cristo è il principio spirituale dell’Amore che lega tutti gli uomini e che infine farà del nostro pianeta il “cosmo dell’Amore”.

Fonte : altrogiornale.org

 

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rudolf steiner 2015-03-25

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