Ricordate il bambino tenerone di About a boy, con un simpaticissimo Hugh Grant, tratto dall’omonimo romanzo di Nick Hornby?
Ecco, il bimbo è cresciuto: Nicholas Hoult, assieme alla bella vampira Kristen Stewart, è il coprotagonista di questo film, Equals, ingiustamente poco noto al grande pubblico.
Prodotto da Ridley Scott, Equals viene solitamente considerato un film di nicchia, o meglio, un particolare young adult, paragonato al più famoso The Giver-Il Mondo di Jonas.
I temi sono affini: in una ipotetica società ideale del futuro (utopia o distopia?) dal disordine si è giunti all’armonia, dal caos la regola.
Tutto è perfettamente organizzato, pulito, efficiente. Ognuno ha il suo ruolo, la sua compostezza, il suo ritmo, la sua misura.
Ogni eccesso è bandito: violenza, crudeltà, dolore. Ma con essi sono andati perduti, così come in The Giver, anche i colori dell’altro lato del binomio: allegria, gioia, ebbrezza, piacere, contatto. C’è un abisso di immensa solitudine tra un uomo e un altro.
Bandire il caos equivale a sterilizzare le emozioni. Nelle emozioni non c’è controllo, non c’è razionalità, prevedibilità, le emozioni rischiano di sovvertire, distruggere, rovinare tutto ciò che l’uomo ha pazientemente costruito con l’aiuto delle sue facoltà mentali più complesse. L’emozione sembra avvicinare l’uomo all’animale, al suo fare immediato, bestiale, diretto, alla sua fisicità.
In questa società ideale, la voce del “Collective” è sempre presente nella vita degli uomini. La giornata tipo è un rituale ben scandito che non può essere modificato. La sveglia è data da una rilassante aria di Bach; ogni appartamento, che ha infinite repliche alla stregua della cella di un alveare, è incredibilmente confortevole e prelude all’incolonnamento verso le proprie mansioni. Gli uomini, tutti vestiti di bianco, schedati e controllati in ogni istante, vengono rincorsi in continuazione da slogan inneggianti a salute e sicurezza.
In questa prospettiva di “perfezione”, lo spettro della SOS, la sindrome da eccitazione, è una malattia temutissima che porta all’espulsione dalla società o meglio alla scomparsa, in quanto terribilmente epidemica e coloro che ne vengono colpiti non vengono assolutamente risparmiati. Tutti sembrano uniti contro il male comune; eppure si vedrà ben presto che ogni altro può essere invece il nemico, il primo delatore. Nessuno vuole discostarsi dal cammino che la società ha tracciato per lui.
SOS è il retaggio di emozioni e bassi istinti: eredità di un passato di cui l’uomo dovrebbe vergognarsi.
Dal punto di vista dello spettatore, usualmente dominato da SOS, il film appare davvero assurdo. Il protagonista, Silas, è il punto di osservazione dell’intera vicenda. Kristen Stewart , ovvero Nia, pare inizialmente la fredda e algida incarnazione di una società puritana e castrata. Occorre dire che emerge qui la bravura di un’attrice che è sempre stata bistrattata, per invidia o poca considerazione dei ruoli a cui deve la celebrità.
L’epidemia SOS, nonostante le misure di contenimento e le tecniche coercitive di repressione e sedazione degli istinti umani, tuttavia non accenna a scomparire. Il passato degli uomini è plasmato e rimodellato a uso e consumo dell’ideologia purista dominante; i territori che si sottraggono alla tecnologia vengono descritti in maniera terrificante, come arcaici e selvaggi, del tutto inadatti a ospitare l’umanità, ormai inconsapevole della propria forza “animale”. Questa tematica evoca scenari appartenenti a un’altra saga, quella della recente trilogia sul pianeta delle scimmie. Se considerassimo Cesare, il frutto dell’esperimento genetico degli “dei”, come il primo uomo, diventa palese il potere della forza oscura e potente che domina il corpo dell’uomo.
In Equals ad un certo punto la forza delle emozioni non può più essere tenuta a freno; la bellezza del film consta nel lento ma inesorabile fiorire dell’attrazione fisica e mentale tra i due personaggi, e nel corrispettivo “risveglio” della loro sensibilità. Questa bellezza viene sottolineata a livello filmico da accurati passaggi musicali, precise inquadrature di sguardi rubati e cenni quasi invisibili al sistema ma palesi dal punto di vista della sensibilità emotiva dei personaggi e dello spettatore.
Piacere e dolore si mostrano sempre intrecciati in quanto connaturati alla natura dell’eccitazione: l’incubo, la depressione, lo smarrimento e persino il suicidio sono l’altra faccia del sentimento, dell’esaltazione, dell’intensità sensoriale.
Nia mostra la sua superiorità in quanto umana capace di provare le più grandi emozioni senza reprimerle ma al contempo di dominarle e mascherarle agli occhi dei più indossando il volto della perfetta cittadina, finché la vita e la potenza delle emozioni non travolgeranno lei e Silas.
Interessante è il momento in cui le strade dei due si incontrano: Silas comprende che qualcosa nella sua perfetta città non funziona nel momento in cui decide di cambiare progetto al lavoro. Perché lo fa? Perché, semplicemente, ha voglia di cambiare. Ma il cambiamento è pericoloso per il sistema in cui è inserito. Da qui partirà infatti il suo desiderio di capire, di andare oltre, di conoscere, di esplorare se stesso e comprendere veramente ciò che lo circonda.
La straordinaria bellezza di questo film veicola con sé una riflessione altrettanto importante: qual è in realtà il valore delle emozioni?
In molte scuole, in molte filosofie, viene affermato che dobbiamo essere padroni delle emozioni. Bisogna controllare le emozioni, che costituiscono appunto il livello più “basso” dell’umano. In molti casi sembra semplicemente di scadere nella repressione. In effetti, come dare torto a questo punto di vista? L’uomo è preda delle emozioni, incapace di guardare nitidamente alla propria vita, di decidere su di essa, di uscire dalla morsa di istinti e forze pulsionali che lo spingono a destra e a manca senza una direzione precisa che non sia quella dell’emozione del momento.
Eppure questo film ha il merito di capovolgere il punto di vista. Se le emozioni venissero abolite o totalmente sedate, cosa ne sarebbe dell’uomo? Si potrebbe addirittura pretendere di parlare ancora di uomo? O forse saremmo più simili a delle macchine senz’anima? Davvero l’anima è la razionalità, puro dominio delle passioni, freddo sguardo che tutto comprende? E se invece l’emozione, per quanto da dominare, fosse una miccia per qualcosa di più profondo? Una teoria del genere era stata già suggerita da vari lavori cinematografici: a partire dal mitico George Lucas ne “L’uomo che fuggì dal futuro”, passando per “Pleasantville” con Tobey Maguire, alla più recente “ Donna perfetta” di Frank Oz con Nicole Kidman. In tutti questi casi, è sempre la donna a rivestire un certo ruolo leader nella presa di coscienza che quanto sta accadendo mediante la repressione delle emozioni è una via volta all’addormentamento ipnotico della consapevolezza umana. E non è un caso che a tutto ciò si colleghi il problema del concepimento fisico, della “creazione” di una vita umana, che in ogni distopia che si rispetti è sempre un processo manipolato e rigidamente controllato dall’alto.
Forse nell’uomo alberga una scintilla ancora del tutto incompresa e intoccata. Forse l’emozione rappresenta una via d’accesso. Le due vie, quella fredda del controllo razionale, e quella calda del’entusiasmo emotivo, forse vanno rilette e riconsiderate in una prospettiva diversa.
Di sicuro c’è un pulsare urgente che cova sotto le emozioni, sotto la ragione. Una forte passione, un intenso sentire; o una tremenda paura. Per essa non esiste nessuna cura. Essa aspetta, pazientemente, forse e ancora forse, di non essere più soltanto superficialmente goduta o ignorata o sedata, ma di essere, finalmente, esplorata.
Valentina C.
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