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Home» Recensione Film»Una Pura Formalità
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Una Pura Formalità

Tra Incubo Giudiziario e Ricordo di Sé

Un uomo corre a perdifiato nella foresta. Si ode un colpo di pistola nella notte. Piove a dirotto, di una pioggia inesausta e crudele. L’uomo viene fermato dalla polizia e condotto al commissariato dove verrà trattenuto per una pura formalità burocratica.
Inizia così l’infinita notte di Onoff, scrittore famoso, e del commissario che lo interroga, in un intrigo misterioso dai connotati polizieschi. Lo scrittore ha perso i suoi documenti e viene trattenuto in attesa di ulteriori riscontri. L’acqua domina la scena. S’infiltra dappertutto, inonda il diroccato edificio della polizia. Onoff, ovviamente, è bagnato fradicio sin dall’inizio. Durante l’attesa al “Maestro” della penna, tutto infreddolito e gocciolante, viene offerta una tazza di latte caldo, ma per qualche strano motivo ciò lo fa infuriare tremendamente (chissà poi come mai in una stazione di polizia si offre del latto caldo ai fermati, ma forse tale gesto non è del tutto innocuo come può sembrare). Onoff è spavaldo, urla, si dimena come un animale chiuso in gabbia. Il commissario è inizialmente placido, vagamente sarcastico, ma pur sempre rispettoso del “maestro”, il grande artista finito per caso in una squallida gendarmeria di provincia.
Tuttavia il commissario ben presto mostra di sapere molto più di quanto non dica esplicitamente. Viceversa Onoff si rende conto di saperne meno di quanto pensa o ricorda, soprattutto quando scopre, mentre si ripulisce in bagno, del sangue sui propri vestiti. Siamo all’inizio di un giallo raffinato e surreale, che si insinua nella mente dello spettatore tenendolo avvinto con semplice ma calcolata genialità a uno straordinario capolavoro, diretto da Giuseppe Tornatore e interpretato magistralmente da Roman Polanski (il modesto ma sagace commissario) e un Gerard Depardieu, splendido come non mai (nei panni di Onoff). Il cameo di un giovane Sergio Rubini impreziosisce il tutto.
La pellicola, discussa e non di rado incompresa, riserva dei colpi di scena notevoli. Niente è come sembra. Ben presto si scopre che nella notte qualcuno è stato ucciso vicino alla villa dello scrittore: “una persona ha perso la vita”. Un uomo, una donna? Mistero. Onoff è incalzato dalle domande stringenti del commissario, che sembra conoscere meglio dello stesso scrittore ogni piega recondita delle sue opere, e persino della sua stessa vita. Ad un certo punto Onoff, che confessa di aver inventato la propria biografia per nascondere la miseria delle proprie origini, è misteriosamente colpito da una forte amnesia, che gli impedisce di ricordare quanto ha fatto fino a poche ore prima. Onoff è forse un assassino? Il dubbio assale lo spettatore, supportato da una citazione dei suoi libri da parte del commissario: “Per non morire di angoscia o di vergogna gli uomini sono eternamente condannati a dimenticare le cose sgradevoli della loro vita e più sono sgradevoli e prima si apprestano a dimenticarle”. Cosa ha commesso Onoff di così terribile da obnubilare la sua mente? Cosa ottunde la sua memoria? L’acqua continua a invadere l’edificio, e la tempesta a tormentare la nera notte.
Onoff tenterà la fuga; ma dall’impietoso commissario non può fuggire, come non si fugge da se stessi, e resta incastrato in una tagliola; al pari di un animale ferito, agonizzante, dovrà ricominciare l’interrogatorio, cui è sempre più insofferente.
Come le trappole per topi che nei momenti decisivi della storia scattano nell’edificio, ormai sempre più esposto alle infiltrazioni, gli agguati verbali del commissario svelano le continue contraddizioni del racconto di Onoff. Lo scrittore si perde nella sua storia, nei suoi ricordi, nelle sue visioni. Ogni volta, tira fuori una versione diversa, sgattaiola nei meandri della sua mente come un topo in un labirinto. Il commissario, da tenero e apparentemente commosso lettore del maestro Onoff, si è ormai tramutato nel più feroce degli aguzzini: lo scrittore viene deriso, picchiato, stremato. Ma in questo gioco perverso tra Onoff e il commissario scatta ad un certo punto la trappola decisiva: il topo non può più tornare indietro. Davanti al cumulo di foto dei momenti e delle persone più importanti della sua vita, che il commissario utilizza per interrogarlo, Onoff ritrova il filo di Arianna, la memoria che collega ogni pezzetto. Comincia qui un vortice senza pause, il turbine dei ricordi che Onoff finalmente recupera, mediante un’associazione di immagini e parole, guidato dalla voce del commissario. Comincia a ricordare, Onoff. Aveva un’arma; sì, gli amici sono venuti a trovarlo; anche la sua ex-moglie, che tanto amava; il latte, ecco il latte, tanto odiato perché gli ricordava la terribile infanzia nell’orfanotrofio; il geniale e paterno barbone dal quale ha copiato il suo capolavoro, condannandosi al supplizio del senso di colpa. Lo smarrimento, la tristezza, la solitudine. Una ragnatela avvolge la sua mente. La desolazione ha invaso il suo cuore, e lui non ha armi da opporre allo strapotere delle emozioni. Quella mattina Onoff si è rasato per vedere, finalmente, dopo tanto tempo, il suo volto, fino a quel momento coperto da una folta barba e da lunghi capelli trasandati, quasi come il barbone che ha segnato il suo destino. Scrive una lettera di giustificazione agli amici e alla ex-moglie. Onoff prende la pistola e uccide, nel mezzo della notte. Senza esitazioni, con un gesto fatale come la sua tristezza. Uccide, ma chi e perché? Non verrà rivelato tale dettaglio per non rovinare del tutto il gusto della scoperta al lettore che ci ha seguito fin qui.
Basti dire che a questo punto una vertigine invade Onoff e lo spettatore. Il poliziesco perde i suoi connotati. Tutto cambia, ogni senso è capovolto, dentro e fuori lo schermo. Le incongruenze, le piccolezze assumono un nuovo significato. La tempesta cessa. È giunta l’alba serena di un nuovo giorno. L’aguzzino sorride e Onoff capisce. Ha ricordato, finalmente, quanto voleva dimenticare.
Egli ha vagato tutta la notte nella sua mente, guidato con accorta maestria dal “commissario”. La gendarmeria era lo specchio della sua condizione, un luogo invaso dalle emozioni, dalla furia, dall’oscurità della notte: subito dopo il terribile gesto, si era infatti smarrito nell’incoscienza, per dimenticare l’accaduto. Il dolore della vita, di quella notte, erano troppo pesanti da affrontare, e lo avevano gettato nel fosso oscuro dell’oblio. Ma i solerti poliziotti lo hanno raccattato, ripulito e infine ricondotto con tutti i mezzi necessari verso la memoria che soltanto lui poteva decidere di recuperare.
Quando emerge la luce della coscienza e della memoria, il viaggio può ricominciare. Per sorgere, Onoff ha dovuto immergersi nelle più oscure e violente profondità di se stesso.
Non c’è astio o giudizio negli occhi amorosi del “commissario”, che lo accompagna al furgone sul quale Onoff inizierà il suo viaggio verso mete sconosciute ma luminose. A sostenerlo in questo viaggio Onoff ha soltanto le sue fotografie: immagini di una vita, storie di incontri, corpi, emozioni, sensazioni che costituiscono la trama della sua coscienza. Cose care, gioie rare, come canta alla fine Gerard Depardieu sulle musiche di Ennio Morricone. Cose che lo sostengono, ma cui dovrà rinunciare, se vuole ricominciare. Perché ricordare è anche un po’ morire. E perché in fondo, il viaggio della vita è un intreccio segreto tra memoria e oblio.

Valentina C.

 

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angelo custode depardieu morire oblio polanski tornatore una pura formalità 2016-12-12

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Pubblicato da: Valentina C.
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One Comment

  1. Gabriele Mancino
    12 Dicembre 201611:47 -

    C’è chi la chiama Ricapitolazione 😉

    Accedi per rispondere

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