Le sfide e le esibizioni tipiche dei cosiddetti “sport estremi” richiamano l’attenzione degli spettatori, alimentando anche gli studi su tali tipi di comportamento.
Oggi si conoscono molti dettagli sugli aspetti motivazionali che spingono a praticare questo tipo di attività rispetto ad altri sport, sono stati studiati i processi psicofisiologici che alimentano tali passioni trasgressive, gli imprecisi meccanismi psicologici di valutazione dei rischi e si conoscono le esigenze e le abitudini utili in termini di preparazione mentale. Tutte queste conoscenze concorrono, insieme a quelle di altre scienze, a favorire maggiore sicurezza e a sostenere la prevenzione di conseguenze infauste. Sentire il corpo in luoghi e prove “al limite”
Le ragioni per cui gli amanti del rischio sono attratti da sfide in luoghi pericolosi, dalla possibilità di trovarsi faccia a faccia con elementi ignoti o incontrollabili della natura, dalle condizioni in cui si vivono sensazioni fisiche fuori dal comune, sono indubbiamente intrecciate al proprio rapporto con la vita, alla necessità personale di sfidarla, di sentirsi padroni e di controllarne anche gli eventi più incerti. Questi aspetti hanno delle sfumature diverse che vanno approfondite e rielaborate se ci si accorge che le tendenze distruttive predominano, che il rischio non viene calcolato e considerato importante oppure quando si osserva una sensazione di onnipotenza nella sfida alle proprie capacità. In questi casi, infatti, dietro alla tendenza a rischiare potrebbe risiedere una sopravvalutazione di sé oppure una svalutazione della vita, con tratti più o meno consapevoli di tipo depressivo che possono avvicinare a ciò che viene latentemente desiderato o sopravvalutato: la morte.
Tuttavia, la maggior parte degli amanti dello sport estremo non sono mossi da tendenze autodistruttive.
Uno dei primi aspetti che esercita un grande fascino negli sport “oltre il limite” è la possibilità di fare esperienze in cui è possibile sentire in modo inconsueto “di essere vivi”, quelle che fanno provare un’euforia che viene descritta con espressioni quali “stare nell’occhio del ciclone” o “sentire i brividi e la pelle d’oca” o ancora “sentire la scossa dell’adrenalina”.
Questi vissuti in alcune persone sono l’unica possibilità di sentire di avere un corpo, dal momento che il contatto con quest’ultimo, in tali individui, viene percepito solo in condizioni di iperattivazione in cui la sua incolumità viene messa a rischio o più semplicemente in situazioni in cui le certezze fisiche (es. punti di riferimento per l’equilibrio o l’orientamento) vengono tolte.
Il piacere del brivido
Alcune ricerche hanno cercato di spiegare anche i motivi neuropsicologici che possono guidare alcune persone più di altre a ricercare esperienze “no limits”. Tali studi hanno associato la capacità, che alcune attività possiedono, di aumentare la secrezione di adrenalina, al bisogno di rischiare di alcune persone, alla loro propensione a cercare sensazioni estreme, alle tendenze stravaganti e poco ripetitive nelle azioni quotidiane. Questa risposta chimica del corpo è legata alla capacità di situazioni “al limite” di attivare un’esperienza denominata “combatti o fuggi”, in grado di far provare i brividi, vissuti piacevolmente in coloro che ricercano frequentemente questo tipo di esperienze.
Esse, infatti, riescono a far sperimentare una sensazione di pericolo imminente che attiva i meccanismi di sopravvivenza in risposta ad uno stress, per far fronte all’evento attraverso i cambiamenti neurofisiologici ormai molto noti.
Tuttavia è possibile attivare le risposte di attacco o fuga, nella popolazione media, anche con attività predeterminate e gestite con grande sicurezza, che permettono di confrontarsi con incertezze o cambiamenti rispetto agli abituali punti di riferimento: ne sono esempi le piccole sfide alle abitudini quotidiane di alcuni giochi al luna park, in grado di suscitare una piacevole e sicura euforia.
I vissuti emozionali sopra la quotidianità sono stati anche messi in relazione all’iperattivazione di altre secrezioni di neuromediatori attivanti, cioè al rilascio fisiologico di neurotrasmettitori che viene azionato in modo massiccio proprio in situazioni in cui ci si confronta con elementi incerti e non abituali, come il rapporto con il vuoto ad esempio.
In questi casi, infatti, l’organismo produce anche abbondanti sostanze chimiche naturali come la dopamina, che tende a generare sensazioni piacevoli simili a quelle sperimentate quando si assumono sostanze alcoliche, droghe stimolanti oppure quando si fa sesso. La risposta del cervello a tutte quelle situazioni che sono soggettivamente vissute con grande eccitazione è la tendenza a inondarsi di dopamina, che spiega (insieme alla presenza di adrenalina) la frequente propensione a sorridere o gridare incontrollatamente nel corso di tali esperienze.
L’attrazione abituale nei confronti di queste situazioni è stata studiata anche in rapporto ad una mutazione del corredo genetico che comporta la presenza di un numero minore di recettori di dopamina, aspetto che è risultato presente in molte persone con attrazione per sport estremi e che è stato ritenuto un motivo fisiologico che può spiegare le tendenza a ricercare attività volte ad attivare una sovrapproduzione del neuromediatore stimolante, in modo da ottenere effetti fisiologici che in altre persone vengono vissute ad una soglia inferiore di sollecitazione dei propri recettori dopaminergici, che sono più numerosi (Noble E. et al., 1998).
Il fascino della vertigine
Le descrizioni delle emozioni sperimentate dagli appassionati degli sport estremi hanno portato ad individuare una semplice e importante caratteristica posseduta da tali attività che affascina numerosi individui portandoli alla pratica delle attività sportive oltre i limiti, soprattutto di alcune basate sul rotare e sul rimanere sospesi: si tratta della capacità di stimolare quello stato interiore che è stato definito “dinamic joy”, cioè il puro divertimento che può nascere dal movimento rotatorio o dall’oscillazione nel vuoto e che è un retaggio infantile, sperimentato attraverso giochi come il dondolare o il girare.
Questo piacere sembra mantenuto nelle persone dedite a questi sport e soddisfatto sopratutto con le attività di basate su caduta o lancio nello spazio, rotazione vertiginosa, velocità, accelerazione lineare o rotatoria.
L’attrazione precoce esercitata da queste attività è osservabile precocemente nelle reazioni dei bambini che strillano di gioia quando sperimentano il piacere psicofisico dell’ilinx (vortice, vertigine), che può rimanere uno stimolo centrale che guida alcune attività fisiche di molti adulti (Caillois, 1958).
Passione per le emozioni forti contro bisogno di prudenza
Numerosi altri studi sulla personalità che caratterizzano gli amanti di sport rischiosi hanno individuato la presenza di un tratto specifico che alimenta la ricerca di sensazioni estreme: si tratta di una propensione a ricercare sensazioni forti che ha portato a definire gli appassionati di tali sfide dei “sensation seekers”, cioè ricercatori di sensazioni forti, un aspetto psicologico che accomuna molti paracadutisti, free climbers ad altri sportivi estremi (Zuckerman M., 1994).
Nel contesto di un approccio simile si collocano le ricerche psicologiche che hanno confrontato le differenze tra le persone comuni e gli amanti del brivido, che hanno distinto due gruppi attraverso l’utilizzo di una curva che rappresenta la propensione a ricercare esperienze “no limitis” (Farley F. 1991).
Alla base della curva vengono compresi i cosiddetti “Big T” o “tipi T”, in cui T sta per Thrill che significa brivido. Si tratta di persone connotate da un bisogno di provare l’estremo, amanti della scossa, alla ricerca del brivido, anche attraverso sport pericolosi.
All’altro estremo della curva sono stati posti i cosiddetti “Small T”, cioè le persone con una vera e propria avversione nei confronti delle situazioni pericolose, quelle che vivono la vita con estrema prudenza o, come sostiene lo stesso autore dello studio, “aggrappati al corrimano”, un atteggiamento che si traduce in un ligio rispetto delle tradizioni, dei costumi e delle regole, in modo da ridurre al minimo ogni imprevisto di vita.
Naturalmente al centro, cioè nell’area della curva in cui si situano la maggior parte delle persone, esiste una tendenza intermedia che può propendere più verso un polo oppure verso l’altro.
È facile intuire che i “Big T puri” rappresentano solo una piccola parte di coloro che si impegnano in sfide sportive estreme: essi sono quelli che sono caratterizzati da una ricerca di situazioni ad alto contenuto emotivo, che si mantengono lontani da quelle semplici, poiché necessitano di stimoli molto intensi in quanto, come tossicomani, sviluppano forme di “tolleranza al brivido”, cioè necessitano dosi sempre più alte di stimoli per ottenere le stesse emozioni: essi si abituano alla stessa sfida estrema e ricercano una ulteriore sfida per sentire il brivido, diventando sempre meno capaci di valutare i rischi, centrati sui propri bisogni fino al punto da guardare da vicino la morte, proprio come nelle dipendenze da alcune sostanze.
In questa categoria di persone, sono stati compresi gli amanti del B.A.S.E. jumping, una trasformazione molto pericolosa del tradizionale Bungee Jumping, in cui il livello di eccitamento cresce a causa del maggiore pericolo fisico che si corre, dal momento che l’attività di lancio nel vuoto si pratica da basi più basse quali “edifici, torri, ponti o basi naturali”, luoghi che nella lingua inglese rappresentano le iniziali dell’acronimo “B.A.S.E.” (Buildings-Antennas-Span-Earth) e dai quali è anche illegale praticare queste attività. La sfida ai limiti normativi, con una fuga spettacolare dopo la prestazione, rappresenta un ulteriore elemento che funge da stimolo per chi si misura con queste imprese “off limits”, ma in questi casi naturalmente un altro elemento eccitante è rappresentato dalla soddisfazione del narcisismo attraverso l’esibizione, talvolta messa in scena con vistosi costumi, durante la quale si riesce a catturare una grande attenzione da parte dei mass media, delle forze dell’ordine e degli spettatori presenti.
Ma esiste anche un vero e proprio volto oscuro della ricerca del brivido, ben distante dalla canalizzazione di certi bisogni umani in imprese fisiche e sportive: esso è personificato dai cosiddetti “T negativi”, cioè da coloro che tendono a rischiare in modo negativo, quelli che soddisfano i propri bisogni di avventura attraverso attività autodistruttive, come bere, correre in auto, abusare di droghe o attuando attività antisociali e delinquenziali.
In queste situazioni il bisogno di ricercare il brivido si combina ad un sistema di valori deteriorato e quindi a tendenze comportamentali negative o criminali, alimentato da un alterato senso della vita: il risultato è il perseguimento della propria passione, ponendo a rischio sé e altri.
Immunizzarsi alla paura
In molte persone le sfide estreme sono affrontate come se fossero una sorta di “vaccino contro la paura”, una ricerca di sicurezza nelle situazioni incerte. Queste persone vivono queste esperienze come un modo per superare i propri timori, guidati dalla convinzione (o dalla speranza più o meno esplicita) che, se si superano grandi sfide, poi si diventerà meno intimoriti dalle prove quotidiane.
In questi casi andare “oltre il limite” significa trasformare le proprie umane paure in sfide, attraverso una vera e propria guerra alle insicurezze personali: per questo frequentemente si sceglie un’attività che permette di sperimentare la possibilità di gestire le proprie angosce, sottoponendosi ad allenamenti preparatori che offrono una rassicurazione circa le possibilità di controllo del rischio e attraverso una preparazione mentale che precede la sfida e in cui si provano alcune sequenze di ciò che poi si sperimenterà, mentre si è guidati ad immaginare correttamente anche il vissuto, così come prescrivono le efficaci forme di cambiamento psicologico basate sulla visualizzazione immaginativa multisensoriale. In questo modo l’adozione di tecniche di visualizzazione completa nel corso dell’allenamento fisico, se necessario associata anche a tecniche di rilassamento e di regolazione delle proprio funzioni psicofisiologiche (es. Training Autogeno) diventano, con la sfida estrema, una possibilità per imparare a trasformare il terrore nell’ “ebbrezza della paura”.
L’imperfetta valutazione dei rischi
Esistono alcuni errori che si possono commettere nella valutazione del rischio che gli amanti degli sport estremi devono conoscere.
Tra di essi è compresa la tendenza a sopravvalutare le proprie probabilità di successo a partire dalla constatazione di precedenti prove identiche fallite, un errore di ragionamento che viene definita “fallacia del giocatore” (Cohen, 1964). In tali casi, sfide non dipendenti tra loro, vengono considerati interconnesse sulla base della credenza errata che, in una sequenza di eventi indipendenti, l’esito degli eventi precedenti possa influenzare l’esito degli eventi successivi, partendo dal presupposto che un successo debba prima o poi fatalmente verificarsi.
Inoltre, un elemento importante nella valutazione del rischio è la stima del grado di dipendenza degli eventi dal caso o, al contrario, dalle abilità individuali (locus of control). In genere chi tende a sentirsi meno esperto in un settore tende anche ad assumersi rischi minori, considerando più realisticamente l’intervento del caso.
Al contrario, l’aumento della fiducia nelle proprie abilità, tipico dei professionisti, tende a produrre una crescente (ma non reale) tendenza ad assumersi rischi (Langers, 1975).
Questo spiega perché spesso in certi contesti sportivi gli incidenti nascono quando si comincia a considerare eventi casuali come se dipendessero dalla propria volontà o dalle abilità personali, aumentando paradossalmente i rischi rispetto alle esperienze da principianti.
Nonostante le precauzioni prese attraverso l’adozione di una strumentazione sicura e gli studi preparatori basati su conoscenze della fisica, l’“elemento umano” per quanto imperfetto, rimane un fondamentale aspetto da conoscere approfonditamente nelle sfide rischiose, dal momento che è esso che prende il timone di fronte gli imprevisti che nel contatto con elementi della natura non mancano mai.
Riferimenti bibliografici
- Farley, Frank, 1991, “The Type T Personality.” In Lewis P. Lipsett and Leonard L. Mitnick eds., Self-Regulatory Behavior and Risk Taking: Causes and Consequences. Norwood, NJ: Ablex Publishers.
- Ferrero Camoletto R., 2005, Oltre il limite: Il corpo tra sport estremi e fitness, Il Mulino.
- Noble E. et al., 1998, D-2 and D-4 Dopamine-Receptor Polymorphisms and Personality. In American Journal of Medical Genetics, 81, 3, 257–267.
- Ponton, Lynn E., 1998, The Romance of Risk: Why Teenagers Do the Things They Do. New York: Basic Books.
- Wimmer, D., 2001, The Extreme Game: An Extreme Sports Anthology. Short Hills, NJ: Burford Books.
- Zuckerman M., 1994, Behavioral Expression and Biosocial Bases of Sensation Seeking. New York: Cambridge University Press.
Fonte: http://www.benessere.com/psicologia/arg00/psicologia_sport_estremi.htm
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