In Principio
In principio c’era una gola vuota, il Chaos, non disordine, confusione o mescolanza, solo Chaos, puro spazio “allargato”.
Simile ad un uccello dalle ali nere ed immense (un Drago?) regnava Nyx, la Notte. Il suo grembo di tenebre si gonfiò all’alito fecondatore del Vento e così nel vuoto venne deposto un uovo d’argento. D’oro erano invece le ali di colui che, in virtù del suo essere collegato al vento, balzò presto fuori dall’uovo e fu pertanto il Protogonos, il “generato per primo”. Lo si nominava anche con l’appellativo di Fanete, “colui che rende manifesto”, forse perché, rompendo il guscio dell’uovo, ne aveva rivelato il contenuto. Si trattava comunque di Eros, il dio dell’Amore, il più vecchio dunque tra gli dei, ma, al contempo, sempre “bambino”, perché in grado di attingere eterna giovinezza dalla forza di ogni cuore che sperimenta l’impulso amoroso, non importa se cuore divino o umano.
Qual era dunque il contenuto dell’Uovo d’argento? La totalità primigenia: Cielo nella parte soprastante e Terra (ma solo come ciò che è “altro” dal Cielo) in quella sottostante. Forse fu la forza stessa di Eros a indurre in Cielo e Terra il desiderio di accoppiarsi, per generare Oceano, il flusso primordiale e Tetys, la feconda, liquida profondità del grembo materno.
Non tutte le tradizioni elleniche però si figuravano, in principio, questo albero genealogico degli dei più antichi.
Nell’Iliade, in principio, all’origine degli dei del mondo sono subito preposti Oceano e Teti. Solo quando la creazione fu compiuta il primo (che dev’essere pensato come un “fiume”) si assicurò il privilegio di segnare il confine fra il disco del mondo e l’indeterminazione esterna, rifluendo eternamente in se stesso ed eternamente alimentando tutti i corsi d’acqua, le sorgenti e gli stessi mari. Quanto a Teti, avrebbe concepito con Oceano ben seimila figli, metà maschi, i fiumi e metà femmine, le Oceanine per smettere a questo punto di procreare dopo l’immane fatica.
Esiodo invece, il più antico dei poeti greci di cui l’esistenza sia storicamente documentata (diversamente da Omero la cui esistenza non è certa), pone a sua volta, in principio, all’origine l’informe Chaos, ma nel suo racconto è Gea, la Terra dal seno vasto e profondo, la prima divinità che assunse una vera e propria forma. Non di forma si poteva ancora parlare infatti per Erebo, le tenebre delle profondità e per Nyx, la Notte, entrambi sorti dal Chaos; e nemmeno per i figli da questi generati Etere, la trasparenza luminosa dell’ Aria ed Emera, il Giorno.
Forse per la misteriosa forza attrattiva di Eros, comparso con lei, Gea desiderò l’amore e a questo scopo si fabbricò un figlio, Urano, il Cielo stellato, che subito s’inarcò sulla madre in un abbraccio totale. L’esperienza dell’amplesso scatenò l’energia creativa di Gea, che, senza doversi accoppiare, si mise a procreare montagne, vallate, pianure e Ponto, il Mare, immenso deserto d’acqua increspato di spuma.
Se considerate dunque come divinità generate e non creatrici, Oceano e Teti appartengono alla schiera dei Titani e delle Titanesse, il nome collettivo impiegato per designare tutti i figli di Gea ed Urano, anche se la sua etimologia, che proviene dall’Asia Minore, li vorrebbe “figli del sole”.
Nonostante l’attrazione irresistibile che spingeva Urano a possedere la sua sposa ogni notte, egli odiava e invidiava i nati dalla loro unione costringendo la madre primordiale a tenerli dentro di sé, al riparo dalla distruttività paterna. Alla fine il suo utero, benché capiente e profondo, divenne un fardello troppo pesante e Gea decise di porre termine alla tortura. Traendo il ferro dalle proprie viscere, ne fece una falce dentata ed espose ai figli l’uso che intendeva farne. Il più giovane di essi, Crono, il Tempo, accettò di eseguire il piano della madre. Quando Urano, avvolto in una soffice coperta di nuvole, giunse di notte per unirsi come di consueto a Gea, Crono uscì dal nascondiglio, afferrò il padre-fratello per i genitali con la sinistra e con la destra tranciò mediante la rozza lama seghettata: il sangue cadde a pioggia su Gea che ne fu pregna. Dal drammatico ultimo contatto tra Cielo e Terra nacquero le Erinni, i Giganti e le ninfe dell’albero del frassino, le Melie.
Dall’ultima eiaculazione del membro divino di Urano caduto in mare, per condensazione della spuma, prese invece forma Afrodite dalle lunghe chiome, la dea dell’amore.
Anche l’Amore fu dunque in principio…
Non solo infatti la dea dell’Amore, nata dal sangue di Urano, è per questo “ante-nata” rispetto a tutti coloro che si raccoglieranno attorno a Zeus, viene prima sia che si voglia pensare al mare come elemento da cui cominciò la vita, sia che s’interpreti Afrodite come la misteriosa energia dell’Amore che alla vita stessa presiede assicurandone la continuazione più forte di quella distruttiva del Tempo.
Un omaggio alla dea dell’amore
Madre alla stirpe di Enea,
a tutti piacere numi o mortali che siano
Venere (Afrodite) che dai alimento di vita!
Sotto il cielo dove passan le stelle
fai che il mare sia sparso di navi,
e le terre sian feconde di messi:
tra i viventi di ogni essere nuovo
tuo è il merito se viene concepito,
se ha nascita e se vede la luce.
Oh dea te fuggono i venti
quando arrivi e le nubi del cielo;
ai tuoi piedi ad arte la terra
fa spuntare fragranti i suoi fiori,
ti sorridono le distese marine,
e nel cielo che s’è fatto sereno
chiara luce e diffusa sfavilla.
Così, non appena un giorno rivela
primavera, e dischiuso lo zefiro
fa sentire il suo soffio fecondo,
sono i primi gli uccelli, o divina,
a dar segno di te e del tuo arrivo,
il cuore scosso dalla tua forza.
Poi saltellan le fiere nei pascoli
lietamente, né la ferman le acque
dei torrenti che scorrono gonfi:
sedotta ognuno dalle tue grazie
brama seguirti, e non conta dove.
Per mari, monti e fiumi impetuosi,
per le frondose case degli uccelli
e i prati verdi ottieni alla fine,
dolce lusinga d’amore infondendo,
che di dar vita sian tutte avide
per propagarla specie per specie.
Lucrezio, dal poema “La natura”.
Fonte: Cerinotti – Grande libro dei Miti della antica Grecia e di Roma antica –
Cinzia Vasone
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