Parlando di Platone, ci troviamo di fronte ad uno dei più grandi esponenti del pensiero occidentale. Le sue dottrine hanno proiettato una luce, capace di superare le barriere del tempo e dello spazio, suscitando innumerevoli dibattiti in merito alle problematiche da lui affrontate. Platone fu senza dubbio un genio originale per il suo periodo storico, dal quale fu ovviamente influenzato. Ricordiamo le vicende politiche della Grecia tra il V e il IV sec. a.C. che lasciarono un’impronta indelebile nella formazione giovanile del filosofo. Atene, che per decenni era vissuta nel più fulgido splendore politico e culturale, ora si vedeva afflitta e assediata dalle temibili truppe spartane. Platone aveva circa diciotto anni, quando le mura di Atene furono rase al suolo ed un’orda di rivoluzione e di sangue divampò rovinosamente. Un panorama politico che evidenziava ancora di più le contraddizioni del sistema politico ellenico: da un lato la cultura vivace e quasi omogenea, esperienza unica forse tra le civiltà antiche, dall’altra la continua rivalità delle “poleis” che non ne consentiva un’unificazione statale. Qualche speranza di rinascita la fece intravedere il governo dei Trenta Tiranni, ma ben presto deluse anche più del precedente. Pur essendo stato invitato a partecipare alla vita pubblica, Platone rimase estraneo ad una partecipazione politica attiva, per non contaminarsi con la dilagante corruzione che abbracciava l’intero sistema governativo del tempo. Una situazione, si può dire, comune a tutte le epoche storiche e quanto mai attuale. Nella sua formazione culturale, Platone familiarizzò dapprima con Cratilo, allievo di Eraclito, dal quale ricevette la sua prima formazione filosofica. Ma l’esperienza più importante fu certamente il suo accostamento a Socrate, che aveva ormai raggiunto l’apice della notorietà, quando Platone era ancora ventenne. Quando l’amico e maestro fu ingiustamente condannato, Platone si rese ancora più conto della corruzione ormai dilagante nello stato ateniese. Vi erano già i sintomi di una decadenza generale che investirà tutta la Grecia e che avrà un momento di gloria solo con l’effimero impero di Alessandro Magno. Con la morte di Socrate, si va delineando il dramma giovanile che accompagnerà Platone per tutta la vita: un dramma sentito, sofferto, studiato, che darà vita ad un intero programma filosofico e che si intreccerà con altri grandi interrogativi, quasi come un mosaico che va gradualmente completandosi. La scelta di Socrate, di prendere la cicuta e di rifiutare la fuga offerta dagli amici, sarà risolta come “scelta etica”, l’obbedienza della legge fino in fondo, nonostante la sua manifesta ingiustizia. Alcuni pensatori cristiani vedranno in Socrate, con le necessarie distinzioni, una sorta di prefigurazione del Cristo, che, per il progetto di salvezza del Padre, obbedì fino alla morte in croce
L’intento principale del programma platonico sarà sempre l’edificazione di una società giusta mediante la filosofia. Nonostante non abbia partecipato attivamente alla vita politica ateniese, Platone fu l’unico discepolo di Socrate che giunse al convincimento della necessità per il cittadino di avere rapporti sociali e politici attivi e proficui. Gli altri discepoli di Socrate giunsero, invece, a considerazioni diametralmente opposte, cioè scegliendo la strada di chiudersi in un atteggiamento di solitaria ed indifferente saggezza, tipico modo di fare che adotteranno gli esponenti delle scuole filosofiche post-aristoteliche. Il programma politico di Platone, pur essendo in molti aspetti utopistico, è stato proiettato attraverso i secoli, e si è rivelato pietra miliare sia per sistemi teologici che materialisti, come ad esempio il comunismo. Platone ha dato un significato completamente diverso alla filosofia: essa fino a Socrate era considerata una ricerca come unico mezzo per rendere nobile la propria esistenza, invece Platone la rivolge ad esiti utili e positivi, mettendola a servizio della comunità. Ed ecco che la sua filosofia non si perde nei giochi di parole tipici della sofistica, nè in problemi esclusivamente speculativi, anche se ne affrontò in maniera notevole. Prima di cominciare nel 396 a.C. la sua fiorente carriera letteraria, viaggiò molto, soprattutto in Egitto, dove conobbe il famoso matematico Teodoro e nell’Italia meridionale (Magna Graecia), dove si fermò per lungo tempo a Taranto, per apprendere le dottrine pitagoriche. L’intento generale che guida la ricerca di Platone, si avverte già nelle prime opere, l’Apologia ed il Critone, nelle quali richiama i concetti primari dell’insegnamento socratico come la necessità di prendersi cura della propria anima. Tutte le opere di Platone sono espresse in forma di “dialoghi”, esigenza nata forse inizialmente per meglio spiegare il Socrate storico, del quale non abbiamo nessuna testimonianza scritta diretta. Nel “Protagora” e nel “Gorgia”, il filosofo delinea in maniera esauriente il grande programma di rieducazione della società attraverso la filosofia. Il linguaggio adoperato da Platone è colorito e vivace, ma ciò che rende più interessante le sue opere, è la carica drammatica e dialettica che anima la scena e il soggetto.
La profondità della filosofia greca raggiunge in Platone vette insormontabili, in alcuni campi razionalizzate meglio solo da Aristotele. Già nei suoi predecessori vi era stata l’aspirazione a ricercare la verità, a spiegare il perchè delle cose e della loro esistenza. Ma in Platone ciò avviene in una dimensione nuova, una dimensione che potremmo definire “più umana”: la sua visione è di carattere antropocentrico, anche nell’affrontare interrogativi di carattere cosmologico. Platone, nella ricerca dei “concetti” fondamentali rovescia il famoso motto di Socrate “so di non sapere” in “non sapere di sapere”. L’uomo sarebbe confuso in una miriade di opinioni poco chiare, di cui avrebbe un lontano ricordo. E da qui parte per formulare la teoria della “reminiscenza” o dell'”anamnesi”, che darà vita alle numerose osservazioni sul “mondo delle idee”. Quando acquistò un appezzamento di terra vicino al parco dedicato ad Academo, donde deriva il nome di “Accademia” attribuito alla scuola fondata dal filosofo, Platone si dedicò all’attività di insegnamento orale, nel corso della quale ebbe modo di chiarire meglio le proprie idee, di ampliarle o di correggerle. Nel “Menessemo” illustrò la “paideia” (formazione) che la sua scuola mirava a raggiungere, non mancando di esprimere giudizi e paragoni con altre scuole dell’epoca. Il problema fondamentale che si trovò ad affrontare fu soprattutto gnoseologico, se cioè la conoscenza è soggettiva oppure oggettiva. Platone si trovò davanti a due teorie in contrapposizione: da un lato il divenire eracliteo, dall’altro l’essere immutevole di Parmenide di Elea. Il genio filosofico trovò una giusta posizione intermedia, cercando di valorizzare sia il divenire di Eraclito che l’essere parmenideo. Con il “Fedora”Platone riesce ad ampliare il discorso iniziato nel “Menone”, recuperando la distinzione operata dalla famosa scuola eleatica tra “docsa” (opinione) e “aletheia” (verità): la verità non è ciò che comunemente avvertiamo con il semplice intervento dei nostri sensi, bensì è qualcosa che si può raggiungere soltanto con il pensiero, astraendoci dal mondo sensibile. Le “idee”, presenti nel “mondo ideale”, sarebbero anche la causa del mondo del divenire, rappresentando quindi gli “archetipi” della nostra realtà materiale. L’occasione per esplicitare meglio il concetto si presenta in una scena vivace e dinamica del “Simposio”, una riunione conviviale immaginaria tra i personaggi più illustri dell’antica Atene, come Socrate, il retore Fedro, il commediografo Cristofane, il politico Pausania etc. Dopo aver ascoltato le opinioni degli altri, Socrate individua nel personaggio mitologico “Eros”, l’essenza stessa della filosofia: egli infatti è povero e ricco nel contempo e possiede uno slancio dell’anima nella ricerca del “bello”. Quindi l’uomo comune con la forza dell filosofia può riuscire a cogliere le essenze immutabili delle cose; l’anima umana assume una forma intermedia e demoniaca, in quanto si colloca a metà tra il mondo divino e quello materiale. Queste sono posizioni che saranno estremizzate dai filosofi neoplatonici a partire dal I sec. d.C., soprattutto da Plotino e dalle correnti dello gnosticismo cristiano. L’insieme del “mondo delle idee” costituisce per Platone “l’iperuranio”, in esso vi è un’idea che sovrasta tutte le altre, possedendo una luce più sfolgorante ed accecante delle altre: l’idea del bene. Quest’ultima rappresenta la vetta più alta cui possa pervenire il filosofo, la maggiore aspirazione che deve animare coloro che si accingono alla filosofia. L’idea del bene è quasi il “destino” verso cui si dirigono tutte le cose
La “Repubblica” rappresenta il compendio del pensiero politico di Platone, pur presentando aspetti completamente utopistici ed eticamente inaccettabili per il predominante pensiero contemporaneo, come ad esempio l’adozione di modelli eugenetici, che prevedano l’eliminazione di persone non utili alla società, nonchè l’impossibilità di scegliere il proprio coniuge, imposto invece dallo stato e una forma di comunismo estremo, con l’eliminazione degli istituti della famiglia e della proprietà sociale, considerati nemici della “polis”. Ma nelle teorizzazioni politiche, forse la lacuna più notevole di Platone è quella di aver identificato la “politica” con la “filosofia”, distinzione che sarà ben esplicitata da Aristotele.
Il capolavoro di Platone, forse più conosciuto, è il “mito della caverna”, raccontato all’inizio del libro settimo della “Repubblica”, in cui analizza i vari gradi per arrivare alla conoscenza, distinguendoli in quattro: due relativi alla conoscenza sensibile e due alla conoscenza intellegibile. Gli uomini sono come schiavi incatenati nel fondo di una caverna e scorgono delle ombre che ritengono l’unica vera realtà (l’immaginazione), invece le ombre sono proiettate da statue (l’opinione) e all’esterno c’è il sole che potrebbe abbagliare e degli oggetti reali riflessi nell’acqua (oggetti matematici). Sollevando gli occhi verso l’alto, l’uomo potrebbe arrivare a scorgere lo stesso sole splendente, simbolo della visione filosofica e della stessa idea del bene. Dal ventesimo secolo il mito della caverna è diventato una metafora che simboleggia la manipolazione dei mass-media nei confronti degli individui. Molteplici, inoltre, sono i film degli ultimi anni, ispirati ad una fantomatica realtà olografica di cui sarebbe vittima l’umanità attuale o del futuro, coma la trilogia di Matrix, che raffigura la razza umana sfruttata e controllata dalle macchine, credendo di vivere liberamente nel XX secolo, mentre, in realtà, l’umanità è imprigionata, per ricavare energia necessaria alla sopravvivenza meccanica degli androidi.
SE VUOI SAPERNE DI PIU' SULLA NOSTRA ORGANIZZAZIONE E IL PERCORSO CHE PROPONE, TI INVITIAMO A CONSULTARE LE SEGUENTI SEZIONI:
Se vuoi saperne di più sulla nostra organizzazione e il percorso che propone, ti invitiamo a consultare le seguenti sezioni:
Puoi anche contattarci al seguente indirizzo: info@centrokuun.it.SE TI E' PIACIUTO L'ARTICOLO CONDIVIDILO SUL TUO SOCIAL PREFERITO
QUALCHE PICCOLO CONSIGLIO DI LETTURA