‘’Once’’, un film indipendente del 2006
scritto e diretto da un ex bassista di Dublino, arrivato in Italia solo nel 2008 tramite La Sacher Film, ha lentamente conquistato il cuore degli spettatori che lo hanno ASCOLTATO, diventando, anno dopo anno, una pietra miliare del cinema indipendente europeo.
Una pellicola affascinante e ricca di messaggi che arrivano al cuore dello spettatore solo dopo un’attenta analisi, magari dopo aver metabolizzato gli effetti della musica soave che, non a caso, si è aggiudicata il premio Oscar 2008 per la miglior canzone originale.
-SPOILER ALERT-
La pellicola è un’ insieme di elementi difficili da giudicare. Si regge su uno scheletro fragile; le emozioni raccontate suggeriscono qualcosa di molto AUTOBIOGRAFICO e arrivano allo spettatore solo tramite la musica, che in tutta la durata del film sussurra il VISSUTO SEMITRAGICO dei protagonisti. Entrambi sono costretti a convivere con il proprio dramma esistenziale, LUI (Glen Hansard, cantautore irlandese) è un musicista di strada che si guadagna da vivere riparando aspirapolveri col padre, ha il cuore spezzato da un tradimento e un’angosciante nostalgia che si traduce in tragiche canzoni; LEI, (Markéta Irglová) è una giovanissima immigrata ceca, con figlia e madre a carico, logorata dall’assenza del marito cinico e distante che sembra averla abbandonata restando in patria. La straziante povertà di lei, il passato di entrambi , le catene che la vita ha legato alle caviglie della coppia, sembrano sparire quando le loro voci si incrociano in “Falling Slowly” (la colonna sonora), nella quale l’anima di spettatori e protagonisti si intreccia in un insieme di emozioni che travolgono anche i più cinici. Dal primo respiro è evidente La consapevolezza del caos circostante e la necessità di qualcosa che non si ha neppure il coraggio di dire con chiarezza.
-Take this sinking boat and point it home, We’ve still got time-
-prendi questa barca che sta affondando e vira verso casa, abbiamo ancora tempo-
Negli acuti di entrambi si percepisce un alone di VERO che dona identità ai protagonisti, nota dopo nota.
Quando in una pellicola il protagonista è un MUSICISTA che rivela le sue e doti artistiche l’effetto è sempre affascinante .Gli esempi sono tanti: IL PIANISTA di Roman Polański ,Whiplash di Damien Chazelle, il finale di YOUTH di PAOLO SORRENTINO… un attore (o controfigura) che suona e canta per davvero dona al personaggio un’anima e la pellicola ne guadagna molto.
Il fatto che LUI E LEI fossero veri cantautori, e che per di più abbiano scritto le canzoni da loro cantate, ha donato all’intera storia un qualcosa di poetico, difficile da ottenere altrimenti. Sebbene fossero evidenti le mancanze dal punto di vista cinematografico ne è venuta fuori una piccola opera che lascia davvero molto.
Le imperfezioni della regia sono evidenti ma le si può mascherare con un tentativo di REALISMO e di MINIMALISMO.
La critica è spaccata in due, c’è chi non può accettare la lentezza della pellicola e le riprese che suggeriscono più un video amatoriale che un FILM D’AUTORE, e c’è chi non ne tiene conto, troppo preso dall’armonia narrativa realizzata con l’utilizzo di semplice musica e di immagini né pretenziose né artistiche. Il finale paradossalmente scorre velocissimo rispetto al resto del film ma rappresenta l’unica sequenza narrativa dopo una NOTTE DI MUSICA.
La pellicola non è altro che un LUNGO videoclip emotivo e suggestivo, a tratti esistenzialista. Dopo 90 minuti di canzoni introspettive e di discorsi che creano aspettative e suspense che non avranno sfogo (né durante il film, né nel finale); nelle ultime scene crollano i castelli in aria sia di protagonisti che di spettatori (lei svela che il marito tornerà a breve per riprovarci per il bene della bimba) e il sogno idilliaco di fuggire insieme o quantomeno ricominciare a sorridere nella vecchia Dublino si dissolve in un ULTIMO APPUNTAMENTO SALTATO. La musica nel finale non ha più lo stesso significato, e le vite di entrambi ricevono una scossa a tratti tragica e a tratti provvidenziale; lei torna dal marito con il quale non aveva nulla da condividere, lui scappa a Londra per inseguire il suo sogno di diventare un cantante e riabbracciare quella lei alla quale erano dedicate canzoni che hanno deliziato tutti per 90 minuti.
Un INDIE che che non pretende nulla, con un budget di soli $150.000, con protagonisti pagati dallo stesso regista e mezzi tecnici scadenti, riesce a sedurre e a suscitare qualcosa di sommerso nell’anima dello spettatore; un’ opera che si accontenta di ciò che vuole raccontare e dei mezzi con i quali può farlo , così come LUI accetta la vita, l’impossibilità di stare con LEI con la quale ha condiviso TROPPO in TROPPO POCO TEMPO, la necessità di tornare dalla protagonista dei suoi canti notturni che tanto lo ha fatto soffrire, inseguendo l’unica fantasia ancora realizzabile: sfondare con la propria chitarra e lasciare un pezzo di sé a LEI (il pianoforte del primo incontro) che custodirà anche quando saranno troppo lontani per sentire la musica l’uno dell’altra.
I desideri dei due estranei si realizzano, ma quelli degli innamorati soffocano in un LIETO FINE graffiato dalla tragicità del vero, sagace e ingiusto che costruisce rimpianti nuovi sostituendo i vecchi.
Francesco Salvati
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