L'urlo di Munch e la sua simbologia
Come è noto, “L’urlo” (titolo originale “Skrik”) è la denominazione assegnata ad una serie di celebri dipinti dell’artista norvegese Edvard Munch, uno dei più interessanti esponenti della pittura contemporanea.
Nonostante la particolarità delle raffigurazioni, l’ispirazione deriva da esperienze autobiografiche dell’artista, come da lui stesso riportato in una pagina del suo accurato diario. Munch sarebbe stato impressionato da un tramonto spettacolare che gli avrebbe mostrato il sole calante sotto l’orizzonte, come una spada infuocata di sangue, in grado di tagliare la volta celeste. L’esperienza visiva sarebbe stata così forte da creare anche una sorta di “suono” udibile dalle sue orecchie. Di quello che era stato un semplice ricordo annotato sul diario, Munch ne fece un poema nel 1895, che terminava con la frase significativa “I miei amici continuavano a camminare ed io tremavo ancora di paura. E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”. Si può dire che Munch cercò di trasporre la straordinaria visione del tramonto “rosso sangue” in una tela, che fosse capace di rendere visibile l’esperienza quasi “fisica” provata in quella sera d’estate.
La realizzazione fu molto lunga, richiedendo numerosi bozzetti di prova e molteplici tentativi diversificati. Soltanto nel 1893 fu completata la versione finale dell’Urlo, come prima parte di un ciclo di dipinti a cui lo stesso artista attribuì il nome di “Fregio della vita”. Nello stesso anno, tuttavia, Munch ne realizzò una seconda versione più accurata, mentre due anni dopo, ne elaborò una terza (un pastello su tavola venduto dalla casa d’asta londinese Sotheby’s nel 2012 per la somma stratosferica di 120 milioni di dollari).
L’urlo di Munch ha da sempre suscitato le più stravaganti ipotesi, tanto è vero che nel 2004 alcuni studiosi supposero che il cielo rosso sangue del dipinto, in realtà, riproducesse il cielo norvegese dopo l’eruzione del Krakatoa del 1883, quindi ben dieci anni prima rispetto alla realizzazione della prima versione del quadro. Tale ricostruzione, però, non è stata accolta come plausibile dalla maggioranza dei critici, in quanto l’episodio dell’esperienza extrasensoriale dell’autore si sarebbe verificata nel 1889, quando lo stesso affittò una piccola casetta con gli amici Christian e Frits, peraltro facilmente identificabili con le due figure raffigurate in prospettiva nel dipinto, nella parte posteriore rispetto al protagonista.
Nell’Urlo si nota un sentiero in salita sull’altura di Ekberg che sovrasta Oslo, la capitale norvegese, che spesso viene scambiato per un ponte, per la presenza di una parapetto che appare posizionato diagonalmente nel quadro. L’artista vuole rendere plastico un urlo “lancinante” ed “acuto” che possa assurgere a simbolo universale dell’angoscia collettiva, come un archetipo psicologico tanto caro al filosofo Jung. E’ di immediata evidenza che l’urlante è la figura che è posta in primo piano. Questo soggetto emana un terrore così profondo da essere costretto a prendersi il volto fra le mani e da perdere qualsiasi forma umana, come se il suo sentimento di orrore deformasse non solo lo spirito, ma anche il corpo. Con l’urlo, infatti, assume l’aspetto di un orrendo fantasma, senza scheletro, privo di capelli e deforme, alla stregua di un rettile. Le narici sono disegnate dilatate e gli occhi spalancati, per rendere bene l’idea dello spettacolo abominevole che si presenta davanti a lui. Ma il fulcro dell’opera è la bocca, verso la quale Munch tende a convogliare l’attenzione degli osservatori. Essa si apre in uno spasmo innaturale, emettendo un urlo di portata cosmica capace di distorcere l’intero paesaggio, evidenziando il pessimismo di fondo che permea la produzione artistica del pittore norvegese che, analogamente ad altri autorevoli esponenti culturali della sua epoca, tende ad esprime la cosiddetta “sfiducia di fine secolo” nei confronti dell’essere umano. Di grande significato simbolico è anche l’ambiente che circonda il protagonista della raffigurazione urlante. Gli altri due personaggi, non a caso collocati ai margini, rimangono fermi ed immutati, insensibili all’urlo e, di conseguenza, allo straordinario disordine emozionale del pittore, quasi a rappresentare la falsità e la superficialità dei rapporti umani. Anche il paesaggio che si intravede sulla destra si mostra poco accogliente, ad aumentare l’angoscia del protagonista. Ed in una visione di stampo apocalittico, il cielo è attraversato da lingue di fuoco, mentre le rosse nuvole sembrano intrise di sangue, come portatrici di morte e di distruzione. Il mare, invece, è disegnato in maniera forse ancora più inquietante, cioè come un’informe estensione nera, a significare la paura dell’ignoto che opprime l’animo umano.
Sotto il profilo tecnico, l’Urlo risulta di fortissimo impatto visivo, in considerazione dei vari colori complementari adoperati dall’autore: da una parte il rosso, dall’altra il verde; da un lato l’azzurro, dall’altro l’arancio. E’ molto abile Munch ad evidenziare il “cromatismo” della sua opera, collocando le tonalità calde nella parte superiore del quadro, mentre la somma degli elementi espressivi è posta nella parte bassa, creando una composizione bilanciata ed armonica. Il già citato sentiero ed il suo parapetto sono elementi non affatto trascurabili nell’economia figurativa del quadro. Senza di essi, infatti, la figura principale rischierebbe di confondersi con lo sfondo, perdendo la sua centralità ed individualità.
Attualmente dell’urlo di Munch esistono quattro versioni (oltre alle tre già citate, il pittore ne ultimò un’altra nel 1910). Tra queste, la più conosciuta è conservata nel nuovo Museo Nazionale di Oslo. Questo dipinto è stato trafugato per ben due volte: dapprima nel 1994, nel giorno dell’inaugurazione delle Olimpiadi invernali. Il primo furto suscitò molte polemiche, anche per la lucida ironia dei ladri che lasciarono un biglietto sul quale era scritto “grazie per la scarsa sicurezza”. Per fortuna la preziosa opera fu recuperata soltanto alcuni mesi dopo. Dopo dieci anni, nel 2004, l’Urlo fu rubato per la seconda volta, insieme ad un altro noto dipinto di Munch, “La Madonna”. Entrambi i quadri furono recuperati circa due anni dopo, ma sottoposti ad un importante lavoro di restauro, in quanto risultavano danneggiati dall’umidità.
L’urlo di Munch presenta tante particolarità che destano curiosità e stupore. Nel 1904, nell’angolo in alto a sinistra della prima versione, si notò una piccola scritta: “poteva essere stato dipinto soltanto da un pazzo”. Alcuni pensarono che si trattasse di un’aggiunta vandalica, ma successive analisi approfondite sono riuscite a stabilire che la frase era stata tracciata dallo stesso Munch a matita. Si può quasi pensare ad una sorta di autocompiacimento ironico: in fondo tutti i geni sono anche un pò pazzi. Ed inoltre il gesto si può anche leggere in chiave polemica nei confronti di alcuni critici d’arte che considerarono l’opera degna solo di un insano di mente.
Il dipinto può essere considerato come l’espressione allegorica dell’angoscia esistenziale. Ammirarne i suoi contorni può risultare un’esperienza suggestiva quanto complessa, perchè capace di coinvolgere e turbare il nostro inconscio. L’urlo è anche la personificazione del “caos” che, etimologicamente, indica l’aprirsi della terra e, quindi, nel caso specifico del dipinto, lo spalancarsi della bocca, come un’entità che tutto ingloba e divora. Il grido, inoltre, vuole infrangere le etichette della società borghese, imponendosi quale atto di “hybris”, cioè di vendetta, lanciando una sfida ai modelli estetici ancora predominanti nel periodo di Munch. Lo stesso artista si sentiva inadeguato a rappresentare quel grido che veniva dal profondo del suo essere, come dimostrano i numerosi tentativi di realizzazione. Secondo alcuni critici, l’urlo di Munch segna la nascita della corrente artistica dell’Espressionismo, caratterizzata da una relazione più stringente con le emozioni che riescono ad imprimere una speciale distorsione alle immagini, foriera delle proprie passioni personali.
Per la prima volta, con L’urlo di Munch, la pittura trova la capacità di far emergere l’ abisso interiore umano, arrivando a descrivere l’implosione dell’intera realtà, come se si trattasse di un’apocalisse che parte proprio dalla nostra anima.
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