Alessandro Pasquali, il giovane italiano inventore di una tecnologia che permette di trasmettere le informazioni con la luce e che è l’evoluzione – su lunghe distanze – del Li-Fi.

Il 29 ottobre a Milano è stato trasmesso un messaggio audio attraverso una semplice luce Led dal Palazzo Lombardia (sede della Giunta della Regione Lombardia) al grattacielo Pirelli (sede del Consiglio). L’occasione è stata la celebrazione del primo messaggio internet scambiato il 29 ottobre 1969 tra l’università di Los Angeles e il Research Institute di Stanford. Un evento che può essere considerato l’antesignano di una spedizione via internet e che riguardava l’invio di pacchetti di dati.
Il “ponte luminoso” tra le due sedi istituzionali, attraverso comuni led, è stato messo a punto da Alessandro Pasquali, inventore ed imprenditore che conduce esperimenti in questo campo da oltre 10 anni.
La fissa della Luce.
Alessandro Pasquali ha 28 anni. È da quando ne ha 16 che ha un’idea fissa: usare la luce, la sua onda, per trasmettere dati («qualunque tipo di dato, in codice binario»), al posto delle onde radio. «Per me la luce è il mezzo di comunicazione più universale che esista», dice. In campo aperto, le grandi aziende delle telecomunicazioni sono arrivate a trasmettere più o meno per trenta metri. Lui, da solo, per 33 chilometri.
Come la fibra ottica, ma senza la fibra !
Come la fibra ottica, ma senza la fibra: solo il “campo aperto” dei 33 chilometri del Canale della Manica.
«La prima notte a Dover è arrivata la polizia e mio fratello ha dovuto smontare tutto. Il giorno dopo ho preso il traghetto dalla Francia, ho percorso le scogliere a piedi per trovare un punto sicuro, poi sono tornato indietro a Calais. Alle undici il trasmettitore di mio fratello funzionava, ma il mio ricevitore no. Stavo lì al freddo, con la torcia, in mezzo al vento e al nulla: mezzanotte, la una, le due, le tre, niente. Per un secondo mi sono detto: missione fallita. Poi ho smontato e rimontato tutto. Funzionava. Ho ascoltato per intero la playlist di mio fratello».
L’inizio, estate del 2016
Era l’estate del 2016, il 27 luglio. Nove anni prima, «quando avevo ancora 16 anni, nel sottotetto della casa a Stelvio, in Val Venosta, dove sono nato, avevo fatto il mio primo esperimento». Un Led, una bozza di trasmettitore, una bozza di ricevitore. Risultato: «A dieci centimetri di distanza si sentiva la musica». In tre settimane, i dieci centimetri sono diventati un metro; nel giro di pochi mesi, decine di metri. A sette anni Alessandro costruiva piccoli circuiti, a dieci le prime radioline, «funzionanti».
Nel suo Dna ci sono l’amore per le comunicazioni radio e la passione per la natura e l’osservazione
Il Dna del radioamatore l’ha ereditato dal padre, ufficiale degli alpini, di stanza in Alto Adige fino a che Alessandro ha avuto cinque anni. Poi la famiglia si è spostata: il lago di Bracciano, Roma, Bologna, Varese e infine Lugano. Oggi il papà ha aperto una scuola di droni.
«Mi ha insegnato la tecnica. Invece mia madre mi ha trasmesso la passione per la natura e l’osservazione».
Gli studi
A Roma Alessandro studia all’Istituto Agro-ambientale, dove gli insegnanti lo incoraggiano a sviluppare le sue idee. L’insegnante di chimica, in particolare, gli trasmette la passione per questa materia. La tesi in fotochimica (a Milano Bicocca) non ha avuto tempo di finirla:
«All’inizio questi esperimenti erano un hobby, volevo tornare a fare la guardia forestale a Stelvio. Poi qui a Lugano ho iniziato a dare lezioni private di chimica: gli studenti si trovavano bene, si è sparsa la voce. Alla fine il direttore di un liceo privato mi ha chiesto di andare a insegnare».
Slux

Ha fatto esperimenti in pubblico: una “telefonata” con il padre attraverso le sponde del Lago di Lugano («esattamente un chilometro»), la trasmissione del messaggio del vicesindaco dalla vetta del Monte Bre fino in città, la riproduzione di un concerto in provincia di Cuneo, dalla cima di un castello. Qualcuno ha deciso di investire su questa mente fuori dagli schemi: così nel 2015 è nata la sua azienda, Slux.
MA È TUTTO VERO? Lux è luce e S sta per smart, super, swiss… Il laboratorio, be’, è una stanza del suo appartamento. Da qui compete con le aziende della Silicon Valley:
E’ tutta una questione di visione
«L’anno scorso sono stato in California sette volte, ho visitato tutti i più grandi nomi che esistano. Pensi un nome: ci sono stato. Erano impressionati, ma volevano sapere tutto subito…».
Come è possibile che un ragazzo, da solo, riesca a fare ciò che ingegneri e tecnici strapagati e con grandi laboratori non riescono a fare?
«Non lo so. Credo sia una questione di visione: io ho più un approccio basato sulla chimica, la fisica e la natura della luce. Loro sono più concentrati sull’oggetto, sull’elettronica».
Per capire questa visione basta entrare nella stanza-laboratorio (ordinatissima). «Qui nel primo scaffale c’è la teoria: la chimica». Tanti manuali e meravigliose fialette con liquidi fosforescenti e cristalli che reagiscono alla luce. Nel secondo ci sono gli attrezzi per montare i circuiti. C’è “l’angolo della radioattività”:
«A un certo punto mi sono fatto regalare dei contatori Geiger. Stavo per ore su Internet a cercare fonti di radioattività nei dintorni di Roma: alla fine, l’intelligence americana ha bloccato il computer di papà».
Poi c’è una valigetta in acciaio, che contiene un circuito (“il trasmettitore”) e una specie di cono, da cui esce un fascio di luce: il Led. «Funziona come l’antenna del Wi-Fi», dice Pasquali. In pratica, è attraverso la luce del Led che passano i dati. Come?
La rivoluzione in termini di Li-Fi
Gli strumenti di lavoro di Alessandro Pasquali, che con la sua tecnologia riesce a ottenere risultati ancora fuori dalla portata dei colossi delle telecomunicazioni. Con la tecnologia Li-Fi tradizionale, infatti, si può comunicare solo in spazi chiusi come l’interno di una casa. Pasquali, invece, riesce a inviare dati anche a decine di km di distanza, e tra stanze separate da una porta chiusa: in quest’ultimo caso, il segnale è trasmesso dalla poca luce che passa dal buco della serratura e sotto la porta.
Come funziona? Come si ascolta la voce del Sole?

Oltre al trasmettitore c’è un ricevitore, «una specie di radio che funziona con la luce», a cui è collegata una cassa. Il ricevitore è uno scatolotto che, appunto, “vede” il fascio di luce e, una volta colpito, fa sì che dalla cassa… esca la musica, per esempio quella del tablet. E se, con il ricevitore, si va in un’altra stanza, la musica continua a suonare. Sorride: «Questo, al momento, nel mondo non riesce a farlo nessuno». Ha superato la barriera della “visibilità”. Non è tutto. Se il ricevitore viene lasciato libero di captare la luce che entra dalla finestra, si sente un fruscio:
«È la voce del Sole. Sembra di sentire un fiume che scorre, e in effetti è così: un fiume di fotoni. Per me questo suono è molto rilassante. Il mio preferito».
Sogni e i segnali dallo spazio
Ogni tanto Alessandro si diverte: ha trasmesso usando la luce di una candela, ha registrato il “rumore” della luce di una lucciola (toc-toc) e il suono di una stella: «Questo vento, questo tremolio che si sente, è lo stesso tremolio che vediamo quando guardiamo una stella nel cielo…». Nella stanza c’è un cubo nero. «È un ricevitore molto sensibile, che serve a captare eventuali segnali dallo spazio», racconta. Ma si possono anche “spedire” messaggi nell’universo, grazie a una piramide in bronzo argentato collegata a un microfono, che raccoglie il suono e lo trasforma in messaggi luminosi.
Fonte: www.liberopensare.com
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