La paura dell’Abbandono
reca con sé sensazioni di grande disagio sociale: è la paura per eccellenza e per certi versi spaventa più della morte. La prima infatti è scandita dal logorio del tempo; la seconda segna la fine del tempo.
Vivere con la paura di morire é un po’ sciocco, perché toglie gioia alla vita da vivere e limita fortemente chi ne è affetto.
Paura insondabile é invece la paura di aver paura. Essa ti acchiappa quando non sai chi sei, dove vai; temi di andare ma non vuoi restare; vorresti sperimentare ma sei bloccato come un palo, senza possibilità di dar Energia ai tuoi progetti. Naturalmente la paura di avere paura é la sommatoria di tante piccole manie, ansie, dubbi, idiosincrasie.
Nella “top ten” delle paure un posto sul podio, va sicuramente alla paura dell’Abbandono. Chi ne soffre difficilmente n’è soggetto per meri paradigmi mentali, anche se pare che vi sia una predisposizione biologica accertata secondo le Cinque Leggi di Hamer.
Hamer, medico tedesco, ha ipotizzato che tutte le malattie possano essere catalogate all’interno di precisi schemi, detti “Cinque Leggi biologiche”, secondo cui, seguendo la “curva biologica” di risposta ad un dato “evento traumatico”, s’individuano le cause dell’insorgere di quella particolare sintomatologia, innescando al contempo processi di autoguarigione; vale a dire la Natura offre la “malattia” e la “chiave” per guarire, secondo dei suoi precisi meccanismi di difesa di tipo biologico e psichico.
Quale che sia l’origine della paura dell’abbandono, chi sperimenta forme di tradimento fisico e psicologico da chi si ama e/0 si stima fortemente (senza attaccamento non si percepisce tradimento e dunque abbandono), può essere portato a vivere la Paura di essere abbandonato a se stesso.
Essa paralizza tutto il sistema delle credenze dell’individuo, in quanto il soggetto portera’ avanti progetti, relazioni e sentimenti sempre con quel tarlo seminascosto, pronto ad affiorare al minimo traballamento interiore.
Una soluzione a tutte queste paure che risulti definitiva si può trovare, iniziando un lavoro socratico su se stesso di ricerca della matrice ancestrale su cui tali paure sono fondate.
Queste in verità sono come piante carnivore che hanno bisogno di un terreno fertile e di radici profonde per crescere.
Per imparare a non fungere da terreni fertili, consiglierei la meditazione mirata alla ricerca del Se’ che vive la paura, in quanto la centratura è un ottimo rimedio per ri-trovarsi e portare alla luce quella parte sofferente che altro non chiede se non di potersi esprimere per essere trasmutata. Le paure sono dissonanze psichiche di esperienze pregresse che lasciano un segno di richiamo, pronto ad attivarsi istintivamente e prontamente al ripresentarsi di situazione analoga al vissuto non ancora elaborato, causa di quel “trauma”.
Pochi sono gli uomini che possono dire di essere totalmente liberi da ansie e paure. Costoro hanno imparato a sentirle, ad affrontarle e a comprenderne il significato profondo per somatizzarle. Pertanto non ne sono immuni per qualche dono divino, come ad esempio volle la dea Teti per suo figlio, il pelide Achille, immergendolo nel fiume sacro Stige per renderlo invincibile e spalmandolo di ambrosia per farne un valente condottiero. Teti tra l’altro dimenticò di desiderare che Achille divenisse al contempo un guerriero sì forte ma anche onesto e leale, non preda facile delle passioni e di “ira funesta”.
L’Iliade narra che Achille, uomo fortemente litigioso, abbia sfogato la sua rabbia per la morte dell’amico Patroclo, oltraggiando il corpo di Ettore, il valente figlio di Priamo, re di Troia e fratello di Paride, nonostante fra Achei e Troiani vigesse un codice di onore che imponeva il rispetto dei defunti.
Egli, anzichè ammettere di essere stato la causa indiretta della morte di Patroclo, preferì negare i sacri riti funebri ad Ettore, la cui mano aveva dato la morte a Patroclo in un combattimento leale. Il fiero Achille non aveva paura della morte, ma dietro la sua ira, si nascondeva la paura di ammettere il suo errore per aver permesso all’amico di combattere in sua vece. Tutto sommato Achille fu un uomo mediocre che sfruttava il potere della sua forza fisica per compiacere i suoi bisogni di rivalsa.
La storia di Achille serve per comprendere come la paura di dover ammettere i propri errori ponga l’uomo di fronte al bivio di accettare la responsabilità delle proprie azioni, oppure d’individuare in un altro oggetto, la causa delle avversità. La paura di guardarsi allo specchio infatti può essere devastante, tanto che alcuni proprio come un achille, preferiscono negarsi la verità per non dover affrontare la propria meschinità. La paura della verità è anch’essa sintomo di rinuncia all’assunzione delle proprie responsabilità.
Ritengo importante dunque imparare a non aver paura di operare scelte, a non aver paura di ammettere i propri errori; a non aver paura di abbandoni o del dolore; a non aver paura della sofferenza per non chiamarla a sè.
Consiglio di meditare sulle proprie paure. Alcuni non sanno nemmeno identificarle, dar loro una connotazione per affrontarle. L’iroso Achille se avesse meditato anzichè schiumare di rabbia, forse avrebbe potuto comprendere il pericolo, impedendo a Patroclo di combattere le sue battaglie.
Se qualcuno mi chiedesse di dare dei consigli pratici per affrontare le proprie paure, risponderei di fermarsi in un luogo sereno (sedersi sotto un albero, ma va bene anche la camera da letto, il bagno, ovunque desideriamo stare).
Facciamo l’esempio di voler meditare sotto un albero. Se non sentiamo già un qualche legame con una data pianta, possiamo partire da casa con l’intento d’individuare “quella” che risuona maggiormente con noi. Camminiamo lentamente o balliamo nel bosco al ritmo di una musica che ci trasmette gioia e serenità, chiedendo alle piante di aiutarci a trovarLa. Possiamo camminare per tanto tempo o pochi minuti ma è là, pronta con la chioma rivolta verso di noi in un caldo e accogliente abbraccio.
Lasciamoci cullare da essa, mentre formuliamo la tacita domanda d’individuare e superare le paure che ci ostacolano nel cammino.
Respiriamo buttando prioritariamente fuori l’aria per consentire la fuoriuscita delle sensazioni di paura; poi prendiamo aria lentamente avendo cura di non sollevare le spalle, ma di riempire la cassa toracica; svuotarla, per riempirla di aria pulita donata dal nostro albero. Lasciamoci andare dolcemente. Consiglio di meditare ad occhi aperti, in quanto la fuoriuscita di paure potrebbe essere un forte momento che se non controllato potrebbe divenire a sua volta causa di paura di non avere piu paure da sventolare più o meno consapevolmente, per sentirci vittime di qualche fato avverso.
Respiriamo e meditiamo ad occhi aperti dunque; svuotiamo la mente; non cerchiamo chimere o visualizzazioni di sorta…lasciamo che sia. Lasciamo che gli Spiriti Guida del bosco ci indichino la Via, senza voler necessariamente “vedere”, basta “sentire”.
Sicuramente questa pratica, specie se reiterata, darà buoni frutti. I risultati potranno essere clamorosi o modesti, intensi o delicati; dipende tutto dalla nostra percezione e dal nostro modo di essere in questa dimensione.
Infine vorrei ricordare che non tutte le paure sono da considerarsi negativamente: proprio perchè indici di pericolo da affrontare, svolgono anche un utile lavoro di focalizzazione dell’attenzione su un dato evento. Le paure sono infatti segnali; sono dei “Semafori gialli” che richiedono attenzione. Sta all’individuo portare quel segnale sul “Verde”, anzichè sul “Rosso”, dove il rosso indica il raggiungimento della soglia di tollerabilità di quella paura, oltre la quale si profila l’abisso.
Le paure sono dunque occasioni per crescere, per elevarsi oltre i propri limiti; sono opportunità di elaborazione di vissuti profondi così remoti che per vari motivi si preferisce velare, anzichè darne ascolto, oscurandoli spesso nei recessi di noi stessi.
Il semaforo psichico, la cui luce gialla segnala la presenza di paura, offre l’occasione per uscire dal ciclo vitale che sorregge le paure stesse. Esso come un faro illumina la notte in cui si versa quando siamo preda di sintomatologie di forte ansia e stress.
Lavorando su noi stessi possiamo portare fuori il vissuto traumatico e/o i sintomi che limitano le nostre relazioni sociali, i nostri comportamenti portando quella Luce a fissarsi sul “Verde”, come indice di trasmutazione di sè, delle proprie emozioni, del proprio Io in un nuovo Sè totalmente rinnovato cosciente e consapevole.
Il mio Augurio è che ognuno possa imparare a trarre il giusto insegnamento dalle proprie paure, fissando nella psiche la luce del Semaforo sul Verde, indice di Armonia, ovvero del conseguimento di centratura spirituale.
Buon Semaforo a tutti.
Cinzia Vasone (08/01/2015)
SE VUOI SAPERNE DI PIU' SULLA NOSTRA ORGANIZZAZIONE E IL PERCORSO CHE PROPONE, TI INVITIAMO A CONSULTARE LE SEGUENTI SEZIONI:
Se vuoi saperne di più sulla nostra organizzazione e il percorso che propone, ti invitiamo a consultare le seguenti sezioni:
Puoi anche contattarci al seguente indirizzo: info@centrokuun.it.SE TI E' PIACIUTO L'ARTICOLO CONDIVIDILO SUL TUO SOCIAL PREFERITO
QUALCHE PICCOLO CONSIGLIO DI LETTURA