Una donna nuda con il mantello bianco, nella posizione della “nutrice”, allatta il Bambino, metafora della “rinascente” consapevolezza del sè spirituale (Albedo) indotta dalla Cultura greca (i ruderi). Un uomo vestito con eleganza, probabilmente un artista, cammina ai bordi del bosco con il lungo bastone, metafora del processo di trasformazione della libido sessuale nella coscienza creativa che si autodetermina. Il Bambino, la Donna “nutrice” e l’Artista sintetizzano in allegoria uno dei principi cardine della filosofia naturale elaborata dagli alchimisti sin dai tempi di Platone: la vita di ogni uomo non è affidata al caso, allo sviluppo meccanicistico delle pulsioni e della ragione e all’irrazionale progredire dei sentimenti e degli eventi nel corso del tempo, ma è “nutrita” da una forza misteriosa che muove dall’interno degli esseri fin dalla nascita.
Platone nel mito di Er lo chiama “Daimon””: “Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie una immagine o un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia è il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui il portatore del nostro destino.” Giorgione reinterpreta il mito di Platone partendo da un elaborazione filosofica e astrologica del Daimon, considerato dalla corrente di pensiero neoplatonica una potenza in atto nell’individuo sin dal momento del primo respiro.
Il Daimon
Che cosa è in effetti il Daimon? Per Giorgione, come per tutti gli artisti del Rinascimento, la Potenza in Atto nell’anima dell’uomo si manifesta in Tre Atti: Temperamento, Vocazione e Destino. La vita di ogni essere è condizionata infatti dal Temperamento di nascita (il Bambino) in grado di influenzare le risposte dell’individuo alle sollecitazione dell’ambiente. La filosofia dei quattro temperamenti elaborata nel Medioevo attraverso testi e manuali di matrice araba, ha una origine antichissima, risalente agli studi astrologici/filosofici compiuti dagli ebrei, dai persiani e dai Caldei. Il momento esatto della nascita disegna una sola e unica immagine (Carta del Cielo) in cui è possibile rintracciare il segno astrologico che sale all’orizzonte (Ascendente) che influenzerà per tutta la vita l’azione, i comportamenti e le scelte dell’individuo. Per Plotino (205 – 270 s.C.), il maggiore dei filosofi neoplatonici, noi ci siamo scelti i genitori, il luogo e la situazione di vita adatti all’anima e corrisponti alla sua necessità , per cui è l’anima che sceglie l’immagine attraverso cui evolvere nel suo Destino. Ma qual’è allora il Destino dell’anima?. Il Destino dell’anima è di evolvere il temperamento (energia di base) in carattere (amore), identità (coscienza) e persona (conoscenza di sè) considerati dagli alchimisti i Quattro Atti della Piccola Opera di nascita, trasformazione, trasmutazione e trasfigurazione della pulsione creativa in Vocazione (l’Artista).
Sulla base di questi pochi fondamenti di filosofia naturale l’Osservatore che si identifica nello sguardo dell’Artista, l’uomo elegante con il bastone, simbolo delal Piccola Opera, inizia a comprendere il significato del Mito costituito dalla coppia Madre nutrice (la carta di Nascita è come una madrina) e Bambino (Temperamento evolutivo) . L’artista osserva il “mito”, lo scruta e lo assorbe, consapevole delle forze misteriose con cui la natura rivela il suo terribile potere sulla fragile vita umana (il fulmine di Zeus). Temperamento (Bambino), Vocazione (artista) e Destino (Tempesta) sono le incognite di un gioco a cui mon possiamo sottrarci e rappresentano lo stretto cammino (il ponte) che conduce l’uomo dall’irrazionalità dei gesti inconsci (i limiti del bosco) all’interno della coscienza razionale condivisa (la città , simbolo di trasformazione laica della coscienza).
La Bella Addormentata nel Bosco
Per comprendere più a fondo il significato dei simboli elaborati sapientemente da Giorgione, al fine di trasformare la percezione intuitiva in conoscenza intuiva della natura umana, è possibile ricorrere agli artifici allegorici sviluppati dagli alchimisti nel tardo Seicento. Il tentativo di rispolverare i miti greci dalla “polvere” creata dallo spirito scientista che origina con Galilei e Torricelli, stimola l’immaginazione a sviluppare i doni “femminili ” della fantasia creativa.
Le favole del periodo barocco sono il veicolo privilegiato dalla psicologia umanistica per trasmettere l’energia del mito. Il mito ha un profondo impatto nella coscienza individuale e collettiva (vedi gli effetti nefasti del mito americano sulla decadenza dello spirito contemporaneo). Platone racconta quel mito affinché non dimentichiamo, poiché salvando il mito di Ur potremo salvare noi stessi e prosperare. Il mito (e non diversamente le parabole del Vangelo), insomma, svolge una funzione psicologica di redenzione, e una psicologia derivata dal mito può ispirare una vita fondata su di essa.
E’ possibile una diversa “formazione dell’io” fondata sul mito, sulle favole, sul cinema, sui romanzi e sull’arte? E’ possibile avventurarci fuori di riti generati dalla religione cattolica e dai rituali moderni per riscoprire nella selva (il subconscio), nel bosco (l’inconscio) e nelle foreste magiche (l’iperconscio) i semi di una rinnovata consapevolezza del ruolo decisivo del Daimon (temperamento, vocazione, destino) nel modellare le decisioni, le scelte e le non scelte dell’individuo? Oppure verremo nuovamente bruciati nei roghi e le nostre ceneri disperse nel vento?
James Hilman (Il codice dell’anima, 1998) invita alla “redenzione” la psicologia contemporanea, colpevole di trascurare la visione “romantica” dell’essere in cui convivono bellezza, mistero, estasi, esperienze straordinarie, vocazioni improvvise e inesorabile destino. Anche la neuroscienza riconosce all’io autobiografico (il temperamento) il merito di ricostruire un senso alla vita, di ricercare un significato unitario alle esperienze e individuare i segni di quella “vocazione” che porta a compimento “l’immagine di nascita”, il daimon, arteficie del destino dell’anima, in cui si ricompone quell’unicità “che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.” (pag. 23).
Viviamo immersi in un mito assurdo, quello “americano/capitalistico/liberale/consumistico”, che non appartiene al nostro dna mediterraneo. Ancora molti invidiano l’uomo- eroe che si è fatto da sé, che si è ritagliato il destino da solo con volontà incrollabile. A questo mito si è adeguata la psicologia accademica, scientista e teraupeutica che continua imperterrita a “spronare” l’io- centauro (vedi Botticelli) a cercare dentro di sé le redini per controllare il carro e dirigerlo verso il sole (lo Zenit), incapace di delineare e far emergere il senso della vocazione, “quel mistero fondamentale che sta al centro di ogni vita umana.”.
Eppure il mito di Er, descritto da Platone (Repubblica), riverbera immortale da secoli dentro di noi, nascosto nelle favole, nelle trame del cinema, nelle liriche della poesia, nelle immagini dell’arte e nei capricci dei bambini quando emerge imperiosa e urgente la volontà di manistarsi e di fare ciò che si desidera di più.
“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie una immagine o un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia è il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui il portatore del nostro destino.”.
La favola della “Bella Addormentata” descrive lo stato millenario di assopimento della coscienza individuale e collettiva rispetto alle verità annunciate dall’immagine di nascita. Una bellissima bambina nasce nella corte del Re e subito vengono convocate le fate madrine: Temperamento/Bellezza (il segno dell’ascendente di nascita), la Vocazione/Ricchezza (il pianeta sull’ascendente di nascita) e il Destino/Felicità (i nodi lunari). Purtroppo la terza madrina viene dimenticata e la maledizione cade sul futuro della Principessa. Punta da un fuso all’età di quindici anni/secoli (metafora di un lavoro autobiografico che improvvisamente si interrompe nella giovinezza) l’anima si addormenta per diciannove anni/secoli (il ciclo dei nodi lunari), il tempo necessario per conquistare la sicurezza materiale, ma non la felicità evocata dall’immagine frantumata nello specchio. La crisi dell’anima è un sonno profondo che coinvolge tutti gli “agenti della consapevolezza” (gli abitanti del castello rappresentano le qualità dell’intelligenza, della sensibilità, della ragione, ecc). Trascorso questo periodo di letargo il Daimon, nelle vesti del principe azzurro, si riaffaccia alle porte della torre e bacia per tre volte la Bella Addormentata.
Il primo bacio risveglia l’anima alle qualità evolutive del temperamento spirituale (l’animus del Gatto degli stivali). Il secondo bacio rivela i segni della vocazione creativa (la creatività di Cenerentola), mentre il terzo, rimuovendo il velenoso “mito” fondato sull’eliminazione razionale di tutti gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione della “Bellezza e della Ricchezza” (le matrigne cattive), trasforma i sette omuncoli (i sette nani), metafora dei semi di consapevolezza che l’anima incontra nelle opere generate dall’incoscio collettivo (il bosco), in una chiara comprensione del proprio destino (il matrimonio di Biancaneve(anima psichica soffocata dal morso della mela) con il Principe (la Realtà).
Dalle favole si impara una tecnica che gli artisti del Rinascimento fecero propria: l’immaginazione creativa posta al servizio dell’anima ha il potere di risvegliare la coscienza dal sonno dell’omologazione. Spesso gli artisti realizzavano opere “autobiografiche” per mantenere il contatto con il Daimon interiore, scoprendo così di ricevere da esso amore, protezione e conoscenza. A questo divino potere creativo, dionisiaco e trascendente, diedero il nome in codice di “Provvidenza Divina” , “Tempesta” e “Madre Misericordiosa”.
fonte:https://percezionealchemica.wordpress.com/2012/03/25/il-mito-di-er/
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