Come è ben noto, il nuovo rapporto dell’ONU sul clima ha ribadito la grave emergenza climatica attuale, sottolineando come i ghiacci si stiano sciogliendo in maniera esponenziale e come interi ecosistemi siano a rischio, a causa delle pericolose attività umane e la scarsa attenzione alla prevenzione. Il recente documento dell’ONU, redatto in maniera analitica, è risultato dallo studio di circa 7000 ricerche scientifiche che si sono basate su dati certi e confortate da elementi di supporto di natura scientifica. In precedenza, era stato elaborato già un documento sugli effetti del cambiamento climatico che avrebbe determinato un innalzamento della temperatura globale di 1,5 gradi entro la fine del secolo, con serissime conseguenze per una buona fetta della popolazione mondiale, nonché un altro report complessivo sugli effetti del cambiamento climatico sulle terre emerse.
Il nuovo rapporto ONU ha evidenziato come gli oceani abbiano progressivamente continuato a scaldarsi senza sosta, con un aumento esponenziale esploso negli anni Settanta. Le grandi masse d’acqua oceaniche hanno assorbito il 90 per cento circa del calore aggiunto e sprigionato dalle scorie derivanti dalle attività umane, cresciute a dismisura negli ultimi decenni e di dimensioni sempre più globalizzate. La velocità dell’assorbimento è aumentata ancora di più a partire dai primi anni Novanta, con effetti davvero devastanti per tutti gli ecosistemi. Di conseguenza è stato osservato che l’aumento della temperatura di vastissime masse d’acqua, come sono appunto quelle oceaniche, ha determinato un’espansione del volume degli oceani stessi, portando all’innalzamento dei livelli dei mari e all’erosione delle terre emerse. Il nostri pianeta, dunque, già impropriamente chiamato Terra, a causa del maggior volume di masse oceaniche rispetto alle terre emerse, sarà destinato a diventare “Mare”. Gli scienziati che hanno collaborato alla redazione dell’ultimo rapporto ONU sono concordi sul fatto che il segno più immediatamente evidente dell’avvio di questo disastroso processo, sia il progressivo, ma inesorabile scioglimento dei ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia, considerati gli indicatori più importanti della malattia del clima mondiale.
La calotta antartica, infatti, rappresenta la più grande massa di ghiaccio del nostro pianeta: gli studi hanno dimostrato che nel decennio compreso tra il 2007 ed il 2016, la perdita di ghiaccio è risultata il triplo rispetto al decennio precedente. La stessa cosa sta accadendo, più o meno, in Groenlandia, dove negli stessi anni si è verificata una consistente diminuzione del ghiaccio. E le previsioni per i prossimi decenni sono anche peggiori. Gli scienziati hanno trattato anche le tematiche riguardanti lo scioglimento dei ghiacciai presenti sulle catene montuose, arrivando alla catastrofica constatazione che alla fine di questo secolo, le Ande, le Alpi ed alcune catene montuose dell’Asia settentrionale potrebbero perdere fino all’80 per cento dei loro ghiacciai. L’unico modo per invertire tale drammatica rotta sarebbe quello di diminuire il quantitativo di anidride carbonica immessa nella nostra atmosfera, così come avvenuto negli ultimi decenni. Con l’aggravarsi della situazione, un numero sempre maggiore di persone avrà un accesso più limitato alle riserve d’acqua.
Come si è già accennato in precedenza, una delle conseguenze più consistenti dello scioglimento dei ghiacci è l’innalzamento del livello dei mari. Molti scienziati ritengono che questo processo sia diventato oramai irreversibile e che non possa più essere arrestato. Entro la fine del secolo, una vastissima area di coste basse, dove vivono circa 700 milioni di persone, potrebbe diventare inabitabile e numerose isole potrebbero trovarsi completamente sommerse dalle masse d’acqua oceaniche. Ciò potrebbe comportare imponenti flussi migratori con la necessità di ricollocare intere popolazioni di città e di località costiere. Gli oceani divenuti più caldi contribuiranno anche alla formazione di eventi atmosferici sempre più pericolosi ed estremi, con il possibile moltiplicarsi di uragani e di tifoni, in grado di provocare terribili inondazioni, in concomitanza al parallelo innalzamento del livello dei mari. Le ripercussioni immediate, tuttavia, non si avranno solo sugli abitanti delle coste, ma anche su quelli residenti lontano dal mare, in quanto peggioreranno le attività connesse all’agricoltura ed, in generale, tutte le attività produttive.
Notevoli scompensi climatici sono stati rilevati in zone, per latitudine, molto fredde, come la Siberia ed il Canada settentrionale, dove il suolo dovrebbe rimanere gelato in maniera costante in quasi tutti i periodi dell’anno. Tale fenomeno consolidato prende il nome di “permafrost”. Si ritiene, in tale contesto, che se le emissioni dovessero aumentare , si potrebbe arrivare addirittura allo scioglimento del 70 per cento del “permafrost”. Un processo di questo genere avrebbe come drammatica conseguenza la liberazione di centinaia di miliardi di tonnellate di anidride carbonica e di metano, che potrebbero vanificare numerosi sforzi timidamente messi in atto per ridurre le emissioni originate dalle complessive attività umane inquinanti.
Le problematiche legate ai cambiamenti climatici, però, non sono soltanto determinate dall’intensa attività umana. Nel corso della storia del nostro pianeta, si sono verificate diverse variazioni del clima, a volte anche di carattere repentino, che hanno portato la Terra ad attraversare diverse età glaciali, che si sono alternate con periodi più caldi denominati “ere interglaciali”. In realtà è stato assodato dagli scienziati che queste variazioni di clima sono da ricondurre in primo luogo ai cambiamenti periodici dell’assetto orbitale del nostro pianeta, chiamati anche “cicli di Milankovic”, con intense perturbazioni dovute all’andamento periodico dell’attività solare ed alle eruzioni vulcaniche. Le ricostruzioni storiche ed i modelli matematici hanno dimostrato che negli ultimi 2000 anni ci sono state numerose variazioni naturali, come il cosiddetto “periodo caldo romano”, l'”optimum climatico medioevale” e la successiva “piccola era glaciale”.
Le ricerche attuali, comunque, in base a studi approfonditi hanno concluso che i grandi cambiamenti climatici in atto non sono solo effetto dell’aumento delle temperature, della fusione dei ghiacci e dell’innalzamento dei mari nel lungo periodo, ma che la situazione è molto più complessa e. come accennato in precedenza, deriva da una predisposizione fisiologica del nostro pianeta. La differenza più importante è che nei secoli scorsi i cambiamenti climatici erano più lenti, mentre attualmente sono accelerati dalle attività umane. Secondo gli ultimi rapporti dell’ONU, dall’inizio della rivoluzione industriale la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è aumentata del 40 per cento, a causa del consistente uso di combustibili fossili, con una concentrazione del gas metano cresciuta del 150 per cento e del protossido di azoto di oltre il 20 per cento.
Vediamo ora in che modo l’allarme climatico mondiale interessa direttamente il nostro Paese. I ricercatori hanno osservato che in Italia le temperature stanno aumentando più velocemente della media globale. Il nuovo record tra il 2014 ed il 2015 ha registrato un aumento di circa 1,5 gradi rispetto al trentennio 1971-2000. Considerando i dati a disposizione nella loro globalità, si rileva che mediamente in Italia, l’aumento è avvenuto una volta e mezza in più rispetto a tutte le altre terre emerse ed il doppio dell’intero volume del pianeta. Vi sono quattro punti fondamentali su cui dovrebbero essere presi provvedimenti immediati e drastici. In primo luogo occorrerebbe provvedere a stilare un piano di chiusura di tutte le centrali a carbone, in previsione del fatto che l’intero settore dovrebbe chiudere i battenti entro il 2025. Il piano dovrà prevedere quando ogni centrale smetterà di essere operativa e, soprattutto, quali saranno le modalità in cui sarà smantellata. Il cosiddetto “piano del clima” dovrà occuparsi, poi, di diminuire il versamento di “soldi pubblici” che vanno a finire in “fonti sporche” di energia, in maniera progressiva, con una previsione capace di azzerarli intorno al 2040. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere indirizzati a sostenere fonti di energie rinnovabili e di efficienza energetica. Inoltre, è indispensabile chiarire come e quando verranno bloccate le attività estrattive, specificando in maniera dettagliata le vetuste piattaforme da archiviare in maniera definitiva. Vi è da dire che il nostro Paese è attualmente soggetto ad una sorta di “moratoria” riguardo ai nuovi permessi di estrazione petrolifera, ma a breve questa pausa salutare terminerà e si rischierà di dare a vita a nuove pericolose ed inquinanti concessioni di gas e di petrolio. E’ necessario, infine, provvedere a modificare il PNIEC (Piano nazionale integrato energia e clima) che non affronta in maniera adeguata il drammatico processo climatico ormai in atto. Secondo alcuni, se non siamo in una situazione del tutto irreversibile, comunque, mancherebbero pochissimi anni, per mettere in atto azioni utili a combattere contro i cambiamenti climatici. Ormai non possono più esserci ritardi od errori nella pianificazione e, forse, rispetto alla bozza di piano che dovrà essere approvato nel corso del prossimo dicembre, sarebbero auspicabili scopi di riduzione delle emissioni nocive ben più ambiziosi. In tale contesto, molto discussa, è la questione dell’uso del gas, ritenuto da alcuni come “amico del clima”, mentre da altri considerato uno dei più dannosi agenti nocivi, capace di emettere anidride carbonica in notevole quantità e, pertanto, da non annoverare nel gruppo delle “energie rinnovabili”.
La tematica degli scompensi climatici ha, tuttavia, provocato vivaci confronti tra i negazionisti e gli scienziati probabilisti. I principali nodi da scegliere sono: a) se il cambiamento climatico è un’emergenza reale; b) se si tratta solo di una visione di parte; c) quale ruolo gioca l’uomo in tale vicenda. Giovani attivisti, tra cui la più famosa negli ultimi tempi è stata Greta Thunberg, e personaggi dello spettacolo, come Leonardo Di Caprio, si sono dati molto da fare per diffondere nell’opinione pubblica una sensibilità tesa a prevenire l’esponenziale cambiamento climatico, facendo molto spesso discutere per le scelte dei metodi e dei canali di comunicazione utilizzati. Nonostante la comunità scientifica sia ormai generalmente concorde sull’esistenza del disastro ambientale, anche perché gli effetti sono ormai netti e visibili, è aumentato il gruppo dei cosiddetti “negazionisti”, di coloro cioè che considerano che il cambiamento climatico non esista o quanto meno che le sue conseguenze catastrofiche siano sovrastimate. Il negazionismo climatico nasce intorno al 1990, con la “Global Climate Coalition”, formata da compagnie petrolifere, dalla Camera di commercio e dall’Associazione nazionale delle industrie statunitensi. E’ inutile sottolineare che i precitati soggetti avevano interessi notevolissimi, affinché le proprie attività finanziarie non subissero una flessione, se non un crollo. Da tale ambito, la compagine dei negazionisti si è accresciuta fino a ricomprendere gruppi che non avevano immediati interessi economici da preservare. Gli psicologi hanno spiegato il diffondersi di questo fenomeno anche col fatto che il cambiament0 climatico non provoca uno “stato di allarme” immediato, apparendo spesso lontano nelle sue dimensioni temporali e spaziali. Simili strategie negazioniste sono state adottate anche nel campo del tabacco, dell’amianto, delle piogge acide, del buco dell’ozono, del fumo passivo e delle vaccinazioni.
Anche se l’uomo possiede i mezzi per costruire un futuro sostenibile, il panorama delle opinioni contrastanti sui metodi da adottare è veramente molto vasto, contribuendo alla confusione dei legislatori sulle misure economiche da mettere in atto, soprattutto in materia di decarbonizzazione. Il recente studio “Convenient Truths” (verità convenienti) contiene una sintesi delle ideologie europee riguardanti le tematiche climatiche, in relazione ai diversi orientamenti politici. Secondo tale studio, i negazionisti farebbero parte, per lo più, dei partiti populisti, mentre quelli più propensi ad attuare metodi drastici per prevenire la catastrofe ambientale si collocherebbero nell’area moderata. Una delle argomentazioni promossa dai negazionisti con maggiore insistenza, che fra l’altro crea un intenso dibattito anche con coloro della fazione opposta, è quella riguardante gli elevatissimi costi delle politiche climatiche e la loro presunta secondaria importanza, rispetto a problematiche percepite come più delicate (ad esempio la lotta alla povertà, le malattie e la fame). Di recente, allocuzioni come “surriscaldamento globale”, “eventi estremi” o “catastrofe climatica”, sono poste al centro di numerosi dibattiti che avvengono in televisione o sui social network. Attualmente il dibattito “on-line” fa parte ormai della nostra quotidianità. In ambito politico ed economico sono frequenti i casi di diffusione di “fake news”. In tale contesto, è da segnalare la recente lettera di protesta di alcune autorità pubbliche degli Stati Uniti ai grandi “colossi” GAFA (Google, Apple, Facebook ed Amazon), per sensibilizzare la loro responsabilità nella diffusione della campagna antivaccinazione. A seguito di questa lettera, le società menzionate hanno deciso di rimuovere dalle loro piattaforme i video contrari alle vaccinazioni.
L’importanza della necessità di creare un’efficace comunicazione sugli studi scientifici climatici è ormai riconosciuta come imprescindibile. La strategia vincente di sensibilizzazione può essere adottata solo con una sinergica collaborazione tra scienziati, cittadini e media, al fine di influenzare in maniera corretta la politica, diffondendo notizie oggettive e basate su dati certi. E’ necessario non sconfessare l’accordo di Parigi siglato nel dicembre 2015 che ha fissato per ogni Paese i “piani di autodeterminazione” per ridurre le emissioni di gas climalteranti. Il principio fondamentale è che ogni Paese non retroceda rispetto agli scopi dichiarati, presentando ogni cinque anni pianificazioni sempre più ambiziose. La prima scadenza è prossima: nel 2020…..A breve valuteremo i primi risultati….
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