Cristallizzazione dei Campi Psichici
Quando il CP nasce (istante del concepimento), la sua forma è priva di qualunque tipo di struttura. Esso è in uno stato di fluidità assoluta e un grado di sviluppo davvero primitivo, vicinissimo a quello della Coscienza Creatrice.
Com’è noto, durante la gestazione il feto evolve da embrione e pesce, ad anfibio, a rettile, a mammifero e sino a essere umano (ontogenesi). Parimenti, il CP muta il suo grado di sviluppo (probabilmente lo fa prima del supporto fisico, ma questo è un’affermazione che qualunque razionalista non accetterà mai) e, facendolo, già inizia a perdere una piccola parte della sua fluidità (la dimensione di tale perdita dipende molto dallo stile di vita della madre). Tuttavia, la prima, importante traccia nel CP è lasciata, ammesso che non si tratti di un cesareo, dal travaglio del parto.
È questo il vero inizio di ciò che ho denominato spirale (o chiocciola) mnestica (attenzione, perché questa non è ancora un Doppio Mnestico), ossia della struttura che caratterizzerà la dimensione psichica dell’individuo per il resto della sua esistenza.
Figura 1: chiocciola
Ciò che dovrebbe essere inteso a fondo è che la proprietà fondamentale del CP, a mente del suo scopo nativo (la produzione di consapevolezza), è l’astrattezza. Potremmo affermare che il CP si comporta come un server che non ha alcuna preferenza rispetto al “tipo” di consapevolezza da produrre. Al CP basta che ciò accada. Sarà il Sistema Monadico (SM) e/o Golemico (SG) che, comportandosi come un client, determinerà il tutto (vedi Teologia della Liberazione).
In conseguenza di quest’architettura “client/server”, ogni singola esperienza di vita produrrà un ricordo che il client (SM e/o SG) aggiungerà alla spirale mnestica, la quale espanderà nel tempo e nello spazio formando una vera e propria chiocciola, ossia l’immagine tridimensionale della specifica consapevolezza del singolo individuo. Ogni singolo ricordo sarà immagazzinato lungo la spirale la quale, nel tempo, spingerà il suo centro sempre più lontano dal corpo fisico e mantenendo, viceversa, la sua base a contatto con il medesimo.
Questo spiega bene perché l’anziano conserva una buona memoria dei fatti più antichi, mentre mostra difficoltà a ricordare nel breve periodo. I ricordi più lontani nel tempo si sono cristallizzati molto duramente e, per questo, sono recuperati e rivissuti con facilità. Quelli più vicini, anche grazie alla pochissima energia con la quale sono stati fissati, svaniscono velocemente (prima il percorso al memogramma, quindi il memogramma medesimo, l’argomento è trattato in “La Formazione del Doppio”). Nel complesso, l’anziano è assai verosimilmente rappresentato da una lumaca che procede molto lentamente, trascinandosi il peso della consapevolezza (Doppio mnestico) sintetizzata durante la vita trascorsa.
A chi potrà servire tale frutto una volta intervenuta la morte del supporto fisico, non è argomento di questo lavoro. Ciò che qui rileva sono le conseguenze, riguardo al processo creativo, che una tale struttura produce durante la vita di ciascuno di noi.
La spirale mnestica è costruita, un giorno dopo l’altro, grazie anzitutto al processo educativo e, di seguito e più in generale, alle esperienze di vita. La spirale è una struttura rigida poiché profondamente cristallizzata ed è alla base delle nostre abitudini.
Prendiamo ad esempio il bambino al quale è stato insegnato a legarsi le scarpe (cosa che probabilmente non si fa più da alcuni decenni nel mondo occidentale). A mente del pattern sopra descritto, prima di apprendere la tecnica e riguardo a questo specifico problema, il cucciolo è una sorta di libro bianco. Dopo l’apprendimento, il bimbo è cambiato perché, al posto dello spazio indefinito che esisteva prima, ora ha una precisa struttura neurale nella quale è stata immagazzinata quella specifica tecnica.
Turing, quando ha inventato la sua macchina, non ha fatto altro che copiare questo meccanismo. Ciascun cucciolo di umano, quando apprende una nuova tecnica fa questo: costruisce una macchina neurale che risolverà il quesito in quello specifico modo ogni qualvolta quel problema si ripresenterà. E se questo, a livello fisico, comporta l’ingaggio (verosimilmente, a vita) di un certo numero di neuroni, nella sfera psichica incrementa l’accrescimento della spirale mnestica (studi di neuro-immagine funzionale hanno mostrato che ogniqualvolta è appreso un nuovo comportamento, il numero di aree cerebrali attivate è molto alto. Dopo un limite critico di ripetizioni, il numero di connessioni coinvolte diminuisce. In quel caso il comportamento è considerato automatizzato).
Dovrebbe essere evidente che l’insegnamento di un qualunque linguaggio, dal più semplice al più complesso, porta il cucciolo verso una cristallizzazione sempre maggiore che si tradurrà, nella vita futura, in una serie di comportamenti costanti e profondamente meccanici. Tutto ciò sulla scorta di un ragionamento semplice: fornisco al bambino un insieme di metadati (i quali sono descrivibili, a loro volta, come un linguaggio strutturato) e, in questo modo, lo metto nella condizione di “fare altro” (sondare quanto questo sia sensato, non è tema di questo lavoro).
Il problema è che questo ha un prezzo enorme giacché, anche se non fosse presente la morbosità (cosa mai vera), una tale pratica cristallizza l’essere, condizionandone il potere creativo in modo esiziale. Non tanto perché il bambino avrà sempre un solo modo per legarsi le scarpe, ma perché tutto ciò comporta un più profondo livello di scrittura (cripo-metadati v. La formazione del Doppio) del suo brain e che riguarda la cifra emotiva che il bambino sviluppa rispetto al processo creativo. In altre parole, il cucciolo impara questo pattern e lo ripete all’infinito e, molto più spesso di quel che si possa pensare, a sproposito. Tanto che proprio questo meccanismo è ciò che sta alla base di False Personalità abnormi. Tutti i comportamenti disturbati, tutte le nevrosi, tutte le compulsioni e i disturbi psichici pensabili sono costruiti in questo modo.
Non è, tuttavia, necessario entrare nell’ambito delle patologie perché il problema della c. d. Falsa Personalità (FP) riguarda ogni individuo, senza eccezioni. E il processo che la genera lo abbiamo imparato sin dai primi giorni di vita, proprio attraverso l’insegnamento del linguaggio. Se fate caso, lo stesso meccanismo che governa la legatura dei lacci di una scarpa, funziona anche per il linguaggio. Solo che, in questo caso, le funzioni che dobbiamo approntare sono magari più piccole, ma tante di più. In ogni caso, sono algoritmi che risolvono uno specifico problema e restituiscono un risultato.
Nick è un neonato. Ha solo un paio di settimane di vita e passa il suo tempo fra il lettino e le braccia di mamma e papà. Nick è in braccio al padre che se lo coccola e, in modo del tutto istintivo, parla con lui.
Pa … pà ->
faccione sorridente del padre + boost emotivo che il faccione veicola ->
Creazione della funzione: viso del padre==pa … pà.
Spettacolo! Una minuscola struttura neurale è stata incistata in quelle che, da adulto, saranno le regioni più profonde della spirale mnestica. La conseguenza è che quella funzione si metterà in moto (sarà invocata) ogniqualvolta il piccolo Nick vedrà il volto del padre. E funzionerà sempre, anche quando papà sarà morto e sepolto (e, infatti, servirà al nuovo adulto per “istruire” i propri figli).
Molto bene, ora facciamo un salto di qualche anno. Diciamo che il nostro cucciolo ha cominciato a frequentare la prima classe elementare. Affermiamo, quindi, che per Nick aumentano le occasioni durante le quali egli è solo, ossia senza alcuno che gli insegni il linguaggio appropriato per gestire situazioni inattese come, ad esempio, un compagno che lo metta in qualche modo in difficoltà. Prescindiamo dal fatto che Nick sia o no un ragazzino “normale” e, quindi, dal tipo di risposta che potrà elaborare. Non c’interessa. Quel che, invece, importa è il metadato, ossia il modo usato da Nick per gestire il dato inatteso. Egli, infatti e a seconda dell’intensità emotiva, dopo aver infilato il dato in una nuova categoria di eventi, farà ciò che ha appreso sin dall’inizio: costruirà (a volo) una funzione che sia capace (almeno in base alla sua valutazione soggettiva) di gestire quell’intera classe di dati, salvando la funzione medesima nella spirale mnestica assieme a tutte le altre.
So, another brick in the wall. Credo sia agevole vedere come questo tipo di reazione, comune a ciascun individuo, una volta associata alla morbosità di Mente, possa molto facilmente generare enormi pezzi di FP giacché sulla scorta, ad esempio, di una contenuta tendenza paranoide molte funzioni vengono connesse e questo porta velocemente alla creazione di enormi golem unitariamente direzionati, vale a dire dotati di una significativa volontà propria (un golem è una macchina psichica che, a livello fisico, prende la forma di una vera e propria concrezione neurale).
Lo schema è semplice. E’ il centro emotivo che, verbalizzando il flusso di potere, compie l’atto creativo. Vedi il cavallo e pensi “toh, un cavallo”, il tutto avviene a tempo zero e, proprio in quell’istante, la funzione d’onda collassa e l’evento accade: il cavallo esiste. Il problema è che, se questo semplice e sublime atto potrebbe e dovrebbe essere esaustivo e auto esplicativo rispetto all’esperienza, la morbosità di Mente interviene a complicare all’infinito ciò che non ha alcun bisogno d’essere complicato. Spinto dalla morbosità, il Dialogo Interno (DI), unitamente al meccanismo appena descritto, fa crescere la FP in modo abnorme portando l’Io Osservatore molto lontano dalla sua stessa fonte creativa (il Centro Emotivo).
Questo ha un effetto tanto importante quanto deleterio giacché le strutture di FP così create, se da un lato acquisiscono autonomia, dall’altro richiedono continuo sostentamento energetico (e più sono grandi, più consumano). Questo è un conflitto reale e costantemente in atto nell’individuo perché l’io osservatore, impegnato in un costante DI che involge a turno tutte le strutture di FP, si vede continue richieste di risorse alle quali fatica non poco a opporre un rifiuto, giacché quelle strutture sono state create da lui stesso.
- Lo faccio o non lo faccio? No, non posso, mi fa male. Poi ingrasso, mi appesantisco …
- Nick, ho tagliato il salame, prendi il vino?
- Certo cara, arrivo subito!
La struttura ha vinto. In questo caso, per adottare una terminologia coniata da E. J. Gold, chi ha vinto è il Cronico, ossia una grossa e complessa struttura neurale, formata da numerose sotto-strutture le quali hanno tutte un contenuto diverso ma che condividono la stesso fine: aumentare l’autocommiserazione e l’indulgenza complessive in modo da garantire la sopravvivenza al golem di riferimento (il Cronico, appunto).
Nello specifico, durante gli anni della sua adolescenza e prima età adulta Nick può avere strutturato una serie di comportamenti diversi, tutti improntati all’indulgenza. Può avere sviluppato piccole dipendenze (alcol, alcuni farmaci), unitamente all’abitudine verso talune devianze sessuali (ad esempio, voyerismo) o altre amenità similari.
Il punto è che tutto queste concrezioni neurali si sono legate fra loro a formare qualcosa che è maggiore della somma di tali parti. Qualcosa che, segnatamente nei sogni di Nick, appare come un individuo laido o minaccioso, dotato di un’autonomia che può variare nell’intensità, secondo quanto Nick è vicino a uno stato definibile come patologico. Questo qualcosa è, appunto, il Cronico e, come entità autonoma, senza dubbio esercita un’importante forma di parassitismo rispetto alla Totalità psichica denominata “Nick”, giacché richiede alla Totalità medesima un crescente approvvigionamento energetico. In questa prospettiva, quindi, dovrebbe essere facile vedere la realtà del conflitto sopra accennato. Un conflitto che vede Nick alle prese con un mostro che lui stesso ha generato e che, con il tempo, diventa sempre più grande e potente. In buona sostanza, stiamo parlando di un parassita.
La cosa interessante, tuttavia, è che la valutazione funzionale in termini di parassitismo psichico può essere facilmente estesa a tutte le altre strutture neurali, a prescindere dal loro livello di complessità così come dalla loro connotazione “morale”. In ultima analisi, ogni “ambito nevrotico” realizza del parassitismo psichico. Di seguito un frammento tratto dalla “Formazione del Doppio” che descrive i c. d. ambiti nevrotici.
In sostanza, ogni metadato tende a realizzare un ambito nevrotico. Un metadato può essere semplice se è costituito da una singola informazione, oppure complesso se deriva da un insieme organico d’informazioni. Il linguaggio è un esempio abbastanza intuitivo di metadato complesso. Tuttavia, esistono numerosi “linguaggi”, ciascuno dei quali può svolgere un compito variamente specializzato e che, in ogni caso, tende a permettere lo scambio di informazioni fra individui diversi.
E’ evidente che, più tali linguaggi sono articolati e potenti, più spingeranno chi li utilizza a manifestare comportamenti specializzati, tuttavia e tendenzialmente, sempre uguali a se stessi. Ecco, questo fatto costruisce sicuramente ambiti nevrotici poiché, in modo molto semplice, sclerotizza i distretti mnestici.
Quando Tizio incontra uno sconosciuto, gli chiede due cose: come si chiama e cosa fa. La prima domanda cerca di ottenere un puntatore costante all’oggetto, un’informazione complessa che serve per individuare univocamente l’oggetto stesso e che è composta dal nome e dall’insieme delle informazioni non verbali che Tizio ottiene osservando l’individuo che gli sta di fronte. La seconda di determinare il linguaggio appropriato.
Per restare sul punto, poniamo il caso che Caio sia lo sconosciuto incontrato da Tizio e che, a domanda, risponda d’essere un medico. Cos’ha fatto Caio? Ha posto se stesso dentro un ambito nevrotico. Ossia dentro un’interfaccia costituita da comportamenti ampiamente predeterminati e, quindi, attesi. Attesi da chi? Da Tizio, ovviamente. Il quale, da quell’istante, non avrà più a che fare con un individuo sconosciuto, bensì con un medico. E questo è molto rassicurante. So chi ho di fronte, so cosa fa e cosa posso/devo attendermi da lui (se Caio avesse affermato di fare l’idraulico, sarebbe cambiata l’interfaccia, tuttavia il risultato sarebbe stato lo stesso). In sintesi, la conseguenza di ciò sta nelle seguenti situazioni:
- La prima comporta che la “standardizzazione” di determinate risposte rende possibile il controllo della paura che l’io osservatore deriva direttamente dal centro rettile. L’incontro con uno sconosciuto scatena all’istante la paura, poiché il rettile teme l’eventuale attacco di quel medesimo sconosciuto (un’istanza rettile gode di priorità massima). Perciò, saperlo “medico” piuttosto che “idrualico”, permette a Tizio d’adottare automaticamente comportamenti consoni al linguaggio richiesto dall’interfaccia con la quale sta interagendo. Questo, “garantendogli” risposte conosciute sotto il profilo formale, gli permette di tenere sotto controllo la paura, compresi i c.d. deliri paranoidi che ogni situazione sconosciuta e/o inattesa tende a scatenare.
- La seconda è il frutto velenoso della continua interazione dell’io osservatore con l’interfaccia, ossia la sclerosi estesa e profonda dei distretti mnestici. Mi riferisco alle devastanti nevrosi che chiamiamo variamente: medico, idraulico, avvocato, bagnino, notaio, prostituta, prete, operaio, imprenditore, casalinga, padre, madre, figlio e via dicendo. Ossia e in definitiva, il prezzo elevato che Caio paga all’interfaccia, perché questa metterà un tempo relativamente breve a sclerotizzare il suo Doppio in modo sempre più esteso e resistente, fino al punto nel quale egli sarà totalmente identificato con ciò che fa. Totalmente omologato dentro lo stile di vita imposto dall’ambito nevrotico che lui stesso ha scelto.
Gli ambiti nevrotici hanno una natura profondamente parassita. Sono stati sviluppati nel corso dei millenni e i più antichi e potenti sono, con certezza, quelli di “padre”, “madre” e “figlio”. Di seguito e dopo le figure parentali più strette, si collocano le guide spirituali (papi, patriarchi), quelle temporali (re, imperatori, leader politici, capitani d’industria) e giù, sino alle gerarchie sociali più basse e neglette.
Gli ambiti nevrotici appartengono alla struttura profonda della società umana e garantiscono uniformità alla follia attraverso la standardizzazione delle risposte. Di conseguenza, sono formidabili guardiani del sonno dei singoli individui.
Gli ambiti nevrotici hanno una natura profondamente parassita. That’s all. E la conseguenza di questo fatto è la profonda, drammatica meccanicità dell’esistenza degli esseri umani i quali appaiono realmente come dei burattini nelle mani dei parassiti che loro stessi hanno creato.
(continua … )
Honros
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