La vicenda di Giuseppe viene a cadere durante il regno di Haremab, faraone egizio
Giacobbe, il padre di Giuseppe era nato sotto il regno di Amenofi III e si trasferì in Egitto circa settanta anni dopo. In questo lungo arco di tempo si erano succeduti al trono d’Egitto Akenathon, Smenkare, Tutankamon, Ay e Haremab.
Haremab era un soldato di stirpe non reale, che aveva compiuto gran parte della propria carriera nelle province asiatiche. Quando s’impadronì del trono fece un repulisti dei funzionari corrotti o compromessi con la precedente politica filoittita, insediando uomini nuovi. E’ quanto accadde nella storia di Giuseppe, in cui vediamo alcuni funzionari di altissimo rango messi sotto processo e un non-egizio innalzato ad una importante posizione di responsabilità.
Dal racconto della Genesi risulta che Giuseppe era inizialmente uno schiavo destinato a svolgere il proprio servizio presso le carceri (Gn 39, 22-23), dove conobbe i due ministri “detenuti in attesa di giudizio”, di cui egli interpretò correttamente i sogni. Questo sembrerebbe un dato importante in quanto il Ministro ritenuto, dopo il Giudizio, innocente, avrebbe parlato delle doti divinatorie di Giuseppe al faraone d’Egitto.
Due anni dopo il giudizio dei due funzionari (Gn 41, 1) Giuseppe fu chiamato dal faraone, che, impressionato dalla sua interpretazione del famoso sogno delle sette vacche grasse e sette magre (corrispondenti a sette anni di abbondanza seguiti da altrettanti di carestia), lo innalzò alla carica di visir: “Tu sarai personalmente sopra la mia casa e tutto il mio popolo ti ubbidirà … io ti metto a capo di tutto il paese di Egitto”. Tuttavia sembra molto strano che il forestiero Giuseppe abbia potuto scalare così vertiginosamente la scala del successo, dalla condizione di schiavo a una posizione di tale prestigio, soltanto perché ad Haremab era piaciuta la sua interpretazione di un sogno; pertanto il racconto appare come una bella favola.
Vero è che gli Egizi davano grande importanza ai sogni, infatti le corti pullulavano di indovini; ma proprio per questo è inverosimile che Giuseppe sia divenuto gran visir di tutto l’Egitto solo perché la sua interpretazione del sogno apparve più brillante di quelle altrui. Il racconto è senza dubbio romanzato con l’aggiunta di particolari di fantasia e qualche evidente esagerazione.
L’esagerazione, tuttavia, non dovrebbe riguardare tanto i poteri di Giuseppe, che possiamo ritenere abbastanza vicini a quelli descritti, quanto l’estensione del territorio dentro cui tali poteri venivano descritti. Poiché il vero faraone Haremab e la sua corte risiedevano a Tebe, ben lontano dal delta del Nilo, non sembra possibile che un indovino-schiavo potesse essere ammesso alla corte del re sia pure per interpretare un sogno così inquietante come quello che aveva scosso l’ordinata vita del faraone; mentre non sembra esserci alcun dubbio sul fatto che Giuseppe risiedesse nell’area nordorientale del Delta. Quando i suoi fratelli giunsero in Egitto, infatti, per acquistare il grano, seguirono la pista della Palestina ed il primo grosso centro egiziano che incontrarono, quello che controllava la via da e per l’Egitto, era Avaris, sul ramo orientale del Nilo.
Giuseppe risiedeva sul posto ed era, a quanto risulta dal testo biblico, la massima autorità locale. I visir infatti erano autorità locali che governavano in nome e per conto del faraone e pertanto nel loro distretto esercitavano un potere assoluto, soggetto soltanto alla supervisione del potere centrale. Si trattava dunque di una carica molto ambita, a cui accedevano soltanto uomini di fiducia del faraone o del suo “gran visir”.
Il carcere di cui parla la Genesi era quasi certamente nella stessa città in cui Giuseppe era stato venduto come schiavo e di cui divenne governatore, cioè la città di Avaris. Non sembra possibile che Haremab abbia imprigionato i suoi ministri sotto inchiesta ad Avaris, a centinaia di chilometri di distanza da Tebe. Il racconto biblico si riferirebbe quindi al rappresentante locale del faraone e cioè al “visir del Paese del Nord”, che era allora Pramsess, come ci informa la cosiddetta “stele dell’anno 400”, trovata da Auguste Mariette nel 1865: “L’anno 400, il 4° giorno del 4° mese… sono venuti Seti, figlio del Principe Signore della città e visir Pramsess…”.
Pramsess era figlio di un certo Seti di Avaris, persona che alcuni storici ritengono di umili origini, il quale aveva fatto una discreta carriera nell’esercito, giungendo al grado di Comandante delle truppe. Il figlio seguì la carriera del padre ed entrò al servizio di Haremab. Durante il regno di Ay molto probabilmente il giovane ufficiale Pramsess svolgeva il suo servizio nelle province asiatiche, in Siria o in Palestina.
Quando Haremab salì al trono, Pramsess lo seguì a Tebe e dovette rendergli servizi preziosi, perché compì una carriera rapidissima, cumulando una quantità prodigiosa di altissime cariche: visir del Paese del Nord, sovrintendente ai cavalli, comandante delle fortezze, sovrintendente alle foci del fiume, generale dell’esercito, oltre ad una serie di cariche religiose. In breve Pramsess divenne la massima autorità dell’impero dopo lo stesso faraone, tanto che alla fine fu associato al trono di Haremab, a cui succedette con il nome di Ramsess I, dando così inizio alla gloriosa XIX dinastia.
Fu appunto negli ultimi anni di Haremab che Giuseppe divenne visir del distretto di Avaris, carica a cui poteva accedere soltanto un uomo di assoluta fiducia di Pramsess stesso. Più tardi quando Giacobbe (il padre di Giuseppe) si trasferì in Egitto, si vide assegnata la regione del Gosen, che dipendeva da Avaris ed era quindi nel territorio di Pramsess.
Conferma ne deriva dalla Bibbia stessa: “Tu (Giuseppe) sarai personalmente sopra la mia casa e tutto il mio popolo ti ubbidirà”. Ulteriore conferma è il versetto di Genesi 41, 45: “… e gli diede per moglie Asenath, figlia di Potifare, sacerdote di Eliopoli”.
Potifare era sacerdote del tempio di cui Pramsess era sommo sacerdote. Soltanto lui poteva dunque farsi promotore di un matrimonio così altolocato. Tutto quindi concorrerebbe a confermare come Giuseppe fosse un funzionario al servizio di Pramsess, visir del Paese del Nord e futuro faraone col nome di Ramsess I.
Ci sono inoltre elementi oggettivi che confermerebbero che il “faraone” a cui fu presentato Giacobbe, era non Haremab, ma lo stesso Pramsess. Non risulta infatti che il patriarca abbia effettuato un lungo viaggio via fiume. L’incontro avvenne dunque nell’area di Avaris e non a Tebe e pertanto il personaggio cui fu presentato doveva essere la più alta autorità locale. Se si considera che era persona a cui Giuseppe aveva accesso diretto, appare evidente che dovette trattarsi del suo superiore e cioè del visir del Paese del Nord, Pramsess.
Da notare come l’Egitto antico fosse interamente assoggettato alle annuali inondazioni del Nilo, che rendevano fertile il terreno; pertanto era anche soggetto a carestie ricorrenti, dovute al mancato aumento del livello delle acque del Nilo; perciò il Paese era attrezzato ad affrontare tali difficoltà, immagazzinando scorte di cereali negli anni di abbondanza. Giuseppe dunque non avrebbe fatto nulla di diverso della normali prassi da seguire: rientrava infatti nei compiti dei visir immagazzinare scorte negli anni “grassi” per ridistribuirle in quelli “magri”.
Quello che non è affatto normale è che la carestia di cui parla la Genesi non può essere imputabile ad un mancato aumento del livello delle acque del Nilo, ma sembrerebbe provocata da un irregolare andamento climatico. Essa colpì infatti non solo l’Egitto, ma contemporaneamente anche Paesi distanti dal Nilo, come la Palestina in cui risiedeva Giacobbe coi fratelli di Giuseppe. Fu quindi un fenomeno di vaste proporzioni che interessò, oltre all’Egitto, almeno anche l’intera area palestinese.
Resta da capire il perché dello straordinario favore accordato da costui a un forestiero come Giuseppe. La giustificazione addotta dalla Genesi, secondo cui fu l’interpretazione di un sogno a provocare il prodigio, non è molto convincente. Pramsess era rimasto senza dubbio favorevolmente impressionato dalle capacità divinatorie di Giuseppe, ma fu certamente qualcosa di più profondo che lo indusse a toglierlo dalla prigione per farne un suo sovrintendente. Doveva aver conosciuto in precedenza il padre di Giuseppe e nei suoi confronti doveva nutrire sentimenti di rispetto e amicizia. Lo proverebbe l’ansia con cui sollecita l’arrivo di Giacobbe: “Prendete vostro padre e affrettatevi”.
Data la gravità della carestia, dovrebbe esserne rimasta traccia nelle cronache egizie dell’epoca. Esse potrebbero così confermare la data esatta della venuta di Giuseppe in Egitto, che dovrebbe esser accaduta negli ultimi anni del regno di Haremab o nei primi anni del regno di Pramsess, ovvero il faraone Ramsess I.
La questione tuttavia non ha alcuna rilevanza perché non ci può essere dubbio che fu comunque Ramsess a concedere a Giacobbe l’autorizzazione a risiedere in Egitto. L’incontro quindi avvenne certamente nell’area di Avaris e non a Tebe e pertanto il personaggio cui fu presentato dovette trattarsi della più alta carica locale. Se si considera come fosse persona a cui Giuseppe aveva accesso immediato e con cui aveva un evidente rapporto confidenziale, se non di amicizia vera e propria, appare evidente come molto probabilmente dovette trattarsi del suo superiore diretto e cioè del visir del Paese del Nord, Pramsess.
E fu così che con l’arrivo di Giacobbe e di tutti i suoi figli, con le loro mogli ed i loro bambini, Israele si trasferì in Egitto dove rimase per secoli, ma questa è un’altra storia.
Fonte: Flavio Barbiero “La Bibbia senza segreti”.
Cinzia Vasone
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