La nube di Oort ed il misterioso pianeta X, ai confini del sistema solare
Parliamo delle nube di Oort e del misterioso pianeta X, ai confini del sistema solare…
La nube di Oort è situata ai margini estremi del nostro sistema solare e non è stata mai osservata direttamente, in quanto troppo lontana ed oscura perfino per i telescopi più sofisticati. La prima ipotesi riguardo alla sua esitenza risale al 1932, quando Ernst Opik formulò la teoria secondo la quale le comete di lungo periodo potessero nascere da una nube di corpi celesti, posizionata ai confini del nostro sistema solare.
Circa due decenni dopo, fu l’astronomo olandese Jan Oort a riprendere l’idea, partendo dalla constatazione che le orbite delle comete fossero molto instabili, destinate a collidere con il Sole o con altri pianeti, oppure ad essere espulse dal nostro sistema stellare. Inoltre, Jan Oort osservò che il ghiaccio e gli altri elementi volatili che compongono le comete ne determinano la dispersione graduale, a causa della radiazione elettromagnetica, fino al momento in cui la cometa si riduce di volume, diventando uno strato di crosta isolante, con la conseguenza che si rallenta la perdita dei gas. Da questi elementi, Oort dedusse che le comete non si erano formate nella lora orbita attuale, ma che provenivano da una remotissima regione spaziale, dove rimanevano in orbita per lungo tempo. L’astronomo olandese riuscì a distinguere anche i due principali gruppi di comete, ricavando altri elementi utili per confermare l’esistenza della grande nube. Le comete, infatti, furono suddivise in quelle cosiddette di “corto periodo”, che compiono un’orbita inferiore alle 10 Unità Astronomiche e le comete di “lungo periodo”, con orbite superiori alle 1000 U.A.. Proprio l’analisi della seconda categoria di comete, portò Oort a comprendere che la maggior parte di esse aveva un afelio (la distanza maggiore dal Sole) di ben 20.000 U.A., provenendo nel contempo da tutte le direzioni. Questo particolare suggerì che la loro origine potesse essere individuata in una sorta di deposito di forma sferica.
Gli studiosi hanno posizioni diverse sull’effettiva estensione della nube di Oort, per cui ci si affida per lo più a stime approssimative e basate su eventuali calcoli matematici. Alcuni ritengono che essa si trovi tra le 2000 e le 5000 Unità Astronomiche dal Sole, fino ad arrivare alle 50000 Unità di distanza; altri, invece, pensano che possa estendersi dalle 100.000 UA fino alle 200.000, ad una distanza siderale veramente notevole dalla nostra stella. Gli astronomi che seguono la prima ipotesi, per la verità maggioritaria, suddividono la nube di Oort in due diverse regioni: quella esterna, situata tra le 20000 e le 50000 UA di distanza dal sole, avente forma sferica, e quella interna tra le 2000 e le 20000 UA, di forma quasi toroidale.
La parte esterna della nube è quella più lontana e non ha molti legami con il sistema solare, se non come zona di origine delle comete di lungo periodo, mentre la parte interna, detta nube di Hills, dal nome del suo scopritore, dovrebbe contenere al suo interno un numero impressionante di comete, anche centinaia di volte maggiore a quello della nube esterna. Gli scienziati calcolano che, nonostante l’elevatissimo numero di comete presente nella nube di Oort, ognuna di essa è separata dall’altra da decine di milioni di chilometri.
La nube di Oort costituirebbe una parte residuale dell’antichissima nebulosa da cui si formarono il Sole ed i pianeti del nostro sistema stellare, circa 5 miliardi di anni fa.
Una parte della comunità scientifica, tuttavia, grazie all’utilizzo di modelli più sofisticati e dettagliati, ha ipotizzato che la nube di Oort non si sia formata insieme al disco proto-planetario che circondava il Sole dopo la sua nascita, ma che abbia avuto un’origine extrastellare. Il Sole potrebbe aver attirato un copioso numero di piccoli corpi ghiacciati, quando essi ancora facevano parte di un ammasso di stelle in via di separazione. Si pensa, infatti, che il Sole si sia formato insieme ad altre centinaia di stelle, addensate all’interno di una nube di gas.
E’ probabile che anche le altre stelle abbiano una nube di Oort e che, in alcune occasioni, i bordi delle nubi di due differenti sistemi possano addirittura sovrapporsi, creando fenomeni di “intrusione cometaria”.
Come abbiamo detto in apertura, l’esistenza della nube di Oort è solo ipotetica, per l’impossibilità di essere osservata ad una distanza così vertiginosa, stimabile fino a 3.000 volte quella tra Nettuno e la nostra stella.
L’importanza teorica della nube di Oort, come già introdotto, è determinata dal fatto che da essa si discostano alcuni corpi, aventi orbite molto instabili, o per vicendevoli collisioni, che cambiano traiettoria, dirigendosi verso il Sole dal quale sono riscaldati, assumendo l’aspetto di quelle che noi chiamiamo “comete”. Quando esse entrano nell’orbita di Giove, il calore del Sole è già sufficiente a stimolare l’evaporazione degli strati ghiacciati più esterni, cosìcchè intorno al nucleo si forma una nuvoletta di gas e polveri, denominata “chioma”. Con l’azione del vento solare, si crea un getto continuo di particelle che vengono scagliate nello spazio ad alta velocità, formando la parte detta “coda”, che si estende sempre nella parte opposta rispetto alla posizione del Sole. Le continue osservazioni hanno dimostrato che alcune comete impattano nella nostra stella, mentre altre vi girano intorno per scomparire nello spazio profondo e poi ritornare dopo tanti anni, secoli o addirittura millenni. Una delle più famose è la cometa d Halley che proviene dalla fascia di Kuiper: essa si avvicina al Sole con una periodicità di 76 anni (l’ultimo avvistamento, infatti, risale al 1986).
Le comete possono essere suddivise in quattro gruppi, prendendo come parametro di riferimento le loro orbite. Nella prima categoria si includono le comete a corto periodo, con una frequenza inferiore ai 20 anni e caratterizzate da orbite eccentriche. La maggior parte di esse si muove sul piano dell’eclittica, il piano ideale dove ruotano tutti i pianeti del sistema solare, Nel secondo gruppo vi sono le comete cosiddette “a periodo intermedio”, tra i 20 ed i 200 anni, con orbite ellittiche molto eccentriche e, per lo più, provenienti dalla fascia di Kuiper. Nella terza serie troviamo le comete a lungo periodo, con una periodicità superiore ai 200 anni che presentano orbite ellittiche marcatamente eccentriche, legate alla lontanissima nube di Oort. Nel quarto ed ultimo gruppo, infine, si individuano le comete non periodiche o extrasolari che seguono orbite paraboliche od iperboliche, destinate ad abbandonare in maniera definitiva il sistema solare, una volta transitato il punto più vicino al nostro astro.
Dal punto di vista astronomico, la vita delle comete ha una breve durata, in quanto al loro nucleo viene progressivamente sottratta materia, a causa dei frequenti passaggi vicino al sole. Quando la materia è troppo esigua, la coda non ha più la possibilità di formarsi, rimanendo solo un piccolo corpo roccioso, oppure se questo non è adeguatamento compatto, l’ex cometa può scomparire in un ammasso di polveri.
Nei casi in cui la cometa presenta un nucleo consistente, può accadere che essa si trasformi in un asteroide inerte, non suscettibile di ulteriori cambiamenti. La distruzione di alcune comete può avvenire in maniera violenta, potendo essere inghiottite dal Sole o per la collisione con altri pianeti, evento che purtroppo si verifica con una certa frequenza.
Tra le varie comete, forse quella che ha impressionato maggiormente l’immaginario collettivo, è la già citata cometa di Halley, dal nome del suo osservatore. Essa è considerata la più brillante delle comete periodiche ed i suoi riferimenti storici si perdono nella notte dei tempi. Già nel Talmud ebraico, è presente un passo che recita così: esiste una stella che appare una volta ogni settanta anni, e rende confusa la volta celeste, inducendo in errore i capitani delle navi. Probabilmente questa citazione è da mettere in relazione con il perielio dell’anno 66 d.C., l’unico avvenuto durante la vita di Yehoshua ben Hananiah, al quale si attribuisce lo scritto di cui sopra. In epoca medioevale la cometa di Halley fu rappresentata sull’Arazzo di Bayeux, ed i resoconti dell’epoca ne resero una grandiosa celebrazione, delineandola quattro volte più luminosa di Venere, oppure con una luce pari ad un quarto di quella irradiata dalla Luna. Di sublime impatto visivo, è la cometa raffigurata nell’Adorazione dei Magi di Giotto, adagiata sulla capanna della Natività. E’ probabile che l’idea del geniale artista sia nata da un’osservazione diretta della cometa di Halley avvenuta tra il 1301 ed il 1302. In epoca moderna, è stato significativo il passaggio del 1910, in quanto avvenuto moto vicino alla Terra, creando memorabili vedute, testimoniate perfino nel diario del grande letterato russo Tolstoj. Meno spettacolare è stato il passaggio del 1986, a causa dell’inquinamento luminoso dovuto alla dilagante urbanizzazione, che non ha consentito a un gran numero di persone di osservarla. Il prossimo passaggio è atteso per l’anno 2061/62.
Interessante e suggestiva è la relazione della Nube di Oort, con l’ipotetica esistenza di Nemesis, considerata una “nana bruna” orbitante a ben 50.000 U.A. dal Sole.
Molti astronomi hanno osservato che nella nostra galassia vi sono numerosi sistemi binari, con due stelle, se non addirittura ternari, arrivando a formulare l’ipotesi dell’esistenza di Nemesis, la cui presenza renderebbe anche il nostro sitema binario. Al momento la maggior parte della comunità scientifica nega l’esistenza di Nemesis, ma vi sono alcuni fattori che hanno fatto molto riflettere, favorendo ulteriori studi.
In particolare, la ricorrenza di periodiche estinzioni di massa potrebbe essere legata a determinate posizioni orbitali di Nemesis, dalle quali provocherebbe il lancio di una cometa, situata nella fascia di Kuiper o nella nube di Oort, verso il sistema solare interno e, pertanto, anche inesorabilmente verso la Terra. Il nome di origine greco attribuito all’ipotetica stella, traducibile con il termine “vendetta”, la farebbe apparire quasi come il “gemello cattivo” del nostro Sole. Nemesis sarebbe meno potente della sua stella gemella che, durante la fase del proprio accrescimento, le avrebbe strappato la maggior parte delle polveri e dei gas. Le prove della sua esistenza non sono state mai trovate, anche se alcuni le vorrebbero individuare nella strana orbita del piccolo pianeta Sedna che sembra influenzato dalla forza gravitazionale di un misterioso oggetto celeste.
Secondo alcuni studiosi, Nemesis si avvicinerebbe al Sole ogni 26 milioni di anni, trovandosi ad una distanza variabile tra l’uno ed i tre anni luce da esso. In apparenza sembra una distanza incolmabile, ma non tanto se consideriamo la scala siderale in cui sono collocati altri astri da noi conosciuti, come ad esempio Proxima Centauri, che si trova a soli 4,2 anni luce dalla Terra. Quando Nemesis si accosterebbe al Sole tracciando la sua orbita irregolare, attraverserebbe la nube di Oort, provocando uno scompenso in quella remota regione, con la conseguente spinta di comete ed asteroidi verso il sistema solare interno. Gli astronomi suppongono, inoltre, che Nemesis possa possedere un proprio piccolo sistema stellare, capace di influenzare le orbite degli altri pianeti. Possiamo dire con un pizzico di fantasia che la piccola nana bruna, invidiosa del Sole, periodicamente torni per vendicarsi dei torti subiti dal nostro astro, diventato molto più potente e splendente.
Altrettanto enigmatica è l’esistenza del pianeta X, o anche IX, visto che Plutone non è più considerato un vero e proprio pianeta, ma lo chiameremo X, non inteso come decimo, bensì come incognita. Gli astronomi iniziarono a pensare alla sua presenza, osservando alcune discrepanze nell’orbita di Nettuno, anche se il tema di un ulteriore pianeta misterioso nella parte più remota del sistema solare affonda radici lontane.
Per alcuni studiosi il pianeta X sarebbe da identificare con il già citato corpo celeste chiamato Sedna, dal nome del dio dell’oceano del popolo Inuit, che dovrebbe avere un diametro tra i 1700 ed i 2000 chilometri, distante 13 miliardi di chilometri dalla Terra ed inserito nella grande nube di Oort. L’individuazione di Sedna ha riacceso il dibattito fra gli studiosi su quale debbano essere i parametri per distinguere un pianeta da un asteroide, o includerlo nella categoria intermedia dei “pianeti nani”. Sedna si presenterebbe di dimensioni decisamente superiori ai normali asteroidi, tracciando un’orbita regolare e si pensa che possa avere anche un satellite.
Altri astronomi ritengono che il pianeta X non si possa identificare con Sedna, perchè per spiegare alcune anomalie gravitazionali del nostro sistema solare, seguendo alcuni modelli matematici, si dovrebbe individuare un corpo celeste avente le dimensioni più o meno di Marte. La scoperta di un pianeta simile se, da un lato potrebbe essere considerata un trionfo, dall’altro minerebbe tutte le teorie al momento esistenti su come è nato il nostro sistema stellare. Sarebbe complesso spiegarsi come un pianeta di tali dimensioni possa essersi formato ad una distanza così considerevole dal Sole, anche se alcuni ipotizzano che il pianeta X possa essere nato originariamente vicino ai giganti gassosi, Giove e Saturno, per essere poi spedito ai margini del sistema solare.
La storia della ricerca del pianeta X si riallaccia alla suggestiva ricostruzione da parte dello studioso Zecharia Sitchin, di alcune tavolette sumere redatte in lingua cuneiforme che narravano dell’esistenza del pianeta Nibiru, il pianeta “dell’incrocio”, da cui sarebbe provenuta una razza aliena, gli Anunnaki, chiamati “coloro che dal cielo caddero sulla Terra”. Questi avrebbero costituito una stirpe di giganti super-evoluti, corrispondenti ai Nefilim biblici che avrebbero dato vita al genere umano, mediante alcune sperimentazioni genetiche. A riprova della sua teoria, Sitchin fa riferimento al ritrovamento di un oggetto straordinario, ora conservato presso il Museo nazionale di Berlino, un cilindro accadico risalente al 2400 a.C. con un’incisione che riporterebbe una raffigurazione del Sistema Solare comprendente non solo i pianeti classici, ma anche Tiamat, il mitico pianeta tra Marte e Giove e lo stesso Nibiru.
Con calcoli supersofisticati, alcuni scienziati di recente avrebbero perfino individuato l’inclinazione del pianeta, il suo perielio e l’eccentricità, nonché il periodo orbitale e la lunghezza del semiasse maggiore. L’afelio, ossia il punto più lontano dal Sole, del percorso orbitale del pianeta X, sarebbe determinabile in 233 UA, mentre il perielio, il punto più vicino al sole, in 82 UA. Secondo gli studiosi un anno su questo misterioso pianeta, avrebbe l’equivalente di 3556 anni terrestri. Vi è, a questo punto, da notare che Sitchin, nei suoi libri, considerati solo un mito o una fiction letteraria, sosteneva che Nibiru, il pianeta degli dèi, compisse circa 3600 anni per completare un intero ciclo orbitale intorno al Sole. Il dato descritto è soprendentemente molto vicino a quello rilevato negli ultimi anni, analizzando dettagliati modelli matematici per spiegare l’eventuale esistenza del pianeta X. Se si tratta di una coincidenza, è sicuramente una straordinaria coincidenza.
Qualche studioso sostiene che il misterioso ultimo pianeta, situato ai margini del sistema solare, potrebbe in realtà essere un buco nero, risalente addirittura al Big Bang. Secondo questa teoria, il buco nero avrebbe una massa più o meno simile alla Terra e fino ad ora sarebbe rimasto invisibile, in quanto composto da materia oscura che occupa circa un quarto dell’universo, secondo le stime attuali.
In astrofisica, la definizione di “buco nero” è abbastanza controversa, anche se per esso generalmente si intende un corpo celeste con un campo gravitazionale così intenso che non lascia sfuggire né la materia e neanche la radiazione elettromagnetica. Seguendo un linguaggio ispirato alla teoria della relatività, il buco nero rappresenterebbe una regione dello spazio-tempo, dotato di una curvatura così notevole da determinare una velocità di fuga superiore a quella della luce.
Si pensa che il buco nero sia il risultato di implosioni di masse molto elevate, al punto da verificarsi un collasso gravitazionale che concentra lo spazio-tempo in un solo punto. Con un’espressione volutamente significativa ed evocativa, il limite del buco nero è chiamato “orizzonte degli eventi”. Il buco nero non può essere osservato direttamente e la sua presenza può essere spiegata soltanto analizzando gli effetti sullo spazio circostante, nonché le interazioni gravitazionali con altri corpi celesti e le relative emissioni.
Una certo numero di astronomi ha confutato la teoria dei buchi neri, sostenendo che fossero in realtà stelle nere, prive di “orizzonte degli eventi”, in quanto l’attuale definizione di buco nero provocherebbe alcuni paradossi, come quello della “perdita delle informazioni”, durante la loro evaporazione. Questo fenomeno comporterebbe il contrasto con una delle proprietà più importanti della meccanica quantistica, cioè “l’unitarietà”, per cui nessuna informazione può essere eliminata. Nel 2019, tuttavia, dopo un decennio di applicazioni, un’equipe di astronomi è riuscita a scattare la prima fotografia di un orrizzonte degli eventi di un buco nero, trasformando un concetto puramente teorico in un oggetto concreto da misurare.
L’immensa e misteriosa nube di Oort si trova al di là dell’eliopausa, dove finisce l’influenza magnetica del Sole, ma la sua forza gravitazionale viene ancora avvertita, come si avverte anche l’influenza di altri astri.
E’ l’inizio dello spazio interstellare, dove non esiste un confine netto e preciso, ma la nostra mente può solo immaginare un viaggio verso l’ignoto e verso infinito.
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