La Cultura del Passato
Nella cultura del passato la motivazione ad apprendere era dettata dal bisogno di sentirsi parte imprescindibile di un mondo in cui il singolo era a servizio di un bene più grande.
Se si desidera affrontare un argomento così delicato, come la Motivazione che stimola l’apprendimento, non si può separare tale problematica dalla sua evoluzione storico-sociale, ovvero dall’analisi degli albori delle civiltà fino ad arrivare ai giorni nostri, seguendone percorsi e modelli educativi, condizionati questi ultimi dai tempi, dalle mode e dalle società.
La collocazione geografica, i rapporti che hanno avuto con altri popoli, l’ampiezza del loro sviluppo storico, l’insieme delle esperienze educative accumulate, sono altresì dati di primaria importanza sia sul piano umano e culturale, che su quello della costruzione dei modelli educativi.
L’organizzazione e la gestione delle società dipendono, infatti, dalla collocazione dei singoli all’interno dei ruoli istituzionali nei quali si sviscera il significato stesso dell’insegnare ad apprendere, affinché trovino realizzazione e conferma i valori tipici di una data società. In tal contesto, ad esempio, la religione intesa sia come attività svolta dall’insieme degli individui della stessa cultura nobiliare, che come appartenenza propria alla casta sacerdotale, aveva per gli antichi Egizi una posizione dominante.
1) Gli Egizi
Se in una storia delle metodologie educative si parla di antichi popoli, in primis gli Egizi, non è soltanto per rispettare una consuetudine, ma per riconoscerne il giusto valore all’apporto storico-culturale, che sopravvive ancora oggi nonostante quelle civiltà non siano più attuali. Quella egizia è, infatti, una società stratificata per l’articolazione dei ruoli sociali, politici, militari, sacerdotali, per i rituali ed i simboli, per la concezione del mondo, della vita vissuta e per quella da vivere nell’oltretomba.
Miti, riti, rituali e simboli ne costituiscono la cultura stessa, che penetra nei più minuti rapporti sociali e impronta su di sé la vita quotidiana, i giochi, il lavoro, le feste, l’arte militare, le costruzioni sacre e civili, l’assetto dei nuclei comunitari e familiari. In una società nella quale tutto – dalla nascita alla morte, comprese le cure riservate al defunto – è regolato nei minimi particolari, il sapere, la competenza, la memoria orale e scritta acquisiscono valore probante e fondamentale.
Imprescindibile inoltre la necessità di tenere una minuta contabilità delle persone, dei beni, delle attività economiche, della produzione, delle merci in un quadro culturale nel quale la geometria, la matematica, l’astronomia, la cosmologia, la teologia, il ritualismo e la presenza sacerdotale e militare portino ad un controllo sistemico e puntuale, che di per sé rappresenta la forma vitale di tutto l’impianto egizio. Interessanti anche le modalità di formazione dei sacerdoti, dei burocrati e di tutti coloro che presiedono alla gestione religiosa, civile ed economica della società. A tal fine è fondamentale la padronanza della lettura, della scrittura e dell’uso corretto della numerazione e della misurazione, in quanto già allora considerati strumenti efficaci per acquisire quelle competenze necessarie all’espletamento delle funzioni assegnate.
Gli scribi costituiscono in tal contesto un vero e proprio ceto sociale, radicato e interconnesso con tutti gli altri, tale per cui è possibile trovar degli scriba all’interno di ogni struttura sociale, civile, religiosa e militare, come “memorie storiche” (l’hard disk egizio) di tutte le vicende e gli editti promulgati dal Faraone, la cui presenza fisica giustifica quella più prettamente spirituale degli Egizi in Terra per volere divino, in quanto gli Egizi rappresentano dunque un popolo eletto, dedito al sacro; ed il suo Faraone diretta emanazione fisica e spirituale degli Dei.
Le difficoltà tecniche dell’apprendimento della letto-scrittura in lingua egizia erano pertanto notevoli non solo per il tipo di grafia, per le modalità d’incisione, espressione o disegno, per l’alto numero di segni, per la corrispondenza della grafia agli oggetti, ai fatti, alle idee, ma soprattutto per i significati attribuiti e per la segretezza richiesta, oltre che per le implicazioni politico-religiose a carattere fortemente esoterico.
Presso gli Egizi sono del resto identificabili diversi tipi di scrittura: la geroglifica (scrittura incisiva a carattere sacro perlopiù utilizzata nei templi e sugli obelischi come dedica o didascalia); la ieratica (modalità pittografica corsiva, utilizzata per i testi di vita quotidiana, compresi i testi dei “morti”); più avanti nel tempo, andando verso il periodo greco-tolemaico, la demotica, scrittura che segue regole grammaticali e strutture linguistiche proprie, tali per cui i demotisti sono studiosi che occupano un panorama a parte fra i linguisti egittologi propriamente detti; infine troviamo il copto, lingua parlata ancora oggi in alcune zone dell’Africa.
All’interno della vita egizia, l’apprendimento della lettura e della scrittura era oggetto di una vera e propria iniziazione finalizzata al raggiungimento del livello richiesto di competenza della padronanza dei simboli e dei significati esoterici, per espletare le funzioni correlate ad uno specifico ruolo, da svolgere spesso in precise e rigorose caste civili e/o sociali. Non stupisce quindi se nel periodo di studio erano richieste disciplina mentale e fisica, precisione, memoria, ubbidienza, applicazione costante, fedeltà ai modelli, rispetto per i maestri. La grafia, i segni, la comprensione, la pronuncia erano svolti con precisione millimetrica e diventavano un vero e proprio tormento per chi vi si approcciava; anche i materiali utilizzati (argilla, papiro, avorio, graniti, ossa, legno, pelle, vasi, ed infine stoffe) mettevano a dura prova la capacità degli allievi. La copiatura e l’imitazione dei modelli prevalevano nettamente rispetto alle iniziative personali ed erano accompagnate da un controllo molto severo dei comportamenti.
Sono state ritrovate in gran numero scritte che esortano i giovani discenti ad un impegno costante, sottolineando come la reiterazione e la rigorosa disciplina, fossero considerati valori importanti per tutta la struttura gerarchica piramidale, alla base di tutta la cultura egizia.
Gli scribi detenevano perlopiù il potere sacro dei geroglifici, ma sarebbe riduttivo prestare attenzione soltanto alla loro formazione tralasciando quella dei medici, artigiani, tecnici, artisti, operai che hanno fornito la prova di una notevole e raffinata preparazione; dalla loro totalità si ricava infatti un’idea di cultura molto organica e profonda, radicata intimamente in ogni strato sociale, seppure la lingua scritta fosse appannaggio di pochi eletti. Chi aveva accesso ai misteri propriamente detti, subiva il fascino e si sentiva parte di qualcosa di più grande della sua stessa esistenza e la motivazione pertanto a viver la vita e a studiarne le complessità astronomiche e fisiche, era elevatissima.
E’ noto, altresì come per secoli non sia stato possibile leggere i sacri testi egizi, fintanto che Champollion non ne ebbe individuato una chiave di lettura dalla quale emerge come la scrittura geroglifica e ieratica non sia essenzialmente una scrittura solo fonetica, ma simbolica e fonetica al tempo stesso: è infatti una scrittura di tipo “alfabetica”, ma ancor più ideologica, dove uno stesso simbolo può rappresentare talvolta una certa idea, un certo concetto, mentre in altri testi tale segno indica solo una parte di suono. Questa complessità è la grandezza stessa della civiltà egizia: gli antichi egizi sapevano e volevano porre l’accento su similitudini e immagini, su pensieri e parole, su frasi e significati al fine di sottolineare come la vita sia dinamica, fatta di momenti diversificati dove il tempo e lo spazio si rincorrono ed esaltano il senso della vita.
Leggere un testo egizio è in primo luogo un approccio ad un mondo di alti valori dello Stato in cui il Faraone, n’è protagonista e principio cardine. Da numerosi papiri si ricava altresì un senso di profonda devozione e amore nei confronti del Sovrano, perché Egli rappresenta il fulcro della stessa esistenza del suo popolo: se il Faraone dopo la morte, si trasmuta in una stella imperitura, allora, divenuto anch’Egli Dio, può donare dall’Al di là, prosperità e benevolenza a coloro che popolano il Mondo dell’Al di qua, attraverso la sua incessante opera salvifica.
Gli Dei tutti identificano in tal contesto la forza sottile vibrante che si percepisce nei mercati e nelle vie dei Templi, così come i sacerdoti, gli scribi e l’esercito rappresentano la potenza religioso-politico-amministrativa, secondo proprie peculiarità. I sacerdoti, ad esempio, si occupano di studiare le stelle per scorgere il sorgere di Sirio, indice di prossima inondazione della Valle del Nilo, intesa come atto in Terra di benevolenza divina. Gli scribi sono invece coloro che dispongono di tutte le annotazioni di ogni elemento fisico e di ogni struttura agraria, economica e sociale al fine di gestire la grande macchina statale; infine le guardie si occupano di allargare confini e di controllarne la solidità, oltre che della cura e protezione del Faraone e della Famiglia reale.
Gli artigiani, affiancati dai sacerdoti, sovrintendono al lavoro edile, di costruzione e messa in sicurezza dei siti sparsi lungo le cataratte del Nilo e nelle Valli dei Re e delle Regine; infine gli operai che a quanto sembrerebbe, secondo logica, risultano esser scelti anche sulla base della loro preparazione come “operai specializzati”.
In tal Piano accuratamente strutturato (si pensi alla trasposizione della Cinta di Orione rispetto alle piramidi di Giza), nulla è lasciato al caso e le costruzioni architettoniche principali, non sembrano in nessun modo opere di semplice manovalanza, per quanto “guidata!”, ma il risultato di studi e opere compiute su attentissimi calcoli ingegneristici… il che fa quasi cadere del tutto il vecchio adagio delle piramidi edificate sulla forza-lavoro di schiavi. Se pensiamo all’importanza soprattutto energetica che tali siti avevano nel panorama culturale egizio, come continuare a pensare che semplici schiavi siano stati coloro ai quali veniva affidato poi l‘assemblaggio ultimo? Un faraone avrebbe trovato terreno fertile alla sua trasmutazione se il suo luogo ultimo era impregnato dell’energia di semplici schiavi? Secondo me, certamente no, anche se a questo proposito diventa chiaro come l’Imbalsamazione, per la conservazione dei Corpi, le “Cerimonie di apertura della bocca”, la “Pesatura” dell’Anima, il Verdetto Divino, la scelta stessa del luogo per la collocazione della Tomba fossero annunciati da precise cerimonie funebri con orazioni finalizzate alla facilitazione del Passaggio trasmigratorio nell’Oltretomba.
Da quanto detto emerge come la Motivazione all’apprendimento della cultura egizia fosse diretta conseguenza dell’attaccamento ai valori di profonda connessione energetica con gli stati sottili dell’Essere. Chi si approcciava ad imparare, sapeva di farlo per il raggiungimento del grado di competenza necessario per l’espletamento delle funzioni connesse al proprio ruolo.
Tutte le mansioni richiedevano pertanto una forte cultura di appartenenza a quei dettami valoriali, il cui apprendimento contraddistingueva la ricerca del sapere, finalizzato all’essere parte di un tutto, parte integrante del cosmo stesso.
Nel piccolo si ritrovava dunque l’essenza del grande cosmo ed ogni cellula vibrava in connessione perfetta con tutte le altre.
Una società basata dunque sul richiamo al senso magico_spirituale della vita, era essa stessa fonte di primaria cultura; la magia donava senso alla forza spirituale che ancora oggi pervade tutto ciò che è stato costruito e costituito secondo i dettami del mondo egizio. Tale cultura in verità è viva ancora oggi, se siamo in grado di porci in ascolto ammirato del canto vibratorio che giunge a noi, lettori di quella civilta’ così profonda e riflessiva. Tale civiltà voleva l’Unione delle Forze fisiche e metafisiche attraverso la connessione stellare e spirituale dei siti egizi.
Chi ama gli Egizi sente un legame spirituale con quella civiltà, un filo di congiunzione attraverso tempi e società, per giungere a stimolarci fin nella nostra motivazione ad apprendere, nella nostra sete di sapere, per conoscere e per sentirci ancora parte di quel mondo così affascinante e al contempo così profondamente vero, coi suoi spaccati di vita quotidiana intimamente connessa con le forze energetiche presenti in noi e fuori di noi.
Anche in questo caso occorre prestare attenzione da una parte alla posizione geografica e, al contempo, alla complessità delle problematiche socioculturali e politiche; è possibile così rilevare la presenza di città, colonie, nuclei culturali, che si rifacevano a differenti modelli educativi. L’insieme di riti, miti ed eroi erano altresì funzionali ai nuovi parametri educativi ed i poemi dell’Iliade e dell’Odissea, vanno interpretati nel contesto storico per poterne cogliere gli aspetti più sottili, che non appaiono alla semplice lettura in chiave poemica.
L’Iliade e l’Odissea narrano le gesta di popoli, divinità e persone in un fitto intreccio politico-religioso, militare, esistenziale e familiare dove entrano in gioco tutti i sentimenti umani ed il desiderio di conoscere mondi e realtà nuovi. Achille, Ettore ed Ulisse diventano i nuovi modelli educativi nei quali identificarsi in un contesto prodigiosamente vario di avvenimenti.
La figura dell’eroe non rappresenta solamente quella del semplice militare, ma di colui il quale possiede in sé tutte le virtù dell’onore, del coraggio, della destrezza, del timore degli dei, del rispetto delle leggi e del senso soffuso della morte; l’educazione diventa pertanto l’insieme di comportamenti da tenere, nel rispetto di regole condivise, seppure su fronti opposti. L’eroe ne impersonifica tutti i valori propri della sua stessa educazione.
Sparta ed Atene inoltre rappresentano le città-stato rispettivamente organizzate sia militarmente che democraticamente. Per Sparta (struttura solitamente considerata più agricola, a carattere “spartano”), il gruppo di potere era costituito da una minoranza e pertanto affidava all’educazione militare gran parte della formazione “scolastica”, sacrificando – pare- l’alfabetizzazione e la cultura propriamente detta. La motivazione agli studi era finalizzata alla trasformazione del fanciullo dallo stato infante a quello di guerriero.
La città-stato di Atene primeggia in tal contesto per i valori universali espressi e per l’ampiezza degli orizzonti offerti, oltre che per gli interessi culturali; essa stimolò il moltiplicarsi di scuole di pensiero, il cui modello educativo era il dibattito e la riflessione filosofica. Come esempio possiamo richiamare i sofisti, i pitagorici e soprattutto Socrate e Platone. Secondo tali scuole finalizzate ciascuna in specifiche direzioni, lo studio andava finalizzato alle diverse inclinazioni che esse mettevano in evidenza.
In linea di massima si mirava a strutturare competenze diverse da acquisire a seconda che si aspirasse ad essere un grammatista (maestro), un citarista (esperto in educazione musicale), un pedotribo (esperto in educazione fisica); esisteva anche la figura del pedagogo, di solito rappresentato da uno schiavo che accompagnava il discente negli studi e lo sorvegliava, controllandone la disciplina ed il comportamento persino lungo il tragitto casa-scuola.
Le Olimpiadi rappresentavano la massima manifestazione nella quale convergevano la competizione, lo spettacolo, la festa della gioventù, il confronto fra città diverse, il rito civile e religioso su temi in cui dominante era l’educazione fisica, corporea, accanto all’ideale di un perfetto e sincrono sviluppo e di un’armonia di atteggiamenti e movimenti: era l’esaltazione del paradigma mens sana in corpore sano.
Lo stretto rapporto esistente in Socrate tra sapere ed agire hanno determinato un modello educativo basato sulla morale: il saper di non sapere . Lo stimolo a conoscere e ad approfondire la verità interiore, il concetto, il dialogo, la preoccupazione di centrare e di definire ciò di cui si parla, diventano metodo e tecnica dell’educazione e della formazione, accanto ad un’alta considerazione del valore dell’appartenenza al luogo di origine e del rispetto delle leggi in esso promulgate.
Da un punto di vista didattico Platone interessa sia per l’insistenza sull’innatismo, sul fato, sul binomio conoscere equivalente a ricordare, sulla convinzione che l’azione dell’insegnante non è che uno stimolo alla motivazione dello studente, tuttavia n’è fondamentale la scelta del metodo per facilitare lo studio e l’impegno; sia per la messa a punto di un sistema di dialogo e d’interrogazione, portato avanti sulla trama delle domande offerte e delle risposte ricevute, fondamentalmente basato dunque su constatazioni, ricordi, riflessioni, ipotesi e deduzioni per sottolineare le acquisizioni raggiunte e le competenze acquisite in materia.
Il fatto che uno schiavo, opportunamente sollecitato e guidato nei ragionamenti, potesse sorprendentemente giungere a comprendere ed a dimostrare il “Teorema di Pitagora”, costituiva un importante avvenimento da un punto di vista educativo e sociale, perché, pur nella convinzione della differenze sociali fra gli uomini, si affermava che la ricerca e la verità rientrano nelle possibilità di tutti coloro che desiderano farla propria.
Certamente una motivazione valida ancora oggi, nella nostra attuale società dove gli stimoli giungono da ogni dove, soprattutto attraverso mezzi tecnologici. I giovani corrono il rischio di smarrirsi, perdendo il contatto con precisi punti di riferimento per un corretto discernimento. Ogni insegnante sa che la vera sfida al suo insegnamento, è costituita nel saper insegnare alla motivazione all’apprendimento finalizzato al discernimento competente e consapevole. E la sfida continua…
Cinzia Vasone
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