La prima comparsa della civiltà ittita in archeologia avvenne nel 1737, quando lo svedese Jean Otter si trovò di fronte ad un bassorilievo scolpito nella roccia, non lontano dal villaggio di Ivriz dove si era accampato. Prima di questo evento, degli Ittiti si conosceva soltanto quanto narravano i testi dell’Antico Testamento, sebbene le loro vicende fossero strettamente collegate a quelle degli Ebrei. Mezzo secolo dopo, gli studiosi al seguito di Napoleone nella campagna d’Egitto ritrovarono sui muri dei templi di Tebe e di Abu Simbel la raffigurazione di un popolo sconosciuto, dai tratti somatici molto diversi da quello egiziano, al quale aveva mosso guerra. Ramsete II aveva, comunque, sconfitto gli Ittiti nella famosa battaglia di Qadesh, dopo la quale il faraone aveva sposato la figlia del re nemico, per rendere più solido ed attendibile il trattato stipulato con lui. Gli scavi ed i lavori degli epigrafisti successivi riuscirono poi a classificare le prodigiose sculture prodotte dal genio artistico ittita. I testi con caratteri cuneiformi, che costarono ore interminabili di analisi e di applicazione agli studiosi, ci hanno procurato una conoscenza più esatta ed approfondita di quell’etnia che la Bibbia denominava “i figli di Het”, tra cui lo stesso mitico re Davide sceglieva i suoi guerrieri. E non dimentichiamo la bellezza di Betsabea, moglie di Uria l’Ittita, per la quale Davide non esitò a commettere un atroce crimine. Con il tempo si riuscì a compiere scoperte sbalorditive , come quella delle 13.000 tavolette ritrovate nell’enigmatica città di Khattus o Chatti, identificata come una delle capitali dell’impero ittita. Per lungo tempo la lingua ittita è stata considerata come un idioma sconosciuto, come ancora adesso lo sono, in parte, il cretese dell’epoca minoica, il maya e, più vicino a noi, l’etrusco. Le più grandi difficoltà che si presentarono agli epigrafisti nell’interpretazione della lingua ittita è stata l’identificazione dei caratteri e l’assimilazione di questa lingua ignota in una conosciuta. Se non sussistono molti dubbi sui testi ittiti scritti in lingua accadica, la lingua internazionale della Mesopotamia dell’antichità, molte difficoltà rimangono nella comprensione dei testi redatti con caratteri cuneiformi.
E’ d’obbligo precisare che mancano testi antichi in grado di fornirci notizie senza equivoci sulla vita religiosa, intellettuale, politica e sociale del popolo ittita, ma attualmente siamo in possesso di una notevole quantità di opere d’arte che testimoniano il prestigio e la potenza di questo popolo, che, in particolare, evidenziava una grande consapevolezza del senso della grandezza, della forza e della regalità. L’estetica ittita, molto più semplice ed essenziale, si mostra molto diversa da quella degli Egiziani, degli Assiro-Babilonesi e dai Greci, nonostante alcuni elementi comuni fanno comprendere l’importanza delle relazioni che questo popolo aveva con gli altri dell’area geografica del Mediterraneo orientale. Addirittura le famose incisioni di bronzo del Luristan scoperte negli oggetti di bronzo dissepolti a Euyuk, che rappresentano un cervo ricoperto da segni misteriosi o cosiddette “ruote solari”, appaiono molto simili a certe immagini che ritroviamo nell’Europa settentrionale nell’ambito della mitologia norrenica. In più si pensa che gli stessi Etruschi, la cui origine è ancora molto controversa e merita un approfondimento a parte, anche dopo la migrazione nell’Italia centro-settentrionale, abbiano mantenuto rapporti con gli Ittiti, con i quali presentano evidenti similitudini, come la divinazione e la consultazione degli organi interni degli animali, che avrebbe dato vita alla “scienza dei presagi”, influenzando profondamente anche la religiosità romana.
Gli Ittiti sono forse la più antica civiltà attestata storicamente nella penisola anatolica, l’attuale Turchia, provenendo, per la maggior parte, da ripetute migrazioni di popolazioni indoeuropee, che si sarebbero poi mischiate con gli autoctoni “Asianici”, intendendo con questa definizione, il raggruppamento degli abitanti dell’Asia occidentale non appartenenti nè ai Semiti, nè agli Indo-Europei, chiamati anche Jafetiti, utilizzando un chiaro esempio di terminologia biblica. Al giorno d’oggi, si ritiene che gli Armeni siano i discendenti di questa antica razza, appunto nè semitica nè ariana. Gli studi attuali fanno risalire la civiltà ittita al 3.600 a.C., anche se alcuni analisti ritengono che i Protoittiti fossero già evoluti 2000 anni prima. Il pantheon ittita è ricco di immagini naturalistiche ed antropomorfe. Il dio-cervo, Runda, è una delle più singolari fra queste divinità, che però sembra provenire dalla migrazione indo-europea, in quanto la stessa immagine la ritroviamo presso i popoli celtici e germanici, discendenti anch’essi dagli invasori venuti dalle pianure russe e poi mischiati con le popolazioni autoctone. Runda è, come già accennato, una divinità solare, in quanto coperto di circoli e croci, che simboleggiano la stella del nostro sistema. Tharund è, invece, il dio della tempesta, che insieme a Runda, nell’immaginario ittita, presiede all’affascinante rappresentazione del gioco dei dadi, che doveva essere sia una cerimonia religiosa, sia un rito di divinazione e nel contempo anche un piacevole svago. Sembra, infatti, che i dadi da gioco, che poi si sarebbero diffusi in tutto il mondo, abbiano proprio origine in ambiente ittita. Le sopravvivenze della civiltà antica nelle epoche seguenti si evidenziano anche in altri elementi, come ad esempio quando si esaminano le imponenti statue fiancheggianti, nella località di Euyuk, la cosiddetta porta delle Sfingi, risalente al periodo del Nuovo Impero. Sulla parte interna di uno di questi stipiti si scorge una figura poi divenuta cara all’araldica europea, cioè l’aquila bicipite, ad ali aperte e sormontata da una corona, anch’essa simbolo di Runda, in tale occasione non raffigurato nelle sembianze di un cervo, ma di uccello predatore che tiene una lepre fra gli artigli. Nel Medioevo il simbolo dell’aquila diventò l’elemento essenziale degli stemmi imperiali, pur in contesti e dopo aver compiuto percorsi diversi, ma, comunque, riconducibili ad un’unica fonte comune.
Se gi artisti ci hanno fatto conoscere la fisionomia e gli attributi fondamentali delle divinità ittite, i testi scritti sui bassorilievi o le tavolette ci permettono di penetrare negli elementi essenziali del pensiero religioso di una popolazione che fu in stretta relazione con l’Egitto e con Israele, come già detto in precedenza. Non stupisce individuare nelle orazioni del re Murshilish I, vissuto intorno al 1500 a.C., che fu uno dei grandi sovrani dell’Antico Impero, dei punti in comune con discorsi pronunciati dal faraone egiziano Akhenaton o con un profeta ebraico come Giobbe. E’ veramente singolare, dal punto di vista etico e psicologico, rilevare che in tali orazioni Murshilish I si difende dall’accusa di avere peccato e si rammarica di essere punito a causa dei peccati compiuti dai suoi antenati. E proprio per le grandi connessioni con i popoli vicini, la storia della civiltà ittita è molto complessa: a partire dal XVIII secolo a.C., con l’unificazione operata dal re Labarnas, che riesce a riunire numerosi regni feudali, la potenza ittita si estende fino alla conquista di Babilonia e della Siria. L’impero ittita era in realtà una confederazione di stati, uniti fra loro da legami che potevano resistere solo quando il monarca supremo era forte e riusciva a mantenerli saldamente. Il re doveva continuamente affermare il proprio potere ed il proprio prestigio presso il “pankus”, che era un’assemblea di nobili, una sorta di parlamento, che sanzionava i suoi atti e decideva in merito alla sua successione. Vi erano un’arcaica forma di costituzione ed un codice che regolava i rapporti delle classi sociali e dei privati fra loro: uno dei capisaldi della legislazione ittita faceva si che il re fosse molto spesso condizionato dalla turbolenza dei nobili, lungi dall’essere un sovrano assoluto. Soltanto con Telipinus, intorno al 1500 a.C., si impose il principio della successione dinastica, che consentì ai discendenti di continuare la politica di grandezza imperiale e di raggiungere l’apogeo della fama con Soppiluliumas I verso la metà del XIV secolo a.C.. L’ordinamento ittita era molto più liberale di quello egiziano o di quello mesopotamico. Presso gli Ittiti perfino gli schiavi godevano di un loro statuto, non potendo essere sottoposti a trattamenti non conformi ai principi di umanità. E, peraltro, il loro prestigio si basava sul fatto che accettavano benevolmente i culti diversi dal proprio da parte delle popolazioni assoggettate, ammettendoli perfino nel proprio pantheon. Non a caso gli Ittiti venivano chiamati con il nome di “popolo dai mille dei”.
Le sculture di Karkemish sono probabilmente le opere più impressionanti dell’arte ittita. Le forme massicce e tozze possiedono una grandezza maestosa e nel contempo fiera che non può che impressionare i visitatori. Tra queste le più particolari sono la statua divina riprodotta nell’opera di Pottier, la sfilata dei guerrieri e la grande scena di caccia. Di particolare pregio è la ceramica policroma prodotta mediante l’impiego del nero e dell’arancione, che combinati con un fondo bruno chiaro o grigio ottengono effetti cromatici molto particolari ed ingegnosi. Nelle opere di ceramica raramente notiamo le raffigurazioni umane, mentre sono molto più numerosi i segni di carattere simbolico, forse allusivi a miti preesistenti. I reperti di ceramica più importanti sono stati ritrovati a Tell Halaf, rivelando l’utilizzo di temi sincretici, comuni a quelli di altre civiltà del Mediterraneo orientale ed una certa sicurezza nella tecnica artistica utilizzata, soprattutto per le caratteristiche dell’impasto, il profilo dei vasi convessi e per le modalità nelle quali l’ornamento è disposto sui fianchi rigonfi. Ed è necessario sottolineare come l’ornamentazione geometrica sia vicina a stilizzazioni persiane e cretesi, senza che si possa affermare con certezza se l’elemento rappresentato sia l’astrazione di un soggetto naturale o la pura invenzione dell’artista.
In sintesi, si può dire che attualmente la conoscenza del popolo ittita è decisamente avanzata, anche se una gran quantità delle tavolette di argilla ritrovate deve essere ancora interpretata completamente. Pertanto, ogni conclusione riguardo alla civiltà di tale popolazione deve essere considerata come provvisoria ed ancora in fase di definitive conferme. Lo studio della storia ittita, inoltre, non può essere separato dall’analisi storica, archeologica e filologica dei popoli vicini per le molteplici connessioni reciproche. A testimonianza di ciò, si riporta il fatto che il materiale ittita a noi pervenuto è composto in un gran numero di lingue dell’epoca, come il sumero, l’accadico, il luvio, l’ugaritico, l’egiziano geroglifico, l’ittita geroglifico e cuneiforme etc.).
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