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ddiscon

La Magica Terra di Thule

Molto spesso abbiamo sentito parlare di Thule (anche Tule) o della cosiddetta “ultima Thule” che, nell’immaginario collettivo, ha assunto il significato di qualcosa di molto lontano e di irraggiungibile. Cerchiamo di fare chiarezza sulle origini storiche che hanno dato vita al mito di Thule, arrivando fino al linguaggio comune contemporaneo.

Thule è un’isola leggendaria, per la prima volta nominata nei diari di viaggio dell’esploratore Pitea che, stando ai suoi racconti, sarebbe partito dalla colonia di Massala, l’odierna Marsiglia, intorno al 330 a.C., superando poi le fatidiche “Colonne d’Ercole” (lo stretto di Gibilterra) e dirigendosi verso l’Oceano Atlantico settentrionale. Lo storico Strabone considerò fantasiose le narrazioni di Pitea, anche perché si riteneva “un’offesa agli dèi” superare le Colonne d’Ercole, in quanto confine del mondo destinato agli umani, ma alcuni storici moderni hanno rivalutato l’attendibilià di quanto riportato dall’esploratore ellenistico. Nei suoi diari, Pitea racconta di una terra di “fuoco e di ghiaccio”, nella quale il sole non tramonta mai, a circa sei giorni di navigazione dalle isole britanniche. In realtà, le opere di Pitea non ci sono pervenute nella versione originale, ma ne conosciamo alcuni frammenti e citazioni attraverso i lavori di altri autori, come Diodoro Siculo e Plinio il Vecchio. Un riferimento alla mitica Thule, lo ritroviamo anche nell’opera di Tacito, “De vita et moribus Iulii Agricolae”, in cui il soggetto principale è la conquista e l’esplorazione della Britannia. In seguito, l’esistenza di Thule ha assunto una dignità più o meno scientifica, grazie alla geografia tolemaica, in quanto nella rudimentale cartografia fu indicata come un’isola concreta, con determinate coordinate di longitudine e di latitudine, anche se calcolate con metodi decisamente approssimativi, per potene individuare con certezza la collocazione. Alcuni esegeti ritengono che non bisogna necessariamente identificare la Thule di Pitea con quella di Tolomeo, potendo trattarsi di due diverse isole, magari situate nella medesima area geografica. Alla luce delle predette considerazioni, gli studiosi hanno indicato diversi territori che potrebbero corrispondere alla misteriosa Thule: l’Islanda, la Groenlandia, le isole Shetland, le isole Faer Oer, l’isola di Saaremaa, oppure una parte della costa norvegese, così frastagliata per la presenza di tantissimi profondi fiordi. Tra le varie ipotesi, le tre più accreditate sono quelle che ritengono Thule identificabile con l’Islanda, con la Groenlandia o con una porzione della costa norvegese, con ogni probabilità quella più settentrionale, in prossimità di Capo Nord. Sull’etimologia del termine “Thule”, ha riscosso un discreto successo quella proposta da Lennart Mert, secondo cui avrebbe legami con la radice finnica “tule”, traducibile come un genitivo oggettivo “di fuoco”, nonché riconducibile alla mitologia finlandese che ivi raffigurava la nascita del lago dei crateri di Kaali, considerato il luogo dove il sole andava a riposare. Come spesso si intuisce nei racconti mitologici dell’antichità, vi sono marcate analogie tra le narrazioni norrene e quelle mediterranee. A tale proposito, ricordo la citazione di Plutarco che parla di un’isola dove era tenuto prigioniero Crono (il tempo), mentre con l’aggettivo “cronide” sarebbe appellato il mare da cui emergeva tale isola. Alcuni vedono in essa un riferimento più o meno simile alla “Thule” di Pitea, altri intravedono collegamenti con il mito di Atlantide, interpretando il racconto come il ricordo sbiadito dell’età dell’oro del continente sommerso che, dopo un lungo periodo di prosperità sarebbe stato intrappolato nei ghiacci perenni. Ancora più affascinante è la tesi che possiamo definire “eclettica”, secondo la quale “Thule” non sarebbe altro che la parte più settentrionale di Atlantide, scampata al terribile cataclisma che aveva fatto sprofondare il continente, dove però le condizioni climatiche proibitive sarebbero state ben diverse dal fertile territorio complessivo di un tempo.

Di particolare interesse storico è l’ipotesi che Thule possa essere identificabile con l’Islanda, in quanto sconfesserebbe alcune convinzioni della storiografia tradizionale. Questa, infatti, affermava che i primi colonizzatori dell’isola furono i Vichinghi nel IX secolo d.C., anche se già vi erano stati elementi contrari a tale ricostruzione, come le cronache della navigazione di san Brandano che, nel VI secolo, insieme ad altri monaci irlandesi, sarebbe approdato sulle coste islandesi. Ma ciò che ha destato maggiormente la curiosità degli storici è stato il ritrovamento in Islanda, nel corso del XX secolo, di alcune monete romane databili tra il II ed il III secolo, attualmente conservate presso il Museo Nazionale di Reykjawik. Se questa scoperta fa chiarezza sulla notorietà già in età antica del territorio islandese, rimangono perplessità su alcune descrizioni di Pitea che sottolineavano, accanto al ghiaccio e al fuoco, la fertilità di Thule, caratteristiche senza dubbio non appartenenti alla configurazione dell’Islanda.                                       Nell’epoca imperiale romana e nel Medioevo, a partire dal poeta Virgilio, è andato a formarsi il mito di “Thule”, come terra lontana, estrema e fantastica. Nel corso dei secoli, il mito di “Thule” ha assunto il significato di “ultima terra conoscibile”, fino ad indicare tutte le regioni “al di là del mondo conosciuto”. Questa particolarità non è sfuggita a qualche fine esegeta che ha individuato nella denominazione “Thule” un legame con il termine etrusco “tular”, traducibile come “confine”. E’ di immediata evidenza come il mito di Thule presenti analogie con altre narrazioni fantastiche. ma aventi basi storiche e letterarie, come Atlantide di matrice platoniana e come lo Shangri-La dell’Hymalaya, esrcitando un notevole fascino anche in epoca moderna.

Il mito di Thule ha dato vita anche alla formazione di gruppi dediti all’esoterismo ed all’occultismo, tra cui forse il più significativo è stato la “Società Thule”, fondata in Germania nel 1918, che identificava nell’isola misteriosa l’origine della saggezza e della superiorità della razza ariana. Secondo tale credenza, per la verità volutamente simbolica quanto ingenua, Thule sarebbe stata popolata da giganti con i capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle chiara, un tempo dominatori del mondo. Analizzando le fantastiche ricostruzioni dei membri della Società tedsca, questi giganti avrebbero perso il potere, nel momento in cui si sarebbero mescolati, attraverso relazioni sessuali, con altre razze inferiori e subumane. E’ chiaro immaginare come questa mitologia, chiamata “ariosofica”, con il voler affermare l’antica esistenza di una popolazione “iperborea”, organizzata in una società senza conflitti e perfetta, superiore a tutte le altre razze presenti sulla Terra, sia servita alla propaganda ed alla giustificazione dell’ideologia nazista. Peraltro, è stato notato che particolari ramificazioni narrative riguardanti la popolazione “iperborea”, trovano alcune analogie con il racconto biblico dei giganti “Nephilim” che si sarebbero uniti alle “figlie degli uomini”, facendo sì che terminasse l’età dell’oro sulla Terra.  Non sono mancati coloro che hanno trasfigurato il racconto di Pitea, chiaramente riferito ad un’isola situata nel nord Atlantico, per evocare un pianeta sconosciuto dal quale sarebbe arrivata una civiltà avanzata di giganti per colonizzare la Terra. La Germania nazista, in tale contesto, sviluppò racconti legati a presunti contatti con entità soprannaturali od aliene, per mantenere la supremazia ariana nel mondo, ispirandosi alla costruzione di sofisticati velivoli a reazione che avrebbero poi costituito la base del sistema missilistico americano.

E, partendo dal mito di “Thule”, intesa come terra irraggiungibile e collocata ai margini della conoscenza, il suo nome è stato adoperato per indicare i luoghi più lontani del nostro sistema solare, al di là dello stesso Plutone che molti astronomi non ritengono neanche un vero e proprio pianeta. Di recente la sonda New Horizons ha raggiunto l’asteroide MU69, riuscendo a sorvolarlo ad una distanza di appena 3500 km che, in ambito siderale, può ritenersi un’inezia. E’ giusto ricordare che, oltre a Plutone, erano stati scoperti cinque satelliti, il maggiore Caronte e quattro minori, Stige, Notte, Cerbero ed Idra. La predetta sonda oltrepassò Plutone ed il suo sistema di satelliti, per individuare ulteriori asteroidi nell’ambito della fascia di Kuiper. Proprio qui, la sonda ha avvicinato l’asteroide, poi semanticamente chiamato “ultima Thule”, regalando i primi scatti della sua inaspettata e sorprendente morfologia.   Il risultato è stato straordinario, considerando che si è trattato di riprendere un corpo celeste di dimensioni molto ridotte, solo 33 km, in un ambiente dove l’illuminazione solare è quasi 2000 volte più debole di quella presente sulla Terra. Dall’analisi degli scatti, è risultato che si tratterebbe di un asteroide composto da due piccoli corpi celesti, fusi tra loro, in una strana forma che può essere paragonata a quella di una nocciolina. I dati raccolti dimostrerebbero che l’asteroide sia in grado di compiere un periodo di rotazione in circa 15 ore e che abbia una densità pressoché simile all’acqua. Queste caratteristiche farebbero pensare ad una sorta di “mini-cometa”, assimilabile ad altre che gravitano nella nostra galassia. Tuttavia, la sua forma “liscia”, priva di crateri e di evidenti deformità, lascerebbe supporre che l’asteroide sia rimasto intatto fin dalla sua formazione che potrebbe essere avvenuta soltanto qualche centinaio di migliaia di anni, dopo la composizione del sistema solare. Per questo motivo, tale minuscolo corpo celeste, in apparenza così irrilevante, potrebbe rivelarsi utilissimo per conoscere le origini del nostro sistema stellare, in quanto sarebbe da classificare come “planetesimo”, cioè un corpo che, secondo gli scienziati, avrebbe costituito uno stadio intermedio di aggregazione della polvere e del gas della nebulosa solare primordiale.

Thule o ultima Thule, in sintesi, rimane un miraggio del nostro inconscio collettivo che sempre tende ad oltrepassare i confini della conoscenza tradizionale, per raggiungere risultati sempre più ambiziosi, grazie al progresso scientifico ed epistemologico.

 

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Autore

Pubblicato da: Luigi Angelino
Luigi Angelino ha conseguito la maturità classica a Napoli e poi la laurea in giurisprudenza presso l'Università Federico II. A seguire, ha ottenuto l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello di Roma ed un master di secondo livello in diritto internazionale presso l'Università di Roma tre. Non ha mai abbandonato la passione per le materie classiche, filosofiche e teologiche, conseguendo una laurea magistrale in scienze religiose. Ha pubblicato un romanzo di ampio respiro con la Cavinato editore international dal titolo "Le tenebre dell'anima" nel 2017, che è stato tradotto con il titolo "The darkness of the soul". Nel 2018 ha pubblicato un libro sui grandi misteri religiosi, filosofici e di costume dal titolo "I Miti- luci e ombre". Nel 2019 ha pubblicato il thriller filosofico "La redenzione di Satana-Apocatastasi" e la raccolta di racconti/saggi "Ritratti mortali" con una coautrice. Nel gennaio 2020 ha pubblicato "L'arazzo dell'Apocalisse di Angers: una testimonianza fra Cielo e Terra". Ha, inoltre, collaborato al libro auralcrave "Il sipario strappato" e nel 2020 ha pubblicato il saggio "Pandemia-il mondo sta cambiando", il racconto "Anna", dedicato a sua madre ed il libro auralcrave "Viaggio nei luoghi più affascinanti d'Europa". Nel 2021 ha pubblicato i testi "Nel braccio di Orione", "La ricerca del divino" , "La redenzione di Satana-II-Apostasia" e "Come sentieri della coscienza" con un coautore. E' stato insignito dell'onorificenza di cavaliere al merito della Repubblica italiana. Tutti i suoi libri sono acquistabili sulle principali librerie on-line. Scrive, inoltre, per alcuni importanti blog culturali.

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