Work in progress
Primo giorno
Si è aperta una porta. La posso sentire/vedere. E’ gloriosa, se posso usare quest’aggettivo. Gloriosa e potente e, come l’ho percepita, ho anche sentito l’esigenza di intentarne il passaggio. Come se fossi davanti a una scelta, forse l’ultima.
Secondo giorno
Sono tranquillo. L’angoscia degli ultimi mesi sembra svanita. Ha lasciato il posto a questa emozione tranquilla, di cose compiute.
Terzo giorno
Ho preso la macchina per andare in città. Il Ricordo di Sé sembra tornare da solo, senza sforzo alcuno da parte mia. Guardo le cose, gli alberi, la strada, le altre macchine e improvvisamente sto contemplando l’incomprensibile tonal. Ogni cosa è “dove” e “come” dovrebbe essere e descrive con perfezione assoluta ciò che sono io in ogni singolo istante.
Tutto è perfettamente sensato, sincronico e, nello stesso tempo, del tutto insensato. Questa è Trasmutazione in atto … lenta, armoniosa … sono senza parole.
Quarto giorno
Giornata tranquilla. Nella serata, angoscia improvvisa e molto potente. Noto che, appena si manifesta, mi spinge dentro la percezione del Doppio.
Quinto giorno
Esco e raggiungo un parco vicino a casa. Come spesso mi capita, mentre ammiro gli alberi, mi chiedo da dove traggo l’amore profondo che, da sempre, nutro per questi giganti silenziosi. E stavolta lo vedo con estrema chiarezza: gli alberi disegnano in modo molto concreto e spettacolare il nostro Doppio. Un Doppio meccanico, per la precisione.
Improvvisamente, quindi, diventa evidente come il sentimento che ho nutrito per questi incredibili oggetti da tutta una vita, sia stato sostenuto da un atto proiettivo, generato a sua volta dalla consapevolezza inconscia che, mentre guardavo un albero, in realtà, vedevo la parte più misteriosa e potente di me.
Immediatamente dopo quest’apertura, ho una sorta di visione nella quale vedo il mio Doppio in foggia d’anemone marino. Lo vedo/sento fluttuare nella corrente. Un anemone cremisi che ondeggia e danza senza alcuna paura, senza alcuna rigidità.
Anche questo è Trasmutazione in atto.
Sesto giorno
Lucidità atroce. La lucidità è con me da diversi anni, tuttavia, ora vedo le cose come mai prima. Mi sorprendo, osservando qualunque aspetto della vita che mi circonda, a capirne i meccanismi profondi senza alcuno sforzo.
È morto il rettile?
Settimo giorno
Angoscia possente sin dal risveglio. Notte agitata da un forte senso di nausea (ma penso si tratti di un virus, giacché anche il resto della famiglia sembra avere problemi gastro-intestinali).
Mattinata chiusa. L’angoscia è diminuita e tutto appare piuttosto fermo. Dopo pranzo penso di uscire.
Primo pomeriggio. Angoscia in rilevante aumento. Giornata molto difficile. Emozioni negative, fluidità perduta.
Penso che tutto questo possa essere coerente con un andamento sistole/diastole (solve et coagula).
Ottavo giorno
Angoscia al risveglio e, immediatamente dopo, grande lucidità. E’ uno schema in base al quale, quando l’angoscia arriva, la percezione del Doppio si manifesta anzitutto come lucidità.
Ora vedo bene che la Trasmutazione è un processo lento e armonioso; una fase di vita che è innescata in modo naturale (ed esclusivo) da un Doppio perfettamente fluido.
Il senso è molto semplice e lineare: rendi fluido il tuo Doppio e la Trasmutazione avviene. E’ molto chiaro, inoltre, che l’angoscia è un prodotto dell’Ego.
Senza scudi (attaccamenti e nevrosi), l’Ego è esposto al flusso d’energia che promana da Keter e, di conseguenza, investito dalla consapevolezza della propria impermanenza. Certo! E a questo punto del Filo, esso è quasi del tutto persuaso del fatto che sta cambiando e che, quindi, cesserà d’esistere nella forma che ha conosciuto sino ad ora. Tuttavia e anche se il rettile è forse morto, l’eco degli antichi mostri (sopravvivenza e riproduzione) per inerzia riesce ancora a riverberare nella Totalità.
Flebilmente, l’Ego teme ancora la propria morte e questo trasforma all’istante l’azione di Keter in formidabile angoscia la quale, tuttavia e grazie all’agguato, diviene puro impulso in direzione della Trasmutazione. Ecco, questa è propriamente la differenza che passa fra un circuito nevrotico e uno virtuoso. J
Nono giorno
Fluidità percepita in modo sempre più intenso e continuo. Oggi, inoltre, è affiorata una consapevolezza sorprendente e relativa a quelli che ho chiamato ambiti nevrotici.
In sostanza, ogni metadato tende a realizzare un ambito nevrotico. Un metadato può essere semplice se è costituito da una singola informazione, oppure complesso se deriva da un insieme organico d’informazioni. Il linguaggio è un esempio abbastanza intuitivo di metadato complesso. Tuttavia, esistono numerosi “linguaggi”, ciascuno dei quali può svolgere un compito variamente specializzato e che, in ogni caso, tende a permettere lo scambio di informazioni fra individui diversi.
E’ evidente che, più tali linguaggi sono articolati e potenti, più spingeranno chi li utilizza a manifestare comportamenti specializzati, tuttavia e tendenzialmente, sempre uguali a se stessi. Ecco, questo fatto costruisce sicuramente ambiti nevrotici poiché, in modo molto semplice, sclerotizza i distretti mnestici.
Quando Tizio incontra uno sconosciuto, gli chiede due cose: come si chiama e cosa fa. La prima domanda cerca di ottenere un puntatore costante all’oggetto, un’informazione complessa che serve per individuare univocamente l’oggetto stesso e che è composta dal nome e dall’insieme delle informazioni non verbali che Tizio ottiene osservando l’individuo che gli sta di fronte. La seconda di determinare il linguaggio appropriato.
Per restare sul punto, poniamo il caso che Caio sia lo sconosciuto incontrato da Tizio e che, a domanda, risponda d’essere un medico. Cos’ha fatto Caio? Ha posto se stesso dentro un ambito nevrotico. Ossia dentro un’interfaccia costituita da comportamenti ampiamente predeterminati e, quindi, attesi. Attesi da chi? Da Tizio, ovviamente. Il quale, da quell’istante, non avrà più a che fare con un individuo sconosciuto, bensì con un medico. E questo è molto rassicurante. So chi ho di fronte, so cosa fa e cosa posso/devo attendermi da lui (se Caio avesse affermato di fare l’idraulico, sarebbe cambiata l’interfaccia, tuttavia il risultato sarebbe stato lo stesso). In sintesi, la conseguenza di ciò sta nelle seguenti situazioni:
- La prima comporta che la “standardizzazione” di determinate risposte rende possibile il controllo della paura che l’io osservatore deriva direttamente dal centro rettile. L’incontro con uno sconosciuto scatena all’istante la paura, poiché il rettile teme l’eventuale attacco di quel medesimo sconosciuto (un’istanza rettile gode di priorità massima). Perciò, saperlo “medico” piuttosto che “idrualico”, permette a Tizio d’adottare automaticamente comportamenti consoni al linguaggio richiesto dall’interfaccia con la quale sta interagendo. Questo, “garantendogli” risposte conosciute sotto il profilo formale, gli permette di tenere sotto controllo la paura, compresi i c.d. deliri paranoidi che ogni situazione sconosciuta e/o inattesa tende a scatenare.
- La seconda è il frutto velenoso della continua interazione dell’io osservatore con l’interfaccia, ossia la sclerosi estesa e profonda dei distretti mnestici. Mi riferisco alle devastanti nevrosi che chiamiamo variamente: medico, idraulico, avvocato, bagnino, notaio, prostituta, prete, operaio, imprenditore, casalinga, padre, madre, figlio e via dicendo. Ossia e in definitiva, il prezzo elevato che Caio paga all’interfaccia, perché questa metterà un tempo relativamente breve a sclerotizzare il suo Doppio in modo sempre più esteso e resistente, fino al punto nel quale egli sarà totalmente identificato con ciò che fa. Totalmente omologato dentro lo stile di vita imposto dall’ambito nevrotico che lui stesso ha scelto.
Gli ambiti nevrotici hanno una natura profondamente parassita. Sono stati sviluppati nel corso dei millenni e i più antichi e potenti sono, con certezza, quelli di “padre”, “madre” e “figlio”. Di seguito e dopo le figure parentali più strette, si collocano le guide spirituali (papi, patriarchi), quelle temporali (re, imperatori, leader politici, capitani d’industria) e giù, sino alle gerarchie sociali più basse e neglette.
Gli ambiti nevrotici appartengono alla struttura profonda della società umana e garantiscono uniformità alla follia attraverso la standardizzazione delle risposte. Di conseguenza, sono formidabili guardiani del sonno dei singoli individui.
Decimo giorno
Tutto fermo.
Undicesimo giorno
Secondo giorno di reale stagnazione. Solve et coagula.
Dodicesimo giorno
È di nuovo presente la percezione del Doppio in forma di anemone. Tuttavia il colore è cangiante. Spesso è di un nero lucente, altre volte porpora scuro. Dimensione e forma appaiono, altresì, mutevoli e in costante, ancorché lenta, espansione (salvi i periodi durante i quali tutto sembra immobile). Quel che sorprende è la formidabile percezione di potere che il Doppio trasmette. Tuttavia, tutto sembra fermo.
Tredicesimo giorno
L’angoscia è tornata. Intensa, potente, apparentemente indomabile sino a che, durante la mattinata, sposto l’intera attenzione sul Doppio … che s’incendia. Capisco a fondo il senso di ciò che in alchimia è chiamato “fuoco mistico”. Per una vita l’ho usato al fine di distruggere la Falsa Personalità e ora, in assenza di ambiti nevrotici, lo vedo infiammare il Doppio al fine di trasmutarlo.
Vedo il senso del mutamento cromatico. Nero è sinonimo di freddo, giallo di riscaldamento, bianco di calore massimo. Il rosso è la pietra, lo so.
Nero – Prova suprema. La parte davvero difficile è vederlo. Sapere che è lì e che ti sta osservando come un cobra scruta un piccolo roditore: freddo e immobile, pronto a colpire. Mantenere questa consapevolezza al centro del campo di coscienza e farlo per un tempo sufficiente. È questa la cosa veramente difficile.
Diciassettesimo giorno
Amigdala/Insula. Lo snodo emotivo preverbale/verbale.
Keter (Pineale) -> Creator of Reality (Amigdala/Insula) -> Labyrinth (Neocorteccia)
Diciottesimo giorno
Angoscia formidabile.
Diciannovesimo giorno
Angoscia anche più intensa di quella di ieri.
E’ durata per tutto il giorno e mi ha sfiancato al punto che, subito dopo cena, sono caduto in un \sonno nero e profondo.
Ventunesimo giorno
Ho esitato un bel po’ prima di decidermi a scrivere queste note. Alla fine, però, mi sono deciso a farlo, spinto dalla considerazione che nascondere la verità è sempre un atto profondamente stupido. Di seguito, quindi, esporrò quanto omesso per il ventesimo giorno, nonché quel che sta emergendo anche oggi.
Ieri pomeriggio, mi sono messo a guardare il film The Treatment (2014), una produzione belga che parla di un poliziotto che è sulle tracce di alcuni pedofili. Film duro, tanto che a metà lo interrompo con l’intenzione di far decantare l’emozione e di riprenderlo più tardi.
Immediatamente, si scatena un’angoscia mostruosa. D’istinto, prendo un oppioide e vado in bagno, mi siedo sulla tazza del cesso e lì ho una visione nettissima.
Vedo che il desiderio verso i bambini è in ognuno di noi. È mascherato, negato, ignorato, ma nessuno scappa perché l’efebo ha un fascino tremendo. È un gancio assoluto per la morbosità di Mente. Lì ho due sole scelte: aprirmi o soccombere al senso di colpa.
Scelgo la prima. Mi apro completamente e vedo ogni cosa, capisco ogni atto, la follia di chi abusa, quella di chi persegue chi ha abusato e il “rapport” che s’instaura fra il bambino e il suo “manipolatore”. Ricordo che il film, almeno la parte che ho visto, sposta tutto fuori dalla famiglia disegnando i pedofili come rapitori, come mostri solitari, “predatori sessuali” come si suole dire.
Non è vero, poiché e in realtà, quasi ogni abuso avviene in famiglia. Ne consegue che gli abusi sono tanti e quotidiani e passano attraverso ciò che chiamiamo “processo educativo”, ossia un fenomeno sostanzialmente autoreferenziale e che, nei fatti, manipola il bambino molto profondamente, rendendolo uguale al suo educatore.
Un processo realizzato attraverso una precisa gamma di comportamenti che vanno dagli ammiccamenti, ai consigli, alle accondiscendenze alle frasi variamente violente o allusive, alle carezze troppo intime, ai baci profondi e sino, nei casi più estremi, allo stupro vero e proprio nei confronti di entrambi i sessi e, non sorprende, da parte di entrambi i sessi.
Tutto questo e altro ancora realizza un armamentario “educativo” molto chiaramente orientato e che, inevitabilmente, passa sotto l’egida dell’amore genitoriale o parentale e, per il quale, il punto psicodinamico è che questo tipo di azioni, poiché inevitabilmente legate alla sessualità, modellano molto profondamente il bambino, piegandolo e rendendolo morboso a sua volta.
Questa è pedofilia, poche balle e riguarda tutti. Poi ci sono quelli che eccedono per i motivi più diversi e che, per questo, diventano i mostri, i capri espiatori sui quali riversare il senso di colpa generale. Tuttavia, questo è un discorso particolare, legato alle patologie più marcate.
Quel che conta sono, come sempre, i grandi numeri, ossia i miliardi di atteggiamenti variamente devianti che gli adulti agiscono quotidianamente nei confronti dei bambini e che permettono al modello sociale attuale di affermarsi grazie al binomio “paura/piacere”.
In verità, questo è, nello stesso tempo, il fondamento della società umana e la fonte del suo fallimento. La mano nascosta che piega le coscienze e le induce ad avere paura.
Bastone e carota, staticamente resi da “paura/piacere”, e dinamicamente descritti da “autocommiserazione/indulgenza”. Un autentico pattern Master/Slave scolpito in ciascuno di noi da chi ci ha allevato e che noi reiteriamo con i nostri figli.
Un sistema che ha “tenuto” per millenni ma che ora è alla fine perché la sua entropia è giunta al massimo, rendendolo del tutto incapace di produrre lavoro. Laddove, per lavoro, s’intendono gli scambi psicodinamici fra individui.
Sino a un certo punto e all’interno di “riferimenti valoriali” precisi, padre e madre svolgono compiti definiti e separati: il primo veicola violenza, la seconda indulgenza ed entrambi lo fanno “in modo lecito”. Ossia, in base ai fini perseguiti dal sistema. A mente di quei fini, quel tasso di violenza e d’indulgenza è ammesso, tollerato, incoraggiato e tutelato perché assicura la durata del sistema stesso. Proprio per questo, i rapporti più intimi sono ammessi solo all’interno della famiglia, perché riducono al minimo indispensabile l’incremento entropico.
Per millenni, all’interno della famiglia si svolgono drammi profondi, spesso ben oltre il lecito, tuttavia ciò è tollerato perché serve un fine superiore chiamato, secondo le epoche: grandezza dell’impero, patria, dio, nazione, progresso comune e altre sciocchezze simili. In questo modo, la famiglia è usata come base dell’intera piramide sociale, una sorta di camera di compensazione dentro la quale consumare la violenza e l’indulgenza necessarie per garantire che i nuovi individui siano cresciuti con il binomio “paura/piacere” impresso alla massima profondità. In altre parole, come autentici schiavi.
Sotto quest’aspetto, la famiglia è stata il regolatore naturale dell’incremento entropico del sistema e, se le cose fossero rimaste uguali a se stesse, tale meccanismo avrebbe assicurato al sistema medesimo un periodo di vita assai più esteso. Tuttavia e per l’intervento di un fattore specifico, la storia è andata diversamente.
Nel caso della razza umana, tale fattore prende il nome di “tecnologia”. Fattore che imprime alla progressione entropica un’accelerazione già durante settecento e il secolo successivo, ma che ha un drammatico cambio di velocità nei primi anni del novecento con l’avvento del “petrolchimico” nonché, alla fine dello stesso secolo, con l’avvento del web.
Fenomeni che, aumentando in modo abnorme la velocità di scambio psicodinamico fra singoli individui (proprio grazie allo spostamento di tali scambi fuori dal controllo famigliare), producono un conseguente furibondo aumento dell’entropia del sistema, portandola al suo massimo in brevissimo tempo.
Questo è il fenomeno che, durante il novecento, prende il nome di nichilismo e al quale si deve la distruzione reale di tutto quell’impianto valoriale sul quale poggiava il processo educativo e dal quale traeva la sua legittimazione. Il suo innesco: la rivoluzione tecnologica. Il suo effetto: la fine della razza umana come l’abbiamo conosciuta sino a oggi.
Ventitreesimo giorno
Tutto è nato dal ricordo della seguente dossologia: “Tua è la potenza e la gloria nei secoli”.
Come l’ho ricordata, m’è apparso subito evidente il fatto che tale formula è usata per delegare il potere creativo. E ciò varrebbe anche per l’eucarestia che, tuttavia, va inserita in questo schema. Il gancio immediato è con il fenomeno chiamato teofagia, elemento per il quale Dioniso sembrerebbe il paradigma più immediato e calzante.
Dioniso è solo un altro simbolo di Keter. È il dio della vita che pulsa in ogni essere. È interamente preverbale e, tra i suoi motivi principali, ha proprio una maschera.
Le baccanti si cibano del dio durante il rito chiamato Sparagmòs (σπαραγμός). Un rito veramente violento e feroce che compiono divorando animali vivi i quali rappresentano il dio stesso (Mircea Eliade). Carne e sangue passano dal dio ai fedeli nutrendoli.
Questa potrebbe essere la chiave. In effetti, è in accordo profondo con la tendenza sacrale del meccanismo di produzione della consapevolezza.
C’è un sacrificio divino grazie al quale la vita esiste e progredisce perché il dio immola se stesso diventando cibo per l’individuo. E il punto meccanico starebbe proprio qui, ossia nel mascheramento del senso di colpa primigenio.
La Coscienza Creatrice schiacciata da quel senso di colpa per la perdita della comprensione, quando passa da Keter diviene energia e, quindi, cibo per se stessa nella forma di essere vivente (per il burattino che la ospita). Ed è qui che Mente inventa Dioniso. Dio farlocco, pure lui. Tuttavia, elemento veramente vicino alla fonte e, poiché preverbale, totalmente anarchico.
Quello è il seme, l’inizio è nel preverbale con tutto quello che ciò comporta (estasi dionisiache e altre amenità). Nel tempo, però e in concomitanza con lo sviluppo del Super-Io razziale, questa forza scema sempre più, tanto da sfociare nel rito cattolico nel quale il tema è il medesimo, ma spogliato di qualunque forza eversiva.
Resta il “do ut des”, sacrificio contro vita, anche se il significato è del tutto travisato: Cristo è inchiodato alla croce e dal suo sacrificio l’umanità dovrebbe ottenere “vita eterna”. Un brutale auto-inganno, poiché il focus è spostato su un livello del tutto immaginario e indimostrabile, quando l’evidenza è da tutt’altra parte, ossia nel “qui e ora” della Coscienza.
Nel “qui e ora”, la Coscienza (simboleggiata da Cristo) è inchiodata alla croce, ossia è immobilizzata. In altre parole, con l’avvento di Cristo (adolescenza umana) gli individui hanno lasciato definitivamente il livello estatico e orgiastico, così vicino al potere e che ha caratterizzato la loro fase infantile e pre-adolescenziale, per delegare quello stesso potere a un dio diverso, espressione di una Coscienza segnatamente adolescenziale, tormentata da un senso di colpa onnipresente e ipercritica verso ogni aspetto dell’esistenza.
Da qui, la necessità della creazione di una macchina (la messa) che continua a usare il motivo profondo del sacrificio del dio, ancorché in modo molto mascherato, al fine di mantenere integro e sostanzialmente inattaccabile il processo di delega del potere.
Un rito magico che serve proprio a veicolare il flusso attentivo di chi vi partecipa, proprio come farebbe un ipnotista. Ma l’intera messa è leggibile come uno sforzo indirizzato verso l’estroversione del nostro potere creativo, sin dai riti d’introduzione (che detta così! J).
Di seguito, alcuni frammenti delle varie fasi del rito e la relativa analisi.
RITI DI INTRODUZIONE
SALUTO (2Cor 13,13):
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi.
Il popolo risponde: E con il tuo spirito (questo non sta nella seconda ai corinzi, ma ci sono sei varianti del Saluto, tutte tratte dalle lettere degli apostoli).
Questo è l’omaggio alla divinità tripartita. Omaggio indispensabile giacché stabilisce il vertice della gerarchia determinando che tutto ciò che viene dopo è naturalmente sottomesso a quest’elemento. Sarei molto tentato d’infilarmi subito nell’architettura trinitaria, tanto è “pesante” rispetto al discorso in essere, ma non lo farò poiché sarà oggetto d’indagine a brevissimo termine.
ATTO PENITENZIALE :
Fratelli, per celebrare degnamente i santi misteri, riconosciamo i nostri peccati.
Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa.
E supplico la beata sempre vergine Maria, gli angeli, i santi e voi, fratelli, di pregare per me il Signore Dio nostro.
Questo è il richiamo solenne al Senso di Colpa. Inevitabile che cada qui, poiché è il motore dell’intero sistema. Il Senso di Colpa è l’unica, vera spinta di ogni auto-inganno perpetrato da Mente. È la molla che spinge ciascuno di noi a fuggire dal proprio potere creativo, delegandolo agli oggetti che andiamo creando.
Interessante il richiamo alla madre della Coscienza (la cristiana Maria, la gnostica Sophia, l’agnostica Mente) che è invocata al fine di intercedere presso il sommo. Che vuol dire? Semplice: esorto la mia mente a non abbandonarmi mentre ordisco questo inganno.
Ventiquattresimo giorno
Questa mattina l’angoscia mi ha quasi ucciso. Diversi conati di vomito, appena sveglio.
LITURGIA DELLA PAROLA
LETTURE:
Le letture sono due, intervallate da un Salmo. Al Salmo, segue la lettura del vangelo, eseguita da un diacono o dall’officiante.
Qui, il rito diventa rigidamente dogmatico e, di conseguenza, l’istanza censoria formidabile. Quel che è letto è il Verbo e nessuno può nemmeno pensare di poterlo mettere in discussione. La Parola si ascolta e basta. L’unico titolato a spiegarla è il sacerdote il quale, a sua volta, è stato debitamente edotto sul suo vero significato.
In tal modo, si realizza un secondo livello di delega. Non più solo una delega diretta da parte del singolo verso qualunque divinità, bensì una nuova delega, del fedele al sacerdote. In questo modo il singolo è lontanissimo anche solo dalla possibilità di riagganciare quel potere perché, in mezzo, ci sta un altro individuo, uno che “sa” e che, di conseguenza, fa da filtro a qualunque istanza autonoma.
CREDO:
Credo in un solo Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo e della terra,
di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,
unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli.
Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero;
generato, non creato,
della stessa sostanza del Padre;
per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo;
e per opera dello Spirito Santo
si é incarnato nel seno della Vergine Maria
e si é fatto uomo.
Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
morì e fu sepolto.
Il terzo giorno é risuscitato, secondo le Scritture;
é salito al cielo, siede alla destra del Padre.
E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito Santo, che é Signore e dà la vita,
e procede dal Padre e dal Figlio
e con il Padre e il Figlio é adorato e glorificato,
e ha parlato per mezzo dei profeti.
Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la risurrezione dei morti
e la vita del mondo che verrà. Amen.
Questo è un capolavoro assoluto. È la summa della religione cattolica e segue immediatamente le letture proprio al fine di cristallizzare l’attenzione dei partecipanti attorno alle verità ascoltate poco prima. Sotto un profilo strettamente psicologico, questo è un atto che tende a demolire qualunque dubbio intellettuale, allo scopo di preparare l’intero individuo alla manipolazione fisico/emotiva attuata durante la liturgia eucaristica.
In ogni caso, dentro c’è tutto e anche il suo contrario. E c’è, soprattutto, il dogma trinitario che, da solo, potrebbe occupare molti volumi.
Da notare che, se il termine “trinità” nasce con un’enciclica di Papa Alessandro (scritta fra il 105 e il 115 d.C.) e se il concetto si può forse ritrovare già in Matteo (il suo vangelo data 85/90 d.C.), esso manca del tutto sia nel vecchio, sia nel nuovo testamento (teologi ed esegeti sembrano concordare su questo).
Ovviamente, non m’infilo in un tale ginepraio. Ma, limito la mia analisi a quanto scritto nel Credo stesso, alla luce della tesi essenziale, ossia che dio sia una creatura dell’uomo il quale gli ha dato vita al solo scopo di delegare a quell’oggetto il proprio potere. E, sotto questo profilo, il dogma in discorso ha dimostrato tutta la sua efficienza, almeno sino ad ora.
Venticinquesimo giorno
Quando papa Alessandro dogmatizza il concetto trinitario, con ogni evidenza lo fa spinto dalla necessità, probabilmente a quel punto divenuta imprescindibile, di dare una qualche soluzione al problema del Male. Problema che, già da qualche secolo, gli gnostici avevano posto in termini assoluti e che per i cristiani doveva costituire motivo di grande turbamento.
V’è da dire che il cristianesimo non è mai riuscito a risolvere tale problema, tuttavia e grazie all’architettura trinitaria della divinità, non solo è riuscito a ignorarlo completamente, ma a usarlo in modo davvero conveniente.
Disegnando un dio con tre gambe, infatti, Alessandro ignora il quarto elemento: il Male, appunto.
Alessandro conosce Giobbe e sa molto bene che quando il sant’uomo è attaccato da Satana, lo è su mandato di Dio (Satana chiede a Dio di permettergli di mettere alla prova Giobbe, ottenendo di poterlo fare). Tuttavia, Alessandro decide d’ignorare l’Antico Testamento, portando il Male al di fuori di Dio.
Amazing! Dio, l’essere perfettissimo che si fa stiracchiare e modellare dagli uomini, secondo i tempi, i luoghi e le necessità. E senza mai profferir parola!
In ogni caso e dopo l’enciclica di Alessandro, tutto è davvero molto più chiaro poiché Dio è il Bene assoluto, mentre il Male sta da un’altra parte (sarà un caso, ma un centinaio d’anni più tardi la vita, come il solito, presenta il conto attraverso la nascita dell’eresia manichea, ma anche questa è un’altra storia).
Il punto psicodinamico sta nel fatto che Alessandro ha creato il nemico contro il quale tutti i cristiani dovranno allearsi. Questo, spinge l’oggetto/Dio dentro un ambito di sacralizzazione assoluta, d’intoccabilità definitiva.
A quel punto ciascuno tira un profondo sospiro di sollievo: papa Alessandro ha fatto un gol bellissimo, grazie al quale nessuno più dovrà preoccuparsi di divenire responsabile di se stesso. Ora, non solo c’è Dio, ma è anche dotato di una struttura sublime, trinitaria, potentissima e capace di metterci in relazione con Lui attraverso il figlio incarnato (generato e non creato … lol). E c’è Satana, angelo cacciato perché faceva le puzzette nel paradiso terrestre (puzzette intellettuali, s’intende).
Insomma, con la trinità il giocattolo è perfetto. E, infatti, segue la storia del mondo per i successivi duemila anni, sempre in attesa della resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.
LITURGIA EUCARISTICA
Con la liturgia eucaristica, la messa entra propriamente nella sua fase più stregonesca. Qui, il centro mentale è vieppiù abbandonato, mentre il rito cerca di portare i partecipanti dentro una dimensione che mischia sapientemente coinvolgimento fisico ed emozionale.
L’intera vicenda è giocata sul meccanismo del sacrificio, ossia sul togliere qualcosa di tangibile al corpo fisico per donarlo, in senso figurato, alla divinità. Com’è ovvio, si tratta di un trucco, usato sin dai primordi per conferire energia attentiva all’oggetto/Dio, bypassando, in questo modo e in omaggio alla tendenza sacralizzante che sottende il processo di produzione della consapevolezza, qualunque resistenza del centro rettile rispetto a un tale “spreco” (in nessun caso il rettile sprecherebbe qualunque risorsa che gli possa assicurare, anche in via meramente eventuale, la sopravvivenza).
Perciò, il tutto procede secondo una progressione emotiva che trova il punto di massimo fervore nel
SANCTUS
Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo.
I cieli e la terra sono pieni della tua gloria.
Osanna nell’alto dei cieli.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Osanna nell’alto dei cieli
nel quale è un intento evidentemente infervorente e che si ottiene cercando di spingere l’intero impianto attentivo in un’area percettiva diversa, ossia il luogo dove risiede il Signore Dio dell’universo.
MEMORIALE
Ora ti preghiamo umilmente:
manda il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo,
perché diventino il corpo e il sangue
di Gesù Cristo, tuo Figlio e nostro Signore,
che ci ha comandato di celebrare questi mister.
L’atto è genuinamente delegatorio e smaccatamente stregonesco: si chiede alla divinità d’intervenire direttamente sulla materia (il pane e il vino) per trasformarla.
CONSACRAZIONE
con il
RACCONTO DELLA CENA
durante il quale i partecipanti stanno inginocchiati, spingendo così sul predetto coinvolgimento del fisico che rinsalda l’atto sacrificale e, a sua volta, tende a incrementare lo stress emotivo. Il motivo di tale stress deriva direttamente dalla postura fisica che “umilia” l’ego dimezzandone, di fatto, le possibilità di fuga. Ovviamente, fuga da un pericolo ipotetico. Quel pericolo non esiste attualmente, tuttavia, per il rettile questo è un dettaglio trascurabile. Esso sa solamente che, in quell’istante, le sue possibilità di fuga sono dimezzate e ciò basta per fargli inviare all’io osservatore segnali di disagio (come il fastidio alle ginocchia). Lo stress, quindi, scaturisce dal conflitto che la postura scatena fra il centro rettile che vuole scappare, il centro emozionale che sta in atteggiamento catartico (temporaneamente dominante) e il centro intellettuale che vive tutto questo come umiliazione.
Il tutto termina con un altro capolavoro: la transustanziazione, ossia il pane che diventa carne e il vino che si fa sangue, grazie all’invocazione dello Spirito Santo.
Come detto, tale asettica forma sostituisce l’estrema brutalità dello Sparagmòs, tuttavia ponendosi il medesimo fine: sacralizzare il processo vitale attraverso il sacrificio del dio e la connessa teofagia.
La consapevolezza del flusso vitale promanante da Keter è, in tal modo, totalmente mascherata e la messa ha onorato il suo compito.
(Continua … )
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