Modi del Doppio
Esistono due modi d’essere del Doppio: il primo è meccanico, il secondo è libero.
Il primo modo è verificato in tutti quegli individui che hanno avuto un’esistenza qualificabile come “normale” (leggi: reattiva e meccanica). In tale caso, il Doppio è qualcosa che non appartiene all’individuo ed è descrivibile come un coagulo di consapevolezza (esattamente disegnato dalla massa dei memogrammi accumulati durante l’esistenza) destinato a divenire nutrimento per altre parti della Creatura. Quali siano queste “parti”, non è questione propriamente rilevante.
Evidenzio che una trattazione diretta del mito si ha solo durante il novecento. Prima con Gurdjieff, per il quale il mostro divoratore di consapevolezza è la Luna, e poi con Castaneda per il quale tale mostro è l’Aquila.
In epoca classica, il mito è solamente alluso dal riferimento all’ambrosia, detta anche nettare degli dei e che solo in rare occasioni (Giove con Feronia, Demetra con Demofonte, Teti con Achille, Apollo con Sarpedonte) gli dei stessi elargiscono ai mortali donando loro e in questo modo, l’immortalità.
Sul punto, è interessante la posizione di Arthur Verrall (1851-1912), professore di letteratura inglese e presidente della Società Filologica, il quale traduce il lemma greco ambrosios con fragrante e non con immortale. In tale caso, è agevole far derivare “ambrosia” da “ambra” (semitico “MBR”) e, di conseguenza, agganciare il mito greco dell’ambrosia alla descrizione castanediana che vuole il colore del “corpo energetico” dello stregone di un ambrato purissimo.
Certo, è lecito pensare che Carlos Castaneda conoscesse, oltre al mito dell’ambrosia, anche la posizione filologica di Verrall e l’impatto di questa sulla lettura del mito medesimo. Tuttavia, non è questione sulla quale perderò altro tempo anche perché ritengo che entrambe le letture, a proposito delle cose che sto esponendo, funzionino molto bene.
In specifico, se riferita al modo meccanico del Doppio, la traduzione che funziona è “immortale”. Nell’altro caso, funziona perfettamente l’allusione all’ambra. Vediamo perché.
L’intero mito del cibo degli dei s’innesta sull’evidenza che qualunque cosa ha avuto un’origine, alla fine, dovrà morire. Questo è vero per l’uomo così come per “la Creatura”, ossia il Multiverso, l’oggetto a undici dimensioni che contiene tutti gli universi possibili in “questa” creazione.
Tale Creatura è, in effetti, l’oggetto che meglio si presta a sostenere la proiezione dell’idea di Dio. Idea che i primati producono un istante dopo aver ingerito le chiavi biologiche, giacché in quel momento, schiacciati dall’impatto della psilocibina, essi non hanno altra scelta che spogliarsi del proprio potere delegandolo al cielo.
Tuttavia, l’informazione è presente perché ciascuno di loro sa di dover morire. Ne consegue che, a livello inconscio, quest’uomo appena nato sa che quel Dio che ha appena creato è mortale e che, per questo, è assolutamente da nutrire giacché, più sarà nutrito, più potrà allontanarsi dalla propria morte (consentendo all’uomo stesso di continuare a mantenersi a debita distanza dal proprio potere creativo).
Nasce così il mito del cibo degli dei. Un cibo costituito dalla “consapevolezza” che i viventi distillano durante la loro esistenza e che ciò che ho chiamato “K” ha cura sia di produrre, sia di mantenere nella migliore condizione possibile anche tramite il meccanismo che ho definito “ottimizzazione del profitto”, ossia attraverso il recupero dei ricordi attuato in modo autonomo e slegato dal pensiero associativo. Ciò, oltre a consolidare il ricordo, struttura e rinforza specifici circuiti nevrotici, portando l’intero frutto a maturazione.
Un frutto che, dopo la morte fisica, qualche bizzarra parte di Dio divorerà forse avidamente, forse sensualmente ma, di certo, nel più sacro e inviolabile dei contesti (chi volesse approfondire può cercare notizie sulla c.d. divina sizigia).
In ogni caso e da quell’istante, la Creatura-Dio cresce in consapevolezza tanto che, nel tempo, manifesta un cambiamento drammatico, passando da un Dio iroso, geloso e vendicativo a un Dio di puro amore. La consapevolezza umana lo nutre ed esso cresce ed evolve seguendo il percorso che quella stessa consapevolezza compie attraverso i millenni.
Ecco perché, nel caso del modo meccanico, “ambrosios” è tradotto come “immortalità”. Ovviamente, questo è fallace perché il coagulo di memogrammi, così com’è alle soglie della vecchiaia, non ha alcuna possibilità di divenire immortale.
Tuttavia, nel mito è vissuto proprio così, ossia gli dei (la Creatura-Dio) si nutrono della consapevolezza umana perché sono convinti di poter, in questo modo, procrastinare indefinitamente la propria morte (li abbiamo creati così, che altro potrebbero fare?). E, a volte, “ne fanno dono” a qualche mortale il quale, immancabilmente, a seguito di questo dono va incontro a un destino tremendo (vittima predestinata del Senso di Colpa collettivo).
Nel modo libero del Doppio, invece, le cose sono alquanto diverse poiché cambiano i fondamentali.
Il modo libero del Doppio ha inizio alle soglie dell’età adulta, quando l’individuo sceglie di oltrepassare la Prima Porta che egli stesso ha aperto davanti a sé. In quell’istante egli sceglie il sentiero chiamato Filo del Rasoio, dettagliatamente descritto nella Teologia della Liberazione. Tutti aprono quella porta, pochi la notano, quasi nessuno la varca. Tuttavia, chi lo fa inizia un percorso che, se condotto a compimento, guida l’individuo a fare di se stesso un’autentica opera d’arte.
Sul Filo del Rasoio, il Doppio è costruito con controllo, disciplina, pazienza, tempismo e intento. Un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro, lungo un percorso che dura l’intera età adulta e che termina solo quando il Doppio è perfetto. È a quel punto che l’individuo si trova davanti alla Seconda Porta, il passaggio della quale porta a compimento la definitiva trasmutazione del Doppio mortale in un Doppio immortale. Ovviamente, è del tutto legittimo chiedersi perché mai taluno dovrebbe desiderare una cosa tanto mostruosa quanto l’immortalità. Per la risposta, si veda sempre Keter.
In ogni caso, la Prima Porta conduce l’individuo su una scala che deve essere salita completamente. Ciò può avvenire in un tempo variabile, durante il quale all’individuo è ancora concesso lasciare il cammino. Una volta salita la scala, però, egli si trova sulla Via e qui non sono ammesse scorciatoie e/o defezioni. Si è tenuti ad arrivare sino in fondo e, sulla Via, il Doppio cresce in modo armonioso e, soprattutto, procede verso una fluidità assoluta.
Sembra banale e probabilmente lo è, tuttavia la fluidità del Doppio è proprio l’elemento che ne permetterà la trasmutazione una volta giunto davanti alla Seconda Porta. E il Filo del Rasoio consente di perseguire tale fluidità assoluta attraverso la sistematica distruzione della c.d. Falsa Personalità, ossia l’insieme di tutti quei circuiti nevrotici che, in ultima analisi, traggono nutrimento proprio dalla forza ostacolante che proviene dalla massa dei memogrammi.
Ciò accade poiché all’interno di un’esistenza vissuta in modo esclusivamente reattivo e meccanico, i singoli ricordi, soprattutto quelli più disturbanti, sono molto facilmente trasformati in ossessioni le quali, alla lunga, sclerotizzano interi distretti mnestici.
Dal punto di vista del Doppio, quindi, il risultato finale del modo meccanico del Doppio è ciò che abbiamo definito come “coagulo di consapevolezza”: un fiasco utile solo come “cibo per l’Aquila”.
Al contrario, il frutto del modo libero è un Doppio completamente fluido poiché non sono presenti circuiti nevrotici e/o coaguli di alcun tipo. L’energia vitale promanante da Keter scorre senza intoppi e, di conseguenza, può essere diretta molto facilmente dalla volontà verso qualunque scopo e/o direzione. In questo senso, il Doppio è propriamente un’opera d’arte della quale, tuttavia, l’individuo non si serve per nulla (in caso contrario, quello stesso individuo avrebbe attaccamenti e desideri che genererebbero all’istante circuiti nevrotici e coaguli … ).
Il Doppio è antropomorfo e ciò dipende, con evidenza, dal fatto che, per edificarlo, usiamo lo specifico pattern cognitivo legato alla forma umana (l’unico che abbiamo). In verità, nessuno ci obbliga a mantenere tale forma, tuttavia lo facciamo proprio perché, grazie a questo pattern, percepiamo la forma umana come qualcosa di profondamente armonioso e potente. Un pattern che deriviamo, con ogni evidenza, da un percorso evolutivo che dura da miliardi di anni.
In any way, nel momento nel quale il Doppio diventa un’opera d’arte, la Seconda Porta si apre e il processo di trasmutazione può iniziare.
Trasmutazione
Il lettore perdonerà se, da qui in avanti e a tratti, l’esposizione potrà divenire criptica. Il problema è costituito dal fatto che il fenomeno in discorso non appartiene al piano logico, bensì a quello analogico. Ciò comporta che le informazioni disponibili hanno la forma di emozioni tanto potenti, quanto complesse e, per questo, veramente difficili da rendere in forma binaria.
A ogni buon conto, lo stato di perfezione del Doppio è reso da una sensazione abbastanza precisa che, facilmente, assume la plasticità di una visione nel senso che il Doppio è percepito/visto come una struttura puntiforme, molto elastica e fluida, ancorché fedele a una forma specifica, che circonda interamente il corpo fisico e ne segue abbastanza puntualmente il contorno. La struttura è facilmente deformata dal contatto con il focus dell’attenzione ma, altrettanto agevolmente, riprende la sua forma.
Vero è che i memogrammi possono essere percepiti in modo diverso da individui differenti o anche dal medesimo soggetto in tempi diversi, ciò dipende dai pattern cognitivi disponibili. In effetti, il modo di percepire il Doppio è un fatto molto soggettivo e l’immagine in Figura1 ne rende solo un parziale esempio, tutt’altro che esaustivo.
Abbiamo detto della Seconda Porta. Ovviamente, si tratta di un trucco, anche se molto efficace, adottato dall’individuo per rendere almeno parzialmente conoscibile (in termini descrittivi) qualcosa che, come ho detto, non lo è quasi per nulla. Questo perché in ballo c’è un drammatico cambio di piano grazie al quale l’Ego è preso e trasformato in qualcos’altro.
Sul concetto di Ego sarebbe possibile scrivere molto, tuttavia, non lo farò. Vorrei solo rilevare che il concetto usato all’interno di questo lavoro è diverso sia da quanto presente nella descrizione freudiana, sia in quella junghiana. Brevemente, affermo che l’Ego è sovrapponibile al brain e che, in termini concreti, è nulla più di un incidente semantico (forza neutralizzante) determinato dall’incrocio del flusso vitale (forza attiva) proveniente da Keter e dalla resistenza (forza passiva) a questo opposta dell’archetipo Mente. In questi termini, quindi, l’Ego, così come lo conosciamo, è un oggetto sostanzialmente impermanente, destinato a svanire in un tempo relativamente breve dopo la morte fisica. La costruzione di un Doppio immortale è disponibile per chiunque, certo, ma sino a che l’individuo non si fa carico di se stesso, resta una mera possibilità.
In ogni caso e per cercare la maggiore chiarezza possibile, di seguito riporto la parziale cronaca, divisa per giornate, di un’esperienza reale di trasmutazione egoica. La cronaca è riportata così com’è, senza alcun tipo di controllo e/o correzione e, se sarà aggiornata, ciò avverrà in modo del tutto random.
(Continua …)
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