Il mito di Gengis Khan : tra realtà e leggenda
La figura di Gengis Khan, il condottiero mongolo che in soli vent’anni conquistò uno degli imperi più estesi di tutti i tempi, è avvolta dal mistero, formando con il passare dei secoli un vero e proprio mito tra realtà e leggenda.
Il suo più grande merito fu quello di riuscire ad unificare le tribù mongole, fino ad allora prive di un unico sovrano anche perchè dedite al nomadismo. Diventando il sovrano indiscusso della popolazione mongola, Gengis Khan si cimentò nella titanica impresa di conquistare la maggior parte dell’Asia centrale, della Russia, della Persia, arrivando fino al Medio Oriente ed all’Europa orientale. Secondo alcuni studiosi, si trattò dell’impero più esteso della storia umana, sebbene destinato ad avere una breve durata.
La nascita di Gengis Khan, nato con il nome di Temujin, è individuata nella primavera del 1162, stando alle cronache cinesi, in una località non ben precisata lungo il corso del fiume Onon che scorre dalla Mongolia orientale verso la Siberia sud-orientale. Gli elementi riguardanti la sua biografia furono assemblati soltanto dopo la sua morte e, pertanto, soprattutto quelli riguardanti i suoi primi vent’anni di vita sono abbastanza nebulosi ed incerti. Secondo la tradizione mongola, Gengis Khan sarebbe nato “il giorno chiaro del primo mese dell’estate dell’anno del cavallo d’acqua del terzo ciclo”. Si tratta di una definizione non semplice da decifrare che, comunque, deve tenere conto che ogni ciclo del calendario mongolo durava 60 anni e che “per estate” quel popolo intendeva l’intero semestre composto dalla primavera e dalla stessa estate. In più, con intento celebrativo, si narra che gli sciamani avessero intravisto un grumo di sangue stretto nel pugno del neonato, segno inequivocabile che al bambino sarebbe toccato il destino del grande guerriero. Temugin era il figlio del capo della tribù chiamata della “Stirpe dorata” che praticava il cristianesimo nestoriano. un forma di culto considerata eretica che professava la separazione tra la natura divina ed umana di Cristo. Appena adolescente, dovette sforzarsi non poco per conquistare il trono lasciato vuoto da suo padre, assassinato per avvelenamento. Per rafforzare il suo potere, stipulò un legame di sangue con un suo coetaneo di nome Jamuka, figlio di uno dei più temuti capoclan ed all’età di 16 anni sposò Borte, figlia di Toghril, il più forte dei khan mongoli di quel tempo. Grazie anche a queste significative alleanze di sangue, intorno al 1190 Temugin riuscì a compattare la maggioranza delle tribù mongole. La leggenda narra che i khan, riuniti in un bosco per proclamare Temugin loro capo, mentre si interrogavano l’un l’altro sul nome da attribuirgli, udirono un’allodola cantare “Gengis-Gengis”. Qualcuno dei presenti avrebbe suggerito agli altri che quel nome era stato ispirato dagli dèi. In quel momento Temugin diventò Gengis Khan che dalla lingua mongola è traducibile come “il più potente dei condottieri”. Per quanto riguarda l’aspetto fisico di Temugin, non vi sono raffigurazioni attendibili, compresa quella più famosa, comunque postuma e fantasiosa, attualmente conservata presso il National Palace Museum di Taipei (Taiwan). Se vogliamo prendere per buone le più numerose descrizioni dell’epoca, tra cui quella dello storico persiano Rashid al-Din, Gengis Khan, così come tutti i suoi familiari, sarebbe stato di alta statura, dai capelli rossi e con gli occhi verdi, caratteristiche non comuni per le etnie asiatiche. Ciò potrebbe derivare da un intento celebrativo della sua personalità, inteso a distinguerlo dagli altri uomini del suo popolo, oppure potrebbe avere un solido fondamento di verità, adombrando un’origine indoeuropea, o quanto meno mista, della sua stirpe.
Tra le prime campagne militari di Gengis Khan, vi fu il conflitto proprio contro il suo fratello di sangue Jamuka, al quale dopo la sconfitta, gli riservò una morte allora ritenuta onorevole, quella per strangolamento. Negli anni successivi a fasi alterne attaccò l’impero cinese, conquistandone gran parte dopo un sanguinoso saccheggio di Pechino ed ottenendo un riscatto in oro molto vantaggioso da parte dell’imperatore cinese. Gli eserciti di Gengis Khan occuparono gran parte della Cina, spingendosi fino a sud della Grande Muraglia. Successivamente si rivolse ad occidente, all’esteso stato islamico Khwrezm che si estendeva dal Mar Caspio al Mar Arabico. Dapprima Gengis Khan inviò alcuni ambasciatori che furono imprigionati dal sultano del Khwrezm, poi inviò tre emissari che furono addirittura uccisi. L’affronto fu giudicato così grave che Gengis khan organizzò una delle sue campagne più sanguinose per sconfiggere e per devastare quel Paese, la cui vittoria gli spianò la strada fino ai territori dell’attuale Bulgaria. Si racconta che il tremendo condottiero mongolo, una volta sconfitto il regno islamico, per manifestare il proprio disprezzo, fosse entrato a cavallo in una moschea, organizzandovi poi una sontuosa festa. A Gengis Khan si deve anche uno dei primi genocidi accertati della storia, ai danni della popolazione dei Tanguti, colpevoie di aver fomentato una sorta di alleanza internazionale anti-mongola. Gengis Khan morì nel 1227, anche se le cause della sua morte non sono state del tutto chiarite. Secondo alcune fonti, la sua morte fu causata da una caduta da cavallo, altre fonti, invece, la collegano al conflitto contro i Tanguti. Una narrazione popolare vuole che il suo corpo sia stato ricondotto in Mongolia per essere sepolto in una località del tutto segreta ed interdetta al pubblico. Il luogo della sepoltura di Gengis Khan sarebbe stato calpestato da centinaia di cavalli per cancellarne ogni traccia, mentre tutta la regione circostante sarebbe stata controllata dalle guardie imperiali. Il luogo della sua tomba non è stato mai individuato con sicurezza, anche se di recente una spedizione condotta dal National Geographic ha scoperto un monumento funebre dell’epoca di Gengis, di cui non si conosce il destinatario. Alla sua morte, nonostante avesse lasciato al prescelto figlio Ogodei un immenso territorio, tutto sommato pacifico e ben strutturato, l’impero fu diviso in quattro parti, ciascuna governata da un khan, fino alla caduta definitiva indicata nell’anno 1368, proprio per le rovinose lotte intestine. La discendenza più conosciuta di Gengis si basò sui quattro figli maschi, avuti dalla moglie principale Borte: il già citato Ogodei, designato come suo successore, Djuci che fondò la dinastia del khanato dell’Orda d’oro, Tolui padre del famoso Kublai Khan ed, infine, Chagatay. Al “più grande dei condottieri”, però, si attribuì un numero elevatissimo di altre mogli e concubine, con le quali generò tantissimi figli, divenendo quasi leggendario per la sua intensa attività sessuale. Questa credenza ha ricevuto quasi una legittimazione scientifica, quando un gruppo di ricercatori, dopo un accurato studio del patrimonio genetico delle popolazioni dell’Asia centrale, ha evidenziato con ragionevole certezza che 1 persona su 200 sarebbe discendente del Grande Gengis.
Quando Gengis Khan conquistò il potere, mirò subito a realizzare una politica espansionistica, organizzando i popoli sottomessi secondo un’impostazione di carattere militare, fortemente gerarchizzata e comprendente la conservazione delle caratteristiche tipiche della mobilità nomade. Ogni tribù conservava la propria formale indipendenza, ma doveva prestare obbedienza alla famiglia imperiale, il cosiddetto “casato della stirpe aurea”, fatta derivare mitologicamente dal dio del Cielo, Tengri, la massima divinità del pantheon mongolo. In sintesi, ogni “khan” doveva giurare fedeltà e rispetto al “gran khan” che aveva alle sue dipendenze un efficientissimo apparato di controllo, attraverso i propri intendenti e corrieri, disseminati in ogni parte dell’impero. L’organizzazione elaborata da Gengis non fu così primitiva e sanguinaria come si potrebbe pensare dopo un’analisi superficiale ed intrisa di pregiudizi. Anzi, il grande sovrano istituì una snella burocrazia basata sul sistema della “scrittura”, un tipo di comunicazione non scontato nelle steppe mongole del dodicesimo secolo. Gengis seppe sfruttare le conoscenze di alcuni prigionieri provenienti da terre lontane, a cui diede anche il compito di insegnare le modalità di scrittura ai principi a lui sottomessi. Alcune preziose testimonianze dell’organizzazione imperiale mongola ai tempi di Gengis Khan le troviamo nel “Milione” di Marco Polo, il famoso avventuriero veneziano. In particolare, nel testo si descrivono le innovazioni finanziarie introdotte dall’imperatore che vietò, a pena di morte, il baratto, ampiamente praticato a quelle latitudini, mentre istituì una “moneta a corso forzoso”, per poter soddisfare le ingenti spese militari ed i fasti della sua corte. La moneta doveva costituire l’unico metodo di pagamento in tutti i territori dell’impero e poteva essere acquistata dietro conferimento al sovrano di oggetti in oro o in argento, o altre pietre preziose. Gengis Khan conservò l’antica suddivisione piramidale delle classi sociali: in cima vi era la sua famiglia (altan uruk- famiglia d’oro); seguivano i condottieri (bahadur); i generali (noyat); gli uomini liberi (mokud); il popolo (arat); infine vi erano i servi (unaghan).
Sui metodi adoperati da Gengis Khan per creare un impero così vasto, ci sono ancora molti dibattiti e tante congetture. Nel periodo della seconda guerra mondiale, le sue strategie politiche e le sue tattiche militari furono studiate dai generali Patton e Rommel, per applicarle, anche se in maniera moderna, al conflitto in corso. La cosiddetta “guerra lampo”, infatti, nacque proprio ai tempi del grande condottiero mongolo, quando i suoi eserciti attuavano le grandi campagne di cavalleria, apparendo all’improvviso nel campo nemico. Nello specifico, le truppe di Gengis utilizzavano due metodi fondamentali: il primo si riferisce allo schema tattico, secondo il quale gli arcieri a cavallo attaccavano in gran silenzio, ma evidenziando una sinergica unione ed un coordinamento serrato, con la peculiarità di mostrare ciascuno bandiere di colore diverso, forse allo scopo di confondere il nemico; il secondo importante criterio comprendeva il concetto di meritocrazia, per il quale si stabiliva l’avanzamento di un ufficiale al grado successivo, soltanto misurando le sue capacità e la sua fedeltà ed ignorando gli antichi parametri di nascita e di stirpe nobiliare. Un ruolo importantissimo, per la riuscita delle sue grandi imprese, fu il grande carisma che Gengis Khan riuscì ad esercitare sui generali a lui sottoposti, di cui guadagnò il rispetto e la fedeltà incondizionata. Le sue truppe furono ordinate sotto il segno di una ferrea disciplina che servì anche ad eliminare vecchie abitudini non in linea con lo spirito di corpo che deve contraddistinguere un esercito sano e puntuale esecutore degli ordini. Fino ad allora, infatti, le tribù mongole erano solite saccheggiare le città conquistate, dove ogni condottiero procedeva a farsi un bottino personale ed incontrollato. Gengis Khan vietò questa usanza, pena la decapitazione, assicurando un’equa suddivisione del bottino in un momento successivo, promessa alla quale riuscì ad adempiere. Spesso le punizioni comminate da Gengis erano collettive: non solo si puniva severamente il soldato che si macchiava di qualche colpa. ma si provvedeva a giustiziare l’intera compagnia di cui faceva parte, sia che fosse composta di 10 unità che di 100. Dal punto di vista politico, Gengis Khan si distinse per la sua lungimiranza e per le sue straordinarie capacità di adattamento, stipulando alleanze laddove possibile, attaccando in maniera strenua ed asfissiante per ottenere posizioni sempre più vantaggiose. Il grande condottiero non mostrò pregiudizi di sorta nei confronti di alcuna popolazione, arruolando, ad esempio, volentieri disertori cinesi che gli furono particolarmente utili per le loro conoscenze tecniche, soprattutto nell’approntamento delle macchine d’assedio, di cui i Mongoli erano sprovvisti. Una delle armi vincenti di Gengis fu il “terrore”, sia inteso come effettivo che come deterrente. Tuttavia, la tanto acclamata crudeltà delle sue truppe non deve essere intesa esclusivamente come metodologia di azione di “barbari assetati di sangue”, bensì come vera e propria programmazione strategica, a seconda delle resistenze che le varie popolazioni assediate intendevano opporre. Gli storici affermano che Gengis Khan si distinse profondamente dagli altri grandi condottieri dell’antichità. Egli condusse ogni campagna militare con inflessibilità e determinazione, mosso dalla necessità di sopravvivenza del suo popolo, sempre alla ricerca di nuovi pascoli per sfamarsi. A proposito del suo operato, Marco Polo scrisse: “fu un uomo di grande valenza, di senno e di prudenza, tenea signoria bene e francamente”. L’Europa ebbe nei suoi confronti un atteggiamento ondivago e bivalente. Inizialmente fu visto come un liberatore, in considerazione della sua avversione nei confronti dei sovrani musulmani, poi fu perfino identificato come quel “Gog di Mogol”, menzionato dal profeta Ezechiele, dall’Apocalisse di Giovanni di Patmos e dal Corano, incarnando una delle espressioni degli accoliti dell’Anticristo.
Gengis Khan riuscì a valorizzare un territorio sconfinato e disagiato che, fin dalla notte dei tempi, legava il mondo occidentale a quello orientale. Quell’immensa regione era chiamata “terra dei quattro deserti”, flagellata da venti impetuosi, con zone che raggiungono i 40 gradi d’estate ed i -42 in inverno, nonchè popolata da gente feroce, che conduce la propria esistenza seguendo il bestiame e spinta sempre dalla sete di nuove avventure. Non è un caso se il Totem di questi popoli è rappresentato dal lupo, perchè proprio a similitudine di quell’animale, essi si dirigevano verso terre più fertili e civilizzate, irrompendo in branco, razziando e distruggendo. Papa Innocenzo IV mandò in missione fra i Mongoli, il nunzio Giovanni de Pian del Carpine che ne fornì una delle più precise descrizioni per quell’epoca, sottolineando come tra loro non esistessero veri e propri borghi o città, in un territorio arido e sterile, ma come l’imperatore ed i principi condividessero gli stessi sistemi frugali del popolo, dando prova di grandissima forza d’animo.
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