La mia signora si è innamorata di un mostro
W. Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate
Secondo Marie-Louise von Franz, allieva di Jung, “le fiabe sono l’espressione più pura e semplice dei processi psichici dell’inconscio collettivo”. Secondo questa lettura, gli uomini sarebbero animati dalla medesima struttura psicologica e le fiabe ne incarnerebbero le principali dinamiche, i nuclei più profondi e nascosti, gli archetipi della mente umana. Ciò tra l’altro spiegherebbe anche come mai certi motivi e certe storie si ritrovino, sia pure con forme adattate a un preciso ambito spaziotemporale, nelle culture apparentemente più diverse.
Solitamente si tende a pensare che le fiabe parlino di eventi fantastici; o che siano intrattenimento per bambini, cibo per la mente di piccoli uomini che non hanno ancora imparato a masticare. Eppure “tutte le fiabe raccontano di un solo soggetto: me stesso” (Claudio Tomaello). Non si tratta di eventi esteriori ma sempre di dinamiche interne.
Questa breve premessa è fondamentale per decifrare l’universo immaginario di tutte quelle storie per grandi e piccini che nella nostra epoca vengono spacciate per lo più come sentimentalismo romantico: Cenerentola, Biancaneve, Romeo e Giulietta, ecc. ecc. Eh si, perché anche le storie per adulti, le cui bocche e stomaci dovrebbero essere pronti a una digestione matura, vengono nutriti con un cibo apparentemente più complesso che ne gratifichi il palato, ma che nella sostanza non si differenzia poi così tanto da quello per bambini. Accostare storie per bambini a storie per adulti in effetti è il complimento migliore che si possa fare a una storia: che il confine non sia così netto lo confermano saghe moderne quali Harry Potter o l’Hobbit, fruite con la medesima passione da piccoli e grandi. Se però il bambino non ha bisogno di una giustificazione per nutrirsi di quel cibo, l’adulto ricerca davanti al suo giudice interiore una motivazione che lo discolpi dalla frivolezza della fiaba e dalla sua assenza di serietà, e la trova nel sentimentalismo, spesso identificato più che altro con la ricerca dell’anima gemella, dell’amore di coppia, della metà della mela erroneamente attribuità al mito dell’androgino di Platone, o del senso profondo delle cose, della verà sensibilità ecc. ecc. Un sentimentalismo di questo genere ricopre come una patina sottile il vero messaggio della fiaba, e come una maschera discreta le permette di circolare indisturbata, svolgendo quindi forse un servigio alla fiaba stessa e al suo contenuto formativo, potenzialmente dirompente e/o disturbante per chi non volesse o potesse scrutare troppo in là nel proprio abisso interiore.
“Le fiabe attingono alla sorgente di una tradizione segreta, una fonte di saggezza unica che è alla base di tutte le spiritualità del mondo” (C. Tomaello)
“La soluzione dell’enigma delle fiabe non si trova all’interno di esse, ma nel nostro cuore: in tal senso è importante non cercare di interpretare subito il significato della storia o dei suoi simboli, ma innanzitutto provare interiormente ciò che sentono e vivono i personaggi della fiaba, immedesimarci in loro, in modo che la potenza della fiaba e delle sue immagini possa dispiegarsi appieno e il suo scrigno apririsi) (C. Tomaello)
Sulla scia di queste osservazioni ognuno potrà cimentarsi nell’aprire a suo modo uno di questi scrigni. Qui viene presentata a titolo soggettivo qualche piccola suggestione stimolata dalla visione del recente film Disney “La Bella e la Bestia”, rifacimento dell’omonimo film d’animazione del 1991, che a sua volta è la trasposizione di una nota fiaba tradizionale, della quali esistono più varianti con dettagli diversi. Esiste una sorta di “morfologia” della fiaba, come in botanica, che ammette al suo interno una certa varietà. Quella presente in questo adattamento sembra piuttosto significativa, come vedremo.
Chi è Belle? Belle è una giovane che vive in un paesino agricolo piuttosto isolato e provinciale nel Sud della Francia. Il paesino in realtà è ameno e gradevole, e la maggior parte della gente ne gode appieno. L’unica a non accontentarsi è proprio l’inquieta ragazza. Il villaggio e Belle sembrano incapaci di comprendersi a vicenda: i paesani la percepiscono come un corpo estraneo, come un personaggio bislacco, un essere strano e incomprensibile del quale non riescono a capire lo scopo. Dal canto suo Belle non si cura di integrarsi più di tanto, ha l’impressione di vivere in un posto che non è il suo, che non ha nulla da darle. L’unico spiraglio nella vita sempre uguale del villaggio è data dalla lettura dei pochi libri della biblioteca del paese, cui attinge costantemente, con una predilezione particolare per la storia di due amanti veronesi, Romeo e Giulietta. Questo dettaglio non è affatto un dettaglio: lascia intravedere che la supposta storia d’amore descritta da Shakesperare forse è qualcosa di più di un’avventura tra due adolescenti finita in tragedia. E probabilmente è proprio quello il motivo per cui Belle ne è così attratta, e non perché sia una ragazza svampita. D’altra parte, se così fosse, perché non cedere subito alla corte del più bello e forte del villaggio, il tanto ammirato e desiderato Gaston?
Eppure Belle sa bene che non potrà mai amare Gaston, che incarna al massimo grado la logica della mente, la logica del fiorente e allegro paesello che non capisce i suoi sogni di “evasione”. Logica perbene, socialmente gradevole e accettata ma che sa diventare crudele nel momento in cui viene eccitata o minacciata, ad esempio quando verrà a conoscenza dell’esistenza della Bestia. Il bel Gaston dal canto suo non riesce a capire le facoltà citate da Belle: l’immaginazione, ad esempio. Belle non si lascia attrarre dai trofei di Gaston, dalle sue lusinghe, dai suoi macchinamenti.
Ma allora perché uno come Gaston dovrebbe desiderare la ragazza più stramba del paese quando tutte le altre gli vanno dietro? Perché Gaston con la sua mente circoscritta, avverte cosa è Belle: “Tu sei la cosa più bella che abbia mai visto. Nessuno ti merita”. Come potrebbe qualcosa che va oltre la piccola mente non apparirgli straordinariamente bella? La mente nella sua piccolezza avverte la bellezza di ciò che la oltrepassa e in qualche modo la alimenta, e la vorrebbe legare a sé, per farla sua. Ma nessuno può tenere in catene lo spirito libero che è in cerca di se stesso. Curioso notare come il vestiario di Belle in questa fase ricalchi quello di molte altre eroine fiabesche: da Cenerentola alla recente Dolores di Westworld, l’anima in cammino indossa sempre una veste umile e dimessa, bianca e azzurra.
Belle è l’unica figlia di un inventore, in questa versione della fiaba (in altre versione ha più sorelle e fratelli e il padre è un ricco mercante). In tutte le versioni la madre è morta tanti anni fa. Il padre conosce bene l’anima della figlia: “Mia cara Belle, tu sei così in anticipo sui tempi. Questo è un piccolo villaggio. Anche le menti sono piccole. Ma piccolo vuol dire anche sicuro”. Per diventare grande, bisogna dunque correre dei rischi: allargare la propria visuale significa dubitare, essere insicuri, mettersi in gioco, e non è facile farlo, quando si gode di un mondo piacevole e ben organizzato, come lo è il piccolo villaggio di Gaston. Un inventore è un costruttore: un esperto di marchingegni, di orologi, di macchine. Nel piccolo mondo incantato in cui si trovano, la conoscenza dei meccanismi, delle leggi che la regolano si rivela decisiva per la sopravvivenza.
All’improvviso la disgrazia: al ritorno da una fiera il padre si smarrisce e incappa in un castello iquietante. Cercando di recuperare una rosa per rendere felice la figlia, si ritrova imprigionato da un essere deforme: un principe maledetto per la sua superficialità da una terribile strega, Agata (agathos in greco significa Bene), ormai divenuto una bestia.
Belle si offre eroicamente di prendere il posto del padre come prigioniero della Bestia burbera, immaginando una terribile condanna. Ma delle insperate sorprese la attendono. In quel regno ove tutto è gelato e in malora, diroccato e impolverato, esistono degli oggetti magici. Parte dei mobili e dell’arredo sono animati. Si tratta degli antichi abitanti del castello, trascinati nell’incantesimo assieme al loro padrone, dalla cui sorte dipende il loro destino.
“Il padrone rimarrà una bestia per sempre. E noi diverremo antiquariato”.
Il tema degli oggetti animati, che non è presente in tutte le versioni della fiaba, è molto interessante. Più passa il tempo, e più si avvicina la fine della Rosa, e quindi della possibilità di rompere l’incantesimo, più tali oggetti diventano meccanici, simili a soprammobili inanimati. La vitalità dell’universo interiore e di tutti i suoi elementi si cristallizza in un lungo e rovinoso inverno dell’anima quando il suo centro propulsore è distante dalla realizzazione del suo cuore, della sua vita, di cui la Rosa è lo straordinario simbolo ancestrale. Difatti è proprio una Rosa, che Belle aveva chiesto al padre; ed è la ricerca della Rosa che paradossalmente porta all’incontro con la temuta Bestia….. Ma il tempo della Rosa non è infinito, essa non può attendere per sempre. Man mano che si avvicina la sua fine, tutto si accosta all’abisso della rovina. Quando il cuore è condannato dall’incantesimo dell’aridità, come nel caso della Bestia, l’anima comincia a diventare meccanica: gli oggetti del castello diventano sempre più statici, più vuoti. Quando l’incantesimo sarà spezzato, e la Bella e la Bestia si ameranno a vicenda, il regno tutto riprenderà vita, la natura diverrà calda e magnifica, rigogliosa e splendente: tutto dipende da quell’unico punto interiore, a cui ogni cosa è legato. Perché curarsi della periferia del regno quando bisogna guarirne il cuore da cui tutto dipende? Questa profonda verità è nota ai piccoli abitanti del castello imprigionati in corpi meccanici. Tra tutti spicca il candeliere, Lumière,la luce metaforica ovvero la mente, l’intelletto, degli abitanti del castello, cui è stato assegnato il volto di Ewan Mc Gregor, straordinario Obi Wan Kenobi del prequel di Star Wars. Sarà un caso che colui che più trama a favore dell’unione tra la Bella e la Bestia, colui che sa usare il lume della ragione a vantaggio di un fine collettivo abbia il volto di un grande maestro jedi? Sarà un caso il simpatico cameo di Ian Mckellen, il mitico Gandalf, nel ruolo del buffo orologio Tockins? Forse è un caso anche che l’interprete di Gaston, Luke Evans, che tenterà sordidamente di uccidere prima il padre di Belle, imprigionare la ragazza e infine di uccidere la Bestia, sia l’uccisore del drago Smaug ne l’Hobbit? D’altra parte attualmente la cinematografia assolve egregiamente alle funzioni della fiaba e spesso gioca visivamente con i volti e i ruoli di molti personaggi (Luke Evans è anche il protagonista di Dracula Untold). Tra tutti basti ricordare il celeberrimo Hugo Weaving nei panni di Elrond e dell’agente Smith, di Cate Blanchett come Galadriel/matrigna di Cenerentola, Sean Bean prima come il tentatore Boromir e poi come l’integerrimo Ned Stark di Game of Thrones, Craig Parker come l’elfo Haldir e poi come Darken Rahl, il cattivo della saga La spada della verità. Questo excursus mostra come allo stesso attore vengano spesso assegnati ruoli archetipici, non soltanto della stessa tipologia, ma anche reciprocamente contraddittori, che si integrano vicendevolmente, e per quanto riguarda gli interpreti de il Signore degli Anelli di Tolkien questo è particolarmente visibile.
Non si è detto abbastanza della progressiva scoperta della Bestia da parte di Belle. Da parte della Bestia, è fin troppo facile amare Belle: è coraggiosa, radiante, sincera, curiosa. La Bestia invece è difficile da apprezzare: burbera, ostile, sgraziata, tozza. Eppure, tra un gesto e l’altro, dalla Bestia promanano spiragli di Libertà che Belle nella sua limitata realtà paesana aveva soltanto immaginato. Un coraggio sincero e senza fronzoli; una biblioteca e una conoscenza sterminata; un acume, un intelletto, una grazia innata nella conversazione, nel ballo, nel portamento, che a vivere tra i suoi rozzi compaesani non avrebbe mai potuto sperare di conoscere. Shakespeare li unisce; come li unisce l’amore per il viaggio, per la natura, per la battuta intelligente, per l’IGNOTO. Interessante il vestiario di Belle nella fase positiva di scoperta della Bestia: un cappuccio rosso, proprio come Cappuccetto Rosso nel bosco con il temibile lupo.
La Bestia è ricca di tesori difficili da vedere dall’esterno: è il reggente di un regno duro e ostile, scomodo e senza piccinerie che rendono grande colui che è in grado di attraversarlo. Ma allora è solo questione di avere occhi per vedere? Di vedere la bellezza interiore al di là della bellezza esteriore, ennesimo messaggio sentimentalista che viene fatto passare come nocciolo della storia? Si e no. L’essenziale è invisibile agli occhi, diceva un’altra fiaba moderna, non si vede bene che con il cuore. Anche Socrate viene tradizionalmente rappresentato da Platone come un uomo parecchio brutto, simile a un satiro, ma interiormente ricolmo di tesori. Non pare un caso il fatto che con le sue corna la Bestia richiami la dimensione arcaica, potente e selvaggia, tipica dei satiri: quella del dio Pan, il dio della natura, della sessualità, della forza vitale, il dio del tutto (pan in greco significa tutto, da qui la parola panteismo, ad esempio).
Ma la bellezza esteriore è un ostacolo soltanto per chi ha il cuore indurito. Una volta rotto l’incantesimo, la Bestia si rivela in tutto il suo originario splendore. La bruttezza non è una punizione che bisogna inghiottire come una medicina amara per dimostrare di non essere superficiale; la bruttezza è il velo che ottunde gli occhi di chi non saprebbe apprezzare la più grande delle bellezze, come Gaston e i suoi compaesani, scioccati nelle loro piccole sicurezze quotidiane dall’idea che possa esistere qualcosa che trascende i limiti della propria esistenza. La Bestia è tutto ciò che avvelena la nostra mente, che disturba il nostro quieto vivere, che ci appare ostile; la Bestia è ciò che inquieta l’onesto cittadino, la tranquilla, misera e limitata esistenza di un mondo chiuso nella sua superficialità, che cerchiamo di farci bastare; la Bestia è il richiamo della foresta, il fastidioso emergere di ciò che vorremmo dimenticare, la Bestia è il dolore, l’avidità, la cattiveria, l’inverno, la rovina; la Bestia è il Minotauro al centro del Labirinto in cui ci siamo smarriti; la Bestia è il piombo che una volta trasformato in oro l’anima pura potrà indossare, trasformando completamente ciò che lo circonda. La Bestia è il il richiamo e al contempo la scala da costruire, la forza da liberare per tornare al mondo che ci appartiene: non questa provincia di falso benessere in cui siamo soltanto strani schiavi, ma un mondo luminoso in cui siamo i Regnanti.
Non è soltanto la Bestia ad avere bisogno di Belle, ma è anche Belle che ha bisogno della Bestia: l’uno senza l’altro non vanno da nessuna parte. La Bestia da sola è destinata a cristallizzare la sua forza, diventando pura materia inerte, massa inutile in rovina; Belle per dare corpo ai suoi sogni deve scoprire la sua controparte forte e vigorosa, pena la chiusura in un mondo finto, ideale, fatto di sogni inconsistenti, che non sarà mai in grado di darle la Libertà che desidera. Il mostro non è qualcuno fuori di Lei, ma è l’Ombra ancora non riconosciuta che le appartiene; amarlo non è altruismo e sensibilità, segno della capacità di andare oltre le apparenze esteriori. Si tratta di un gesto ancora più profondo, al di là del bene e del male, di un incanto che può liberare da un altro incanto…
Ma forse le fiabe, così simili ai sogni, evanescenti e leggeri, non possono essere spiegate più di tanto. Chi pretenderebbe di farlo sarebbe simile a un somaro, e resterebbe con in mano quello che resta dei sogni alle prime luci del mattino: vaghi ricordi e strane suggestioni. Se la fiaba è una storia che parla di me stesso, l’unica cosa che posso fare è immergermi in essa, provare a sentire gli echi che suscita nel mio petto, e costruire da me il mio personale “incanto”, nel quale nessun altro “potere” possa entrare.
Questa è una debole e vana storia,
che solo di un sogno è la memoria.
Signori non ci rimproverate…
saremo migliori, se ci perdonate…
A tutti buonanotte dico intanto,
finito è lo spettacolo e l’incanto!
(W. Shakesperare, Sogno di una notte di mezza estate)
Valentina C. (13/04/2017)
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