Stato Terzo
Quando, più di trent’anni fa, iniziai a lavorare su me stesso senza peraltro sapere bene cosa cercare e quale direzione prendere, mai avrei potuto sospettare il luogo nel quale quello sforzo mi avrebbe condotto. Ovviamente, mi guarderò dall’annoiare il lettore con la storia della mia vita. Tuttavia, quel che posso dire di tutti questi anni è che, in essenza, sono stati la sistematica e spietata distruzione dei miei sogni.
Alle soglie dell’età adulta, l’individuo chiama se stesso a compiere una scelta: percorrere la “via del padre”, ossia seguire gli insegnamenti ricevuti durante il processo educativo senza porsi altre domande, oppure rifiutare quanto appreso, proclamandosi unico padrone di se stesso e della propria esistenza. Quale che sia la scelta, is a greedy choice, ossia una scelta avida, ingorda. Nel senso che, una volta fatta, orienta la Totalità psichica in modo definitivo e che non permette ripensamenti. Nel primo caso l’individuo fissa la durata della propria esistenza, stabilendo con precisione il momento e il modo della propria morte e, quindi, sale sulla giostra della vita godendosi il tempo che lui stesso s’è concesso. Nel secondo, come detto, rifiuta il “patto” ed entra in un ambito totalmente “altro”, nel quale conoscerà la sistematica distruzione della propria Falsa Personalità
(il pattern descritto, ovviamente, non vale per chi muore prima di questa età, così come per gli individui incapaci di intendere e di volere. Per costoro, che sono un piccolo numero rispetto al resto dell’umanità, agiscono meccanismi diversi con tutta evidenza legati alla loro specifica individualità. Per il resto, lo schema è ferreo e riguarda sia individui non confessionali per i quali il padre è quello biologico, sia credenti ferventi per i quali il padre può diventare Dio stesso).
Negli anni, il pattern è sempre stato lo stesso: arrivavo davanti ad un tratto di Falsa Personalità che rappresentava una specifica illusione (variamente complessa), lo facevo a pezzi e passavo oltre, ogni volta versando molto sangue e sempre chiedendomi se non sarebbe stata quella l’ultima volta.
Detta così sembra una cosa tragica e, per molti versi, lo è stata. Tuttavia e da dove sono ora, posso dire con una certa sicurezza che ne è valsa la pena giacché un individuo senza sogni è qualcosa di molto vicino alla verità. Non che la verità sia una cosa bella e buona, anzi, ma questo è un fatto che accetti semplicemente, oppure smetti all’istante di leggere e ti dedichi ad altro (in altre parole, scegli di continuare a sognare).
Insomma, se la verità è lo stallo tremendo costituito da ciò che abbiamo chiamato Danza Folle, allora è perfettamente comprensibile che uno sia tentato di buttare la palla in tribuna mandando a quel paese l’intera brigata. Voglio intendere che chiunque, a fronte di una cosa come questa, è assolutamente giustificato a scegliere di ficcarsi ben dentro il proprio universo onirico in attesa della fine. Ecco, se volete, il mistero sembra proprio stare nel fatto che chi scrive, nonostante la distruzione dei propri sogni passi necessariamente attraverso un’enorme sofferenza volontaria, abbia continuato ostinatamente a procedere in questa direzione sino a portare il tutto alle sue estreme conseguenze. Nondimeno, per poterne parlare dobbiamo fare un piccolo passo indietro.
Più sopra, abbiamo accennato a uno stato primitivo e onnipotente quale cifra profonda della Coscienza. Uno stato onnipotente ma privo di reale consapevolezza e che, per l’effetto del sonno fattuale, non è quasi mai possibile vedere o sperimentare. Ho scritto “quasi mai” giacché l’esperienza di tale stato non è del tutto preclusa. In specifico, diviene accessibile:
- In modo diretto con una specifica pratica attentiva che ho chiamato attenzione retroversa. La tecnica è concettualmente semplice ma attuarla, per citare il venerato mullah Nassr Eddin, è un altro paio di maniche. Si tratta di una tecnica che inizia mantenendo il corpo fisico impegnato in un’attività tanto automatica, quanto complessa come il camminare. Camminando, poi, è necessario spostare la propria consapevolezza all’indietro rispetto al luogo dove risiede comunemente, ossia la prefrontale (il luogo fra gli occhi). È possibile usare l’attenzione per trascinare la consapevolezza all’indietro, verso la pineale. In sostanza, è necessario percorrere il tratto che separa il luogo fra gli occhi (sede naturale dell’io osservatore) dalla pineale, al fine di raggiungere quest’ultima (un breve sguardo all’anatomia del brain può aiutate molto in questo). Non si deve fare altro, continuando a ripetere lo sforzo sino a che non si riesce a coprire l’intera distanza e a permanere in quel luogo abbastanza a lungo. Quel che accadrà dopo, saranno solamente affari vostri. Solo un paio di osservazioni: è perfettamente inutile che proviate a fare quanto ho descritto prima di aver raggiunto un profondo distacco dai vostri sogni. In secondo luogo, imboccare quel corridoio equivale a entrare nel Nulla, la qual cosa non è per deboli di cuore. Faccio, altresì, notare che lo sforzo descritto comporta necessariamente una sospensione del dialogo interno e, quindi, la creazione di un reale silenzio mentale (cosa oggettivamente difficile per chiunque). A sua volta, poi, questo silenzio è definibile come elemento complesso. Con ciò, intendo che più procedete nello sforzo, più il vostro silenzio cambia. In quale modo, lo potrete scoprire da soli. Ovviamente, il luogo dove praticare dipende da dove vi trovate meglio, ma va da sé che meno è frequentato, più sarà facile per voi raggiungere un silenzio efficace. Come avrete notato, sto mantenendo il livello d’informazione sull’argomento al minimo. La ragione risiede nel fatto che non voglio in alcun modo suggerire e/o imporre alcun tipo di struttura. Il Nichilismo novecentesco ci ha regalato la libertà da qualunque struttura, sarebbe da idioti sciupare un dono così prezioso rimettendoci a edificare nuove strutture.
- In modo diretto con l’assunzione di chiavi biologiche Principalmente psilocibina e psilocina. Tuttavia è verosimile che anche con l’assunzione di N,N-dimetiltriptamina (DMT) o di 5-idrossi-N, N-dimetiltriptamina (bufotenina) si possa realizzare il medesimo risultato, ma in ordine a queste ultime due non posso affermarlo con certezza non avendole mai sperimentate direttamente (se si esclude, ovviamente, la produzione interna per biosintesi rispetto alla DMT). Soggiungo che solo il primo modo ottiene risultati che non possono essere perduti. Tuttavia, le sostanze psicoattive sono capaci di portare il soggetto in qualunque dimensione percettiva (sta all’individuo decidere quale) e in modo molto pulito e convincente.
- In modo indiretto in quelle ipnosi veramente profonde durante le quali il soggetto è stato portato dall’ipnotista a contatto con quella che si potrebbe (o si vorrebbe) rappresentare come la dimensione animica del soggetto medesimo.
Il terzo modo, ovviamente, prevede l’azione di un’ipnotista che valga il pane che mangia, cosa di per sé complicata sia riguardo alla possibilità di trovarne fisicamente uno, sia alla capacità di costui di capire quel che volete e, soprattutto, di condividerlo. In ogni caso, le risposte che è possibile ottenere dal soggetto ipnotizzato rispetto a domande come “chi sei?”, “come ti chiami?”, “quando sei nato/a?” sono notevolmente spiazzanti poiché non solo manifestano quelle che potremmo definire un’apatia e un’indifferenza talmente profonde da apparire ontologiche, ma anche perché alcune domande non sembrano essere nemmeno comprese, come se la parte che sta rispondendo non avesse per niente il concetto di un’esistenza separata sia nello spazio, sia nel tempo.
Alla domanda “chi sei?”, quella parte risponde sono ciò che sono (e dove l’ho già sentita questa? Ah, sì … Ehyeh Asher Ehyeh, אהיה אשר אהיה). Così come sembra ignorare del tutto concetti quali individualità e inizio (“non mi chiamo” “esisto da sempre”). Il livello descritto si potrebbe dire simile al “linguaggio macchina” di un calcolatore. Un livello nel quale ancora non esistono classi variamente specializzate. Quel che di sicuro sembra esserci, però, è una generica disponibilità del sistema a essere usato in un qualunque modo
(questo è interessante, giacché dà conto del concetto di libero arbitrio. Concetto sul quale, forse, è il caso di spendere qualche parola. Chi scrive pensa che il libero arbitrio esista solo nominalmente, un po’ come certi diritti costituzionali che, se è vero che sono scritti nella carta fondamentale, in realtà non trovano mai alcuna attuazione. Lo stesso si può dire per il libero arbitrio il quale, se è garantito dalla totale disponibilità della Coscienza Individuale, non trova alcuna possibilità di manifestazione una volta edificata la Falsa Personalità. In ogni caso e per approfondire, si veda la citata Teologia della Liberazione).
Come se il luogo immediatamente “a valle” di Keter riflettesse proprio l’estrema indifferenza della Coscienza Creatrice, quello stato “primitivo e onnipotente” descritto prima.
Un luogo che Mosè sembra avesse già visitato quando si trovava in solitudine nel mezzo del deserto nordafricano, qualche migliaio d’anni fa. E c’è da chiedersi, escludendo per evidenti ragioni l’aiuto dell’ipnosi, come facesse quel vecchio trombone a calarsi così profondamente dentro se stesso. Sì, la domanda sorge spontanea: che la manna riservata al grande sciamano delle dodici tribù di Israele appartenesse a qualche tipo molto speciale?
In realtà, l’insolenza che sfoggio nei confronti del povero Mosè è parte di un astuto piano per spiazzare il lettore. E’ chiaro, infatti, che, a prescindere da qualunque eventuale aiuto chimico, quell’uomo non era diventato sciamano per caso. Piuttosto e come ogni stregone che si rispetti, egli doveva avere avuta una predisposizione naturale a parlare con le parti più profonde di sé. Il suo unico problema, se volete, è stato quello di nascere in un contesto etnico, storico e geografico che gli ha impedito di acquisire la distanza necessaria a guardare le cose per quello che sono. Quella distanza che avrebbe reso evidente che l’intero dialogo con questa parte coscienziale, a prescindere dal metodo adottato per giungervi, si costruisce interamente sui nostri pattern cognitivi, ossia su quelle librerie d’immagini che ci appartengono e che deriviamo dal tempo nel quale viviamo (non a caso, il vecchio trombone parlava con Dio, mentre in epoca contemporanea si parla con anima).
Questo significa che il dialogo, in realtà, non è veramente tale, anzi, lo è solo sin tanto che conferisco al contenuto un valore oggettivo (abbiamo visto che si può fare senza alcun problema). Tuttavia, se davvero intendo andare oltre i miei sogni, è necessario riconoscere che sto parlando con me stesso. E, infine, è proprio questo che ci porta dinanzi al Minotauro, ossia a un aspetto già accennato sopra e che, se considerato dal nostro punto di vista di osservatori duali, appare come realmente paradossale e davvero difficile da sostenere. Sto parlando del c. d. “qui e ora” della Coscienza Creatrice.
Cos’è il “qui e ora” della Coscienza Creatrice? E’ possibile cominciare a farsene un’idea, partendo dall’assunto che la Coscienza Creatrice non è mai nata e che, quindi, esiste da sempre. Ecco, cosa questo possa significare in termini concreti è, forse, possibile prefigurarlo facendo come il “fedele” descritto all’inizio di questo lavoro, ossia quell’individuo che prima vuole l’immortalità e, poi, quando ripensa la cosa con maggiore attenzione, si ritrae terrorizzato. Provateci adesso. Prendetevi qualche secondo e provate a pensare con maggiore attenzione voi stessi nell’atto di esistere per sempre. Semplicemente, non smettere mai d’esistere.
Fatto? Bene. Se siete atterriti, allora siete persone normali. Altresì, se la cosa vi ha lasciato indifferenti, rientrate in un ambito di normalità (diciamo che questo vi terrorizza talmente tanto che preferite cassare alla radice qualunque emozione possa generare). Se, viceversa, la cosa vi ha entusiasmato o divertito, allora il mistero è costituito dal fatto che siate giunti sin qui nella lettura di questo lavoro (in ogni caso, non siete soli, miliardi di cristiani e musulmani nel mondo aspettano la vita eterna … sì, suona davvero strano).
Adesso provate qualcosa di significativamente più difficile, partendo dall’assunto (banale) che un’istanza cosciente che non ha mai avuto un inizio, esiste necessariamente in assenza della dimensione temporale. Questo, per l’istanza suddetta comporta un’unica alternativa possibile: esistere nel qui e ora, ossia in assenza di ieri e domani, di prima e dopo. Esiste solo l’attimo presente che non ha mai fine. Non solo, nemmeno sembra individuabile un luogo nel quale quest’istanza sia collocabile, giacché, in assenza della dimensione tempo, anche la dimensione spazio sembra perdere significato. Questo perché se affermo che adesso sto qui, posso farlo perché prima stavo da un’altra parte. Togliere il tempo, divora lo spazio! Magari lo spazio c’è, ma è come se non ci fosse.
Ecco perché la Coscienza Creatrice esiste solo qui e ora. Sulla scorta di tale assunto, ciò che potreste provare a fare è immaginare d’esistere a vostra volta nel qui e ora provando semplicemente a togliere il tempo, ponendovi in posizione terza rispetto sia all’Uno, sia alla Dualità (questi, infatti, sono definiti solo come stati dell’Essere, mentre l’obiettivo è catturare proprio l’Essere in Sé, nella sua essenza primitiva e onnipotente).
Ora e se siete riusciti a entrare in quest’autentico delirio, dovreste poter percepire con una certa forza l’indescrivibile disperazione che la Coscienza duale sperimenta “qui e ora” e, di conseguenza, la misura della tremenda compulsione che la spinge a far continuamente la spola fra i due stati possibili (Uno e Dualità). Ovviamente e allo stato, per noi è impossibile osservare il sorgere della compulsione nell’Uno.
Tuttavia e riguardo al “lato duale”, voi capite bene che l’intera storia di tutte le singole vicende individuali che hanno fatto, che fanno e che faranno l’umanità in ogni singolo multiverso ipotizzabile, a sua volta e date le premesse, non può che essere solo e soltanto il “qui e ora” della Coscienza Creatrice medesima, ossia del singolo, infinito istante di coscienza che cerca un’emozione da sperimentare, quale che sia.
Mi rendo conto che indugiare su questo tipo di speculazione è molto corrosivo, ma state certi che si tratta di un esercizio indispensabile per chiunque sia così folle da desiderare la vita eterna.
Infine, questa è la Danza Folle, il solo e autentico dramma della Coscienza Creatrice. Tuttavia, un dramma che essa sta cercando di risolvere proprio nel “qui e ora”. Come? Semplice, attraverso noi e le nostre specifiche esperienze di vita. Sotto questo profilo, ogni singolo individuo è un tentativo della Coscienza Creatrice di integrare e superare il proprio conflitto nevrotico. Per questo siamo nevrotici, perché siamo Coscienza in essere. Come potremmo non essere nevrotici se la fonte dalla quale proveniamo lo è a sua volta? Per questo ho affermato che l’intera storia del Multiverso in generale e dell’umanità in particolare, è la storia di una nevrosi.
La notizia è che potremmo essere alla fine della recita, perlomeno del c. d. dramma umano, giacché per la prima volta dopo circa quarantamila anni di storia della consapevolezza, il “qui e ora” mostra di aver isolato un obiettivo veramente interessante e, forse, risolutivo.
Si tratta di un’idea che mai è stata presente prima d’ora e che nasce proprio dall’osservazione della Danza Folle e dei suoi due stati fondamentali: l’Uno (il luogo dell’indescrivibile comprensione) e la Dualità (il luogo dell’incomprensibile descrizione). All’improvviso, la Coscienza vede che, essendo onnipotente, può eludere i due stati che la tormentano da sempre per CREARE ciò che abbiamo chiamato STATO TERZO, ossia uno stato nel quale tutto è, nello stesso tempo, perfettamente comprensibile e totalmente descrivibile
(a titolo di cronaca, questo avviene nel 2002, ancorché in modo prodromico ed esclusivamente intuitivo, durante una chat-line di IRC. A quell’idea iniziale serviranno altri dodici anni per diventare una consapevolezza vasta e articolata).
Il punto è che i “costruttori” di un simile Stato Terzo, di tale nuova consapevolezza, possiamo essere solamente noi. Solo qui, nella Dualità e a questo livello di frequenza veramente basso, è possibile forgiare una simile consapevolezza. Una consapevolezza talmente sconvolgente da cambiare tutto giacché, per la prima volta nel “qui e ora”, la Coscienza Creatrice ha uno Scopo trascendente e capace, da solo, di convogliare la Sua Volontà verso un solo punto, un’unica méta. Per la prima volta, il perché dell’esistenza ha una risposta chiara, univoca e maledettamente sensata.
Questo è lo Stato dell’Arte e se sei giunto sin qui, ora è anche tuo. Di conseguenza, adesso hai una scelta vera: restare nel tuo sogno oppure svegliarti.
Doppio
Doppio … Doppio … Doppio … Per poterlo capire lo devi possedere. Per poterne parlare devi averlo sperimentato.
Il Doppio è una posizione del Punto d’Unione nella quale tutto è pieno sino all’orlo.
Il Corpo muore. La Mente muore. Il Ka muore (il riferimento è al Ka della sorprendente mitologia egizia). Non il Doppio. Il Doppio non muore, salvo che la Coscienza Separata voglia farlo morire. La Coscienza Individuale diventa Separata dopo la conquista del Doppio. Sembra una banale questione terminologica. In realtà, non lo è per nulla.
Il Doppio non è un diritto. Il Doppio è una conquista. C’è chi lo chiama Anima, ma come tale è solo una promessa. Nient’altro, giacché Anima è realmente la Coscienza Individuale che, come detto, fluisce da Keter e non appartiene all’individuo sino a che questi non costruisce un Doppio. Questo perché l’individuo senza un Doppio è solo un esperimento. Un burattino di Falsa Personalità. Una sacca spazio-temporale che, grazie a Keter, diviene, nelle ore di veglia, luogo di manifestazione della Coscienza (Creatrice o Individuale, abbiam visto essere la medesima cosa).
Nessuno nasce con un Doppio formato (non avrebbe alcun senso). Di conseguenza, ogni individuo nasce mortale. E, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, tale rimane essendo la c. d. Anima niente più che una possibilità o, come diceva il Vecchio, “la possibilità di avere una possibilità”
(il Vecchio è il nagual Juan Matus, maestro di Carlos Castaneda. Ovviamente, nessuno l’ha mai visto o incontrato e sono in molti a sostenere che si tratti di una pura invenzione dell’antropologo peruviano. Tuttavia, reale o no, quel tizio ha detto un sacco di cose davvero interessanti. A causa di ciò e almeno in questa sezione, userò riferirmi a lui con il nomignolo di Vecchio).
Dunque, il Doppio è solo una posizione del Punto d’Unione che, tuttavia, per essere raggiunta richiede il pagamento di un prezzo enorme. Un uomo o una donna devono cambiare profondamente, facendo a pezzi ciò che sono per reclamare il proprio Doppio poiché quello è il luogo nel quale la Coscienza Individuale può esistere per sempre come Coscienza Separata, se lo desidera.
Se il Corpo è guidato da Mente, il Doppio è dominato dal Cuore. Questo significa che un uomo o una donna, se vogliono arrivare al Doppio, devono diventare padroni delle proprie emozioni.
Non deve esservi paura in loro. Nessuna paura, pena il fallimento. La via che mena al Doppio è fatta di coraggio, di apertura, di distacco profondo, di accettazione incondizionata, di leggerezza, d’impeccabilità e perfezione.
Al Doppio giunge chi distrugge se stesso per scelta consapevole. Il Vecchio parlava di quattro nemici presenti sulla via che mena al Doppio: la paura, la lucidità, il potere e la vecchiaia. Ora sappiamo che, in realtà, il nemico è sempre e solo la paura. Paura della paura. Paura di perdere la lucidità. Paura del depotenziamento. Paura della Morte.
Chi vuole arrivare al Doppio deve percorrere il Filo del Rasoio, la via descritta in dettaglio nella “Teologia della Liberazione”, poiché ogni altro modo conduce altrove. Non che si possa predicare una superiorità del Doppio rispetto a qualunque altra scelta. Ogni scelta è perfettamente legittima e non può essere paragonata a null’altro che a se stessa, ma se si vuole il Doppio si deve percorrere il Filo del Rasoio, ossia il sentiero che realizza la distruzione totale e sistematica della Falsa Personalità. Nessuno può pensare di realizzare un Doppio completo e immortale se prima non distrugge il proprio ego. No way.
Qualunque realizzazione compiuta prima della distruzione dell’ego equivale a ciò che Gurdjieff definiva una “cristallizzazione precoce” e, quindi, sbagliata, con la conseguenza che il frutto sarà mortale. Magari davvero molto longevo, ma avrà una fine.
Il problema sta nel fatto che l’intera faccenda del Doppio è un vero e proprio work in progress. Un lavoro in costante evoluzione fra un inizio e una fine e che è svolto dalla volontà del singolo individuo.
Di fatto, il Doppio nasce da un atto di volontà, qualcosa di molto impegnativo che perlopiù coincide con la distruzione di un’abitudine o una compulsione profondamente radicata. Questo libera energia la quale, all’istante, è usata per costruire il Doppio. Da quel momento in poi e ammesso che l’individuo mantenga costante il suo sforzo, ogni colpo sferrato alla Falsa Personalità farà crescere il Doppio. Ed è qui che c’è il pericolo concreto, giacché più il Doppio crescerà, più renderà evidente la sua presenza mettendo l’individuo a confronto con ciò che il Vecchio chiamava Seconda Attenzione (se la Prima attenzione è usata per risolvere oggetti del mondo fisico, la Seconda è tutto ciò che sta oltre le nostre comuni capacità percettive) spostando, in modo sempre più intenso, la percezione dell’individuo medesimo (si consideri che la cresciuta del Doppio a seguito di un generico sforzo di volontà, spesso generi non tanto “veggenti”, bensì individui “di potere”, ossia persone che, per tratto essenziale, veicolano naturalmente la forza del Doppio verso il possesso e il dominio).
Ora e per fornire un esempio di Doppio incompleto (di cristallizzazione precoce e sbagliata), si consideri il caso dei c. d. “proiettori astrali”, ossia individui che il più delle volte in modo del tutto accidentale, sperimentano ciò che chiamano “corpo astrale”. Ve ne sono, con riferimento alla capacità di “proiettare”, di ogni ordine e grado e da diversi decenni, ormai, aggiornano, direi con certa regolarità, il mondo occidentale su ciò che essi incontrano durante il loro vagabondare dentro lo “sconfinato pantano” denominato Seconda Attenzione.
Il tutto senza rendersi punto conto che cercare di descrivere, così come di misurare, una tale sconfinata vastità nella speranza di comprenderla è un esercizio tanto inutile quanto pericoloso. Ciò per la grandezza e la multidimensionalità della Seconda Attenzione che determina in chi la sperimenta due fatti veramente importanti. Decisivi, invero. A ben guardare due facce della medesima moneta.
Il primo attiene alla sfera psicologica del soggetto, giacché chi si muove in Seconda Attenzione deve fare i conti con un potere fascinatorio talmente grande da essere pressoché invincibile (non a caso, Castaneda fa dire al Vecchio che i veggenti accettano d’entrare nella Seconda Attenzione solo in condizioni di massimo rigore e controllo). Il secondo è d’ordine filosofico ed è conseguenza della predetta difficoltà psicologica. In sostanza, qualsiasi sbocco teoretico diverso dalla riaffermazione di un’entità suprema e “quasi infinita” dentro la quale concepire ogni esistenza, diviene semplicemente impossibile.
Credo, quindi, che possa essere facile vedere come la predetta difficoltà psicologica sia legata al modo di funzionare di Mente che, proprio per la sua stessa struttura, conosce alcuni efficaci strumenti per trattare tutto ciò che è “altro” da sé. Davanti a un oggetto nuovo e sconosciuto, Mente si comporta in modo naturalmente analitico, quindi, prima “divide” l’oggetto in quelli che ritiene possano essere i suoi elementi costitutivi, poi “nomina” ogni singolo elemento così individuato e, infine, osserva come ogni singolo elemento reagisce con gli altri rispetto al comportamento dell’oggetto contenitore, traendo da tale osservazione conseguenze opportune.
E’ chiaro che Mente è in grado di ricavare parecchi vantaggi da ciò. Anzi, più il livello di complessità e d’astrazione dell’analisi aumenta, più gli apparenti vantaggi sembrano poter accrescere in qualità e quantità. Parrebbe, dunque, che quello appena descritto possa essere un modello assoluto, applicabile sempre. Di fatto, non è così.
In verità, sino a che l’esperienza ricade entro i limiti della realtà fisica, proprio per l’enorme numero di leggi che la governano, questo tipo d’approccio è imbattibile. Tuttavia, non appena i limiti fisici sono superati e il numero di leggi vigenti diminuisce drasticamente, il suddetto approccio analitico sembra andare incontro al fallimento. E’ come se la mancanza di un fitto riferimento normativo (proprio del piano fisico) abbia l’effetto di rendere inutile qualsiasi approccio analitico. In effetti e a puro titolo d’esempio, ci si chiede quale senso potrebbe avere la misurazione della reale velocità di un’emozione quando questa è indifferentemente in grado di trasportare all’istante il Doppio sopra la cima di una montagna, all’altro capo del pianeta, ai confini del Multiverso, in una diversa realtà probabile o a spasso per il tempo stesso.
Di fronte ad un potere tanto grande da apparire del tutto illimitato, il caro, vecchio metodo analitico crolla annichilito, lasciando a Mente l’unica opportunità del delirio.
E’ questo, in buona sostanza, il reale pericolo veicolato da un Doppio incompleto. Esso è per necessità governato da Mente, uno strumento del tutto inadeguato e, soprattutto, espressione immediata e diretta dell’ego, ossia della parte più morbosa e oscura di ciascuno di noi. Tuttavia, qui è necessario porre attenzione, giacché qualsiasi preoccupazione etica è del tutto sconosciuta alla Coscienza Creatrice, essendo le categorie del Bene e del Male una pura invenzione di Mente.
Se così non fosse, se l’etica fosse una qualità propria della Coscienza Creatrice, il Male non esisterebbe. Esisterebbe unicamente il Bene. Così non è perché alla Coscienza Creatrice interessa solo l’emozione, quale che sia. Tuttavia e come abbiamo visto, il prezzo richiesto da quest’emozione appare alla Coscienza Creatrice immediatamente esorbitante, spingendola verso la ricerca di una soluzione definitiva al suo tormento. E per risolvere il suo unico problema, essa gioca tutta la partita del superamento della Danza Folle solo sulle dinamiche interne al Multiverso. In ultima analisi: sull’uomo.
Per questo è possibile affermare che, almeno dal punto di vista di quella parte della Coscienza Creatrice che vuole uscire dall’impasse, il Doppio ha senso solo se è legato allo Scopo.
Senza lo Scopo, il Doppio è follia. Un urlo (quasi) infinito.
Unito allo Scopo, il Doppio è il mezzo della Coscienza Creatrice per realizzare lo Stato Terzo (o, almeno, tentare di farlo).
Con Affetto.
Honros (25/02/2014)
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