Keter
È tempo d’esaminare con un po’ d’attenzione il glifo che decora la copertina di questo libro. Si tratta di un simbolo complesso, composto di un esagramma conosciuto come scudo di David (Magen Dawid, מגן דוד) e di un pentagramma detto pentalfa (così chiamato da Pitagora).
I suddetti simboli sono sovrapposti e uniti in basso. Sopra i due simboli sono disegnati due draghi.
Avverto che non mi dilungherò sull’origine e la natura dei diversi elementi del glifo poiché si tratta di un argomento che, da solo, richiederebbe un lavoro enorme che non ho intenzione di fare e fornire lunghi elenchi di citazioni e fonti non è l’intento di questo lavoro. Tuttavia darò qualche indizio che spero sia sufficiente a indicare, a chiunque ne abbia intenzione, il modo per approfondire maggiormente l’argomento.
Entrambi i simboli (esagramma e pentagramma) sono molto antichi. Questo è un fatto generalmente accettato, tuttavia nessuno sa, nemmeno con buona approssimazione, quando siano stati realizzati per la prima volta. Ciò che, invece e con riferimento alla storia occidentale, sappiamo è che se l’esagramma, almeno dal XII secolo, entra a far parte (con il nome di scudo di David) della letteratura ebraica, il pentalfa, oltre alla sua attività nel mondo ellenico, caratterizza in senso esoterico sia l’esperienza templare, sia la successiva attività massonica (qui dettagli di una lapide massonica nel cimitero di Castleton, Derbyshire; qui l’entrata del ristorante Freemasons’ Hall in Arthur Square a Belfast).
Osserviamoli. La prima cosa che si nota sovrapponendoli è che condividono un unico punto sulla circonferenza che idealmente li contiene entrambi
(il punto in basso. Si noti, però, che questo è del tutto arbitrario giacché potrebbe essere uno qualsiasi dei sei dell’esagramma o dei cinque del pentalfa. In effetti, questo è un fatto interessante giacché introduce modificazioni nella struttura del simbolo).
Per il resto non hanno nulla in comune, ma proprio nulla. Non il colore, non il numero-radice sul quale sono costruiti e, di conseguenza, non il numero di punte né quello dei lati. Anche le rispettive aree sono diverse, essendo l’area del pentalfa circa 2/3 di quella dell’esagramma (il rapporto è molto facilmente ricavabile calcolando le aree delle due figure inscritte nella stessa circonferenza) e, dato atteso, nemmeno i rispettivi centri sono sovrapponibili. Ora e nell’ipotesi che i due glifi simboleggiassero due generatori d’informazioni, potremmo ragionevolmente attenderci due flussi d’informazioni profondamente diversi come, ad esempio, un flusso (leggi: atteggiamento) “conservatore” e uno “progressista” (Conservatori battono progressisti 10 a 7 e questo spiega davvero molte cose).
Ecco, per farla brevissima, il glifo sta lì a simboleggiare la macchina psichica per eccellenza, la quale permette alla Coscienza Creatrice di divenire Coscienza Individuale. La macchina fa una cosa semplice (si fa per dire): conferisce alla Coscienza Creatrice la modalità dell’essere dividendola in due forze antagoniste che nel glifo sono raffigurate dai due draghi di colore diverso.
La macchina è Keter, la prima sephira dell’albero della vita, quella in proposito della quale i rabbini dicono che fa riferimento a cose che stanno sopra la capacità di comprensione della mente (è plausibile che il riferimento sia alla mente dei rabbini medesimi). La macchina trasforma la Coscienza Creatrice in due flussi d’energia psichica che prorompono dalle due facce della Pietra (su questo punto la questione diviene assai interessante giacché la Pietra, intesa in senso alchemico, potrebbe essere proprio la ghiandola pineale); la faccia del pentalfa genera il drago rosso, quella dell’esagramma genera il drago bianco e tutto ciò che chiamiamo vita è il risultato della mescita di queste due forze. Ne consegue che la pietra (a livello fisico, probabilmente la pineale) può essere simboleggiata da un poliedro composto, irregolare, un cristallo formato da due cupole l’una di matrice pentagonale, l’altra esagonale. Pressappoco come questo:
I due draghi, a loro volta, possono essere descritti come due diverse sostanze. Una bianca, detta Lattone o Latone (sue caratteristiche, oltre al biancore, il profumo gradevole e un’alta viscosità, proprio come moltissimi esteri), associata alla parte destra della Totalità, l’altra rossa, chiamata Rosso (dal profumo pungente e con proprietà psichiche, come la volatilità, che ricordano quelle degli eteri, ossia composti usati come solventi per sostanze organiche e per estrarre composti organici dall’acqua) e associata alla parte sinistra (ovviamente, nei mancini è il contrario).
A loro volta, le due sostanze presentano entrambe sia un aspetto statico, sia uno dinamico.
Nel loro aspetto statico, Rosso e Lattone costituiscono la quintessenza della vita così come la conosciamo perché si manifestano (e, di conseguenza, sono percepiti) come nutrimento vitale. Sotto questo profilo, è evidente il loro legame con i tre tipi di nutrimento del Corpo Fisico (cibo, respiro, impressioni, cfe, La Quarta Via di P. D. Ouspensky Ed. Ubaldini) realizzandone, almeno a livello umano, la sublimazione più alta.
Ciò che abbiamo chiamato “nutrimento vitale”, quindi, scaturisce dalla produzione e dalla mescita equilibrate di Rosso e Lattone (l’usanza berbera di trarre nutrimento dal miscuglio di latte e sangue di cammello, trova la sua spiegazione nell’istintiva percezione delle due sostanze).
Corollario di ciò è che più i Centri (Motore, Emozionale e Mentale) saranno equilibrati, più il nutrimento vitale sarà composto in giuste proporzioni, più la psiche dell’individuo sarà compensata e potente.
L’aspetto dinamico di Lattone e di Rosso, viceversa, è l’energia psichica e, in specifico, il modo in cui tal energia è sperimentata (utilizzata) dalla totalità psichica in generale (il riferimento principale è a tutta l’attività di produzione dei succitati “vettori attentivi”).
L’aspetto simbolico, come detto, corrisponde a due forme simmetriche che, solitamente, descrivono altrettanti serpenti o draghi. Il primo, il Drago Bianco, esprime l’aspetto femminile della Totalità, nonché il potere di guarire. Lì, sono Eros e unificazione. Suoi simboli “positivi”, a titolo d’esempio, possono essere la terra, l’utero, la medicina, l’acqua, il latte materno, l’amore; simboli negativi, invece, tutti i tipi di veleno, il tradimento, il sepolcro, il risentimento, la follia. In ogni caso, questa parte esprime un atteggiamento profondamente conservatore e che guarda al passato.
Il Drago Rosso è la parte maschile e fecondante della Totalità ed esprime il potere di conoscere. In Lui sono Logos e distinzione. Suoi simboli positivi possono essere il sole, il fallo, il fuoco, il sangue, l’aria, la filosofia e la conoscenza; nel simbolismo negativo del Drago Rosso ci sono tutte le armi, gli eserciti e la guerra, la schiavitù, l’odio e la morte. Questa parte esprime un atteggiamento spiccatamente progressista con lo sguardo fisso sul futuro.
Ogni attività umana è espressione diretta o indiretta dell’azione di queste due sostanze le quali, investendo i centri, fanno scaturire in essi pensieri, emozioni, sensazioni e intuizioni.
È interessante notare che, sempre secondo i nostri sapientissimi rabbini, il nome di Dio associato a Keter è “Io sono ciò che sono” (Ehyeh Asher Ehyeh, אהיה אשר אהיה), ossia il nome con il quale egli si rivelò a Mosè nel roveto ardente. E ci sta davvero bene il roveto come il simbolo del brain (il brain di Mosè in persona, eh … mica pizza e fichi) o, almeno, come una sua parte (la pineale, appunto) e il fuoco che lo pervade proprio come la forza della Coscienza Creatrice che, passandoci attraverso, acquisisce la modalità dell’essere
(sembra abbastanza ragionevole che la pineale abbia un omologo a livello psichico. Che quest’omologo fosse, poi, da Mosè reso come un roveto sembra altresì coerente con quelli che potevano essere i pattern cognitivi di un uomo del tempo, inchiodato nel mezzo di un deserto. In realtà, quell’omologo sembra proprio essere Keter).
Questo, tra l’altro, spiega in termini strettamente psicologici sia la figura di Mosè, sia il suo ruolo all’interno della vicenda dell’esodo, facendone, come accennato più sopra, qualcosa di molto simile a uno sciamano, ossia un individuo al quale i clan (le dodici tribù) hanno delegato il compito di mantenere la connessione con quell’istanza profonda la quale, quando si manifesta, dice “io sono ciò che sono”. In altre parole, qualcosa che non spiega nulla di sé giacché, essendo del tutto astratta e priva della modalità dell’essere, non ha alcunché da spiegare.
Solo quando la Coscienza Creatrice ha incapsulato un’istanza di sé in un individuo separato, tale astrattezza viene meno, tanto che su quell’atto s’innesta la costruzione sia del macrocosmo (Multiverso) sia del microcosmo (uomo). Il quale microcosmo gestirà, attraverso la Mente, la fame di descrizione che ha mosso la Coscienza Creatrice a lasciare l’Uno (in fondo, questi rabbini se solo avessero fatto un piccolo grande sforzo per liberarsi del senso di colpa l’avrebbero potuto vedere già millenni fa).
In questo processo c’è un aspetto particolarmente interessante, legato al modo di produzione della consapevolezza che avviene attraverso una regola molto precisamente definita in Genesi 2, 19: “Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.”
Il passo descrive il potere di “imporre il nome” alle cose, ossia quel meccanismo che appartiene in modo completo ed esclusivo alla Coscienza Individuale e che interviene immediatamente a valle di Keter.
Che vuol dire? Semplice, che immediatamente dopo la trasformazione della Coscienza Creatrice in energia duale, quella stessa energia si trova ancora e per un brevissimo istante in una fase che potremmo definire pre-verbale, ossia in uno stato del tutto privo d’individuazione logica e, proprio per questo, totalmente libero. Solo con l’intervento della drammatica forzatura semantica derivante dall’imposizione di un nome quell’energia può caratterizzarsi, concretandosi in un oggetto qualsiasi del c. d. mondo reale.
Nel simbolo, questo è reso proprio dai segmenti grafici che indicano le radici dei due draghi. Dal punto d’origine e per un breve tratto, le due forze sono rappresentate da un disegno approssimato, spersonalizzato, che sta lì a indicare un range temporale all’interno del quale l’energia è ancora completamente libera da qualunque tipo di descrizione (in altri termini, può diventare qualunque cosa).
Molto presto, però, Mente interviene imponendo un nome (è spinta da paura e senso di colpa, quindi, il suo intervento tende a essere fulmineo e feroce) e questo determina il collasso della funzione d’onda grazie al quale l’energia è trasformata (coagulata) in materia (o, per esteso, in consapevolezza) e ciò grazie solamente al linguaggio, ossia a un sistema simbolico totalmente arbitrario. Sotto questo profilo, quindi, il linguaggio è solo un trucco. Anzi, il trucco più formidabile ed efficace di Mente.
In effetti, cos’è un nome se non un insieme di fonemi privi di senso? I bambini lo sperimentano con grande sorpresa quando succede loro di ripetere continuamente la stessa parola per diverso tempo. Dopo un po’, questo gioco li porta naturalmente a separare il significante dal significato ed essi si ritrovano fra le mani quella stessa la parola in forma di un oggetto del tutto sconosciuto.
Tuttavia, “imporre un nome” ha il potere di dare forma all’energia che promana da Keter al punto che, immediatamente dopo, quella stessa energia non esiste più. In suo luogo, possiamo ammirare l’oggetto che conosciamo e che trattiamo proprio grazie al nome appena pronunciato. Vedi un “cavallo” e subito pronunci quel nome nella mente: “toh, un cavallo”. Sbalorditivo. Che abbiamo fatto? Cos’è accaduto? Quel che è accaduto è che il terzo centro (intellettuale), il quale si basa su una logica strettamente binaria (vero/falso), ha dipanato l’intero blocco emotivo pre-verbale in una sequenza logica semplicemente conferendo un nome. Un attimo primo c’era un’unica informazione analogica, una portante emotiva indistinta. Nell’attimo successivo, la portante emotiva è scomparsa perché è stata trasformata in informazione logica (vero/falso) la quale, il più delle volte, ha anche un’ipostasi nel mondo fenomenico. E tutto questo solamente attraverso il meccanismo d’imposizione del nome dell’oggetto perché questa è una manovra che (come abbiamo visto a proposito del Punto d’Encaje) ponendo limiti all’indifferenziato, lo rende finito e, di conseguenza, conoscibile.
Tutto questo, quindi, se da un lato determina l’esistenza di una serie finita (ancorché molto grande) di oggetti che presentano alcune specifiche proprietà in luogo delle infinite altre escluse proprio dalla scelta compiuta dall’osservatore (vedi sempre discussione sul Punto d’Encaje), dall’altro ha conseguenze davvero molto importanti, giacché determina in maniera altrettanto limitata e parziale ciò che solitamente chiamiamo amore.
L’amore è l’aspetto più radicale e immediato che scaturisce dall’attività di Keter il quale, lo ricordiamo, genera due forze opposte che, tuttavia, promanano dal medesimo oggetto: la Coscienza Creatrice. Voglio significare che se è vero che queste due forze non smettono mai di lottare, nemmeno possono smettere di attrarsi reciprocamente giacché non hanno modo d’esistere l’una senza l’altra. Questo è tutto quel che c’è. Il resto, tutto il resto, è una costruzione di Mente la quale, durante i millenni trascorsi dal primo insorgere della consapevolezza, ha trovato in questa potentissima dinamica di attrazione/repulsione, determinata dal gioco meccanico dei draghi, la sponda perfetta per la sua innata tendenza morbosa. Così, questo rapporto dicotomico, questo conflitto senza fine è divenuto il terreno ideale sul quale far crescere tutta la mostruosa serie di categorie morali che, come frecce al curaro, stanno da sempre nella faretra del nostro occhiuto Super-Io (forse solo in epoca antidiluviana le cose possono essere andate diversamente, ma non ne abbiamo memoria e quindi non ne parleremo). In ogni caso, quello appena descritto è propriamente il Labirinto disegnato dall’albero della vita.
Eccolo, l’albero della vita (Etz Ha’yim, עץ החיים):
L’albero è composto da dieci Sephirot (ogni cerchio corrisponde a una Sephira la quale ha un nome e attributi specifici). Tuttavia, ciò che sta sotto Keter c’interessa relativamente poiché si tratta della Dualità o, se vogliamo usare un’altra metafora, del Labirinto. Con questo intendo sia il Labirinto del Macrocosmo, ossia il Multiverso, sia quello del Microcosmo, ossia l’Uomo.
(L’albero descrive solo l’ultima parte del processo evolutivo che la Coscienza ha sperimentato sin dal suo primo apparire nel “campo duale” poiché intercorrono almeno nove miliardi di anni prima che la vita s’affacci sulla superficie di questo pianeta a altri 4.8 miliardi prima di arrivare alla forma uomo. In totale 13.82 miliardi di anni, ma si tratta di quel particolare rapporto con il tempo caratteristico di ogni descrizione mitica e legata al linguaggio simbolico)
Per questo le sephirot sotto Keter non sono per niente descritte, perché non ci servono.
I tre livelli che vedete immediatamente sopra Keter sono, in realtà, la medesima cosa descritta in tre modi diversi e, forse, avrete inteso che si tratta del famoso Uno che la Mente traduce prima come Nulla (Ein) al quale, in seguito, conferisce la qualità dell’infinitezza (Ein Soph) e, quindi, quella della luce infinita (Ein Soph Aor). In realtà, questi tre livelli descrivono l’altro stato della Coscienza, lo stato indiviso nel quale la Coscienza è sola e immobile, ancorché nella comprensione assoluta. L’altro stato della Coscienza che noi, poiché esseri duali, percepiamo come Nulla.
In mezzo Keter, a far ciò che è stato detto. Almeno concettualmente, è tutto molto semplice. La Coscienza Creatrice uscendo dall’Uno origina il Big Bang e da lì in poi ogni cosa è generata “in caduta”, compreso l’inizio della vita. Quel che, infatti, interessa alla Coscienza è arrivare alla “forma uomo”, il “come” è lasciato interamente ai processi meccanici alimentati dall’azione primordiale del Big Bang. Un percorso evolutivo al quale l’uomo conferisce un senso del tutto peculiare e che schematizzo in linea di massima qui sotto. Si tenga conto che questo schema assume come verosimile l’ipotesi di Ryan-Pitman che pensa il diluvio come conseguenza dell’inondazione preistorica del Mar Nero (ipotesi non accettata da tutti ma che potete trovare qui). Sulle ascisse è il grado di sviluppo della Coscienza, sulle ordinate il tempo in migliaia di anni.
Come si vede, nel grafico
(potrete trovare uno schema assai simile e riferito allo sviluppo psichico di ciascun singolo individuo, dall’infanzia sino all’età adulta, quando pubblicherò la Teologia della Liberazione)
il punto d’origine dello sviluppo coscienziale non è zero giacché quando i primati entrano in contatto con la psilocibina, in essi è già presente un certo livello di coscienza determinato dai miliardi d’anni trascorsi dal Big Bang. Se, quindi, fissiamo il livello al quale è giunta la Coscienza con il solo supporto della materia inanimata e della vita vegetale e animale a uno, sono individuabili altri tre steps i quali, da soli, disegnano quel che potremmo definire il diagramma dello sviluppo della consapevolezza.
In linea di principio, quindi e almeno in conformità a quanto sin qui affermato, ogni oggetto (anche apparentemente inanimato) dovrebbe avere un pur infimo livello di coscienza, poiché ogni istanza virtuale predicabile, ogni ipotetico oggetto pensabile, da un sasso al cervello umano a Dio, sarebbe sostanzialmente definibile come Coscienza in atto (tenendo sempre presente la distinzione proposta fra “coscienza” e “consapevolezza”, pare ragionevole considerare tale “coscienza periferica” come qualcosa di molto diverso da ciò che sgorga continuamente da Keter e che è destinato a trasformarsi in consapevolezza, appunto). In ogni caso e sotto quest’aspetto, sia l’Uno sia la Dualità, essendo certamente stati di Coscienza, presenterebbero la curiosa proprietà di poter essere trattati indifferentemente sia come oggettivi, sia come soggettivi. E con conseguenze davvero molto interessanti giacché la Coscienza Creatrice creerebbe, modificherebbe e distruggerebbe se stessa saltando da uno stato all’altro (Uno e Dualità) esattamente come la Coscienza Individuale (noi) può entrare in uno stato emotivo specifico, modificarlo e, quindi, uscirne.
Alla fine, quel che rimane è sempre e solo la Coscienza (Creatrice o Individuale che sia). L’unica differenza predicabile sarebbe sostanzialmente quantitativa giacché si tratterebbe in ogni caso di emozioni che creano, modificano e distruggono tanto la virtualità, quanto la stessa Coscienza che in quell’istante agisce. A questo punto, quindi, dovrebbe essere evidente che la cosa che interessa davvero la Coscienza, potrebbe essere l’emozione in sé e non tanto il suo risultato. Quando la Coscienza lascia l’Uno lo fa per cantare e danzare. Di conseguenza, la creazione globale o locale non comporta differenza alcuna giacché se la Coscienza agente è Creatrice, l’oggetto creato (o modificato o distrutto) è il Multiverso, se è Individuale l’oggetto creato (o modificato o distrutto) è locale come può esserlo un’emozione, una danza, un ponte o lo stesso Dio (infine, il mondo che ci circonda visto che non ne conosciamo uno diverso). Una lettura conveniente, dunque, sembra poter essere quella che non predica alcuna vera differenza fra Coscienza Creatrice e Individuale (se non riguardo ai piani sui quali ciascuna di esse opera). Entrambe sembrano riflettere uno stato primitivo certamente onnipotente e, tuttavia, privo di reale consapevolezza. Uno stato che muta in continuazione, danzando senza sosta fra due mostruosi opposti (l’Uno e la Dualità) e che, almeno quando si trova nella Dualità genera una sorta di clone (noi) allo scopo di sperimentare emozioni.
Per questo, quando dico “io sono” dico una verità e una bugia al tempo stesso. Una verità perché, “qui e ora” e grazie al lavoro di Keter, qualsiasi individuo è realmente Coscienza in atto e, a certe condizioni, è perfettamente capace di essere Coscienza Creatrice. Una bugia perché quando la Coscienza Individuale cessa d’esistere, la Coscienza Creatrice permane inalterata. É infinita, perciò e anche considerando tutti i possibili, infiniti Multiversi in atto, come potrebbero tutte queste esperienze alterare la sua infinitezza se, in ogni caso e prese singolarmente, sono finite (discrete)?
Questo è il mistero di Keter. Il “mistero” di un processo creativo sempre in atto che prende e genera la vita, giacché Keter è la porta di comunicazione diretta fra Uno e Dualità. Attraverso tale porta la Coscienza fluisce nell’individuo direttamente dall’Uno in un processo di creazione costante e dall’individuo all’Uno in un processo di distruzione costante. Funziona nei due sensi: quando il verso è “IN” dona e sostiene la vita, quando è “OUT” la recide, riprendendosela. Un processo che alcuni, sotto l’azione diretta della psilocibina, hanno visto rappresentato da una faccia che mostra la lingua, simile a queste:



Sul punto, sembra opportuna una piccola precisazione giacché, al contrario di quanto ritenuto dai più, la raffigurazione di motivi simili a quello delle c. d. Gorgoni, non ha punto motivazioni apotropaiche. “Apotropaico” è, al pari di “pareidolia”, una parola magica che, in questo caso, è capace di togliere dall’imbarazzo chiunque si trovi a fare i conti con immagini simili a quelle raffigurate qui sopra. In realtà, le emozioni in gioco quando guardiamo quel volto sono paura, sgomento e angoscia feroce e ciò accade perché stiamo guardando una rappresentazione di Keter, ossia della fonte stessa della vita e della morte.
Quel che ci sgomenta a livello inconscio è la consapevolezza che lì, in Keter, non esiste né giudizio morale, né senso di giustizia, né premio e neppure castigo. Esiste solo qualcosa che entra donando la vita e qualcosa che esce, togliendola. Qualcosa per la quale il bene e il male sono concetti del tutto inesistenti e questa cosa ci strazia, giacché pochissimi possono verosimilmente sostenere una tale consapevolezza senza andare in pezzi. Per questo, l’immagine diventa magicamente “apotropaica”, perché in questo modo dirigiamo il flusso attentivo altrove, in luoghi non pericolosi dove ingenui progenitori tenevano lontane le forze del male esponendo fuori dalle proprie dimore figure orrende, perché il simile (in tal caso l’orrido) scaccia il simile.
In realtà, le Gorgoni sono Keter. Anzi, ne sono la rappresentazione simbolica. A mente del mito greco, infatti, Euriale, Steno e Medusa rappresentavano rispettivamente la perversione sessuale, morale e intellettuale. In altre parole, un’unità tripartita (esattamente come un individuo) la quale descrive magistralmente gli effetti che la spinta angosciante di Keter genera sulla mente conscia. Tutta quell’angoscia, infatti, non dà alcuna scelta al singolo perché lo spinge inesorabilmente verso l’autocommiserazione la quale, a sua volta, induce il ricorso all’indulgenza (a fini evidentemente compensatori). Va da sé che esistono differenze fra i singoli individui, essendovene alcuni meno attrezzati di altri nel gestire la sofferenza (tipicamente, chi è più propenso alle tossicodipendenze).
In ogni caso, ciò che fa Perseo a Medusa è propriamente ciò che si fa quando si definisce l’immagine della Gorgone in senso apotropaico: l’eroe nega esistenza al “mostro” decapitandolo e annullando, in questo modo, il suo potere. Così, se da una parte evita a Mente la follia di un’esposizione diretta al fuoco dell’archetipo (classe psichica), dall’altra ne sostiene l’auto inganno che le permette di mantenere intatto il suo sonno, garantendole inconsapevolezza rispetto all’incessante flusso di creazione e distruzione che quella parte così spaventosa esprime. Non a caso Perseo è proclamato eroe.
Come ho accennato più sopra, è mia convinzione che solo il Taoismo si sia spinto un po’ più in là nella comprensione di quanto descritto. E i motivi, probabilmente, stanno sia nella sua cennata vena anarchica, sia nell’influenza sciamanica (magia Wu) che fu profonda almeno sino all’inizio della dinastia Han (206 a.C., 220 d.C. cfr. Isabelle Robinet, Taoist meditation – Leonardo Vittorio Arena, Vivere il Taoismo, Milano, Mondadori, 1996) .
Nessuno conosce quando e dove il Taoismo ha avuto origine, inoltre la sua idea di Dio non ha alcunché in comune con quella sviluppata in occidente. Vero è che l’idea di un Dio molto caratterizzato o, addirittura, antropomorfo, è del tutto sconosciuta all’intero universo cinese.
Rassicurando il lettore che non ho alcuna intenzione di addentrarmi nella storia del Taoismo, quel che vorrei rilevare è che esso sembra l’unica filosofia che, attraverso i concetti quali Wu Chi, Tai Chi, Qi, Yin, Yang e Wu Xing (cinque elementi), descrive in modo sorprendentemente preciso questo flusso di creazione e distruzione continua.
Wu Chi è energia non manifesta, dal nostro punto vista l’Uno.
Tai Chi l’energia comincia muoversi generando gli opposti, per noi è Keter nel suo lavoro di trasformazione dello stato di Coscienza.
Qi è la forza della vita, per noi i due draghi impegnati nel creare, sostenere e distruggere la vita. E questo diventa chiarissimo in Wu Xing, i cinque elementi:
By the way, curioso che torni il pentalfa, eh? In ogni caso:
Flusso di creazione – Il legno alimenta il fuoco. Il fuoco produce cenere che nutre la terra. La terra genera il metallo. Il metallo trasporta l’acqua. L’acqua nutre il legno.
Flusso di distruzione –Il legno consuma la terra. La terra assorbe l’acqua. L’acqua spegne il fuoco. Il fuoco fonde il metallo. Il metallo spezza il legno.
Il Tao, quindi e dal nostro punto vista di occidentali scettici poiché orfani dello Spirito, è la Coscienza. E, come tale, il Tao è espresso sia dal Wu Chi (immobilità, solitudine e comprensione), sia dal Qi (motilità e incomprensione) poiché suoi “stati di coscienza”. La conseguenza è che tutto ciò che esiste è virtualità, giacché è nient’altro che proiezione olografica del “qui e ora” della Coscienza.
L’unica differenza sta nel fatto che i taoisti hanno avuto il bisogno d’inventarsi il Tao, ossia qualcosa di altro da noi e per gli stessi motivi per i quali noi abbiamo creato Dio: paura e senso di colpa. Dato ciò, permane anche nel Taoismo il miraggio dell’Uno, tanto che l’obiettivo ultimo del suo insegnamento è l’unificazione con il Tao stesso (l’Uno). Questo denuncia chiaramente che l’intero impianto è viziato dal senso di colpa, giacché come l’Uno avrà riassorbito l’individuo, costui cesserà d’esistere, mentre la Coscienza continuerà la sua danza folle e senza tempo.
È venuto il momento di dare al sottotitolo di questo lavoro il senso che realmente gli appartiene, ossia il fatto che noi, proprio grazie alla posizione di estremo privilegio nella quale ci ha ficcato il devastante nichilismo degli ultimi cento anni, questo bisogno non lo abbiamo realmente più e possiamo, senza tanti complimenti, fare il grande salto assumendoci per intero la responsabilità del nostro potere creativo, affermando che il vero miracolo non è per niente l’Io che diventa Dio, bensì Dio che (ri)diventa Io.
Sì, tutto bene. D’accordo, ma … perché? Perché abbandonare i nostri sogni per fiondarci dentro quest’avventura? Prima di rispondere a questa domanda, vediamo un po’ più in dettaglio la struttura di un altro dei protagonisti del dramma umano: l’angoscia.
L’angoscia che ogni individuo sperimenta durante la sua esistenza è alimentata dalla paura della morte. Questa è una lettura del fenomeno che a me pare corretta giacché rende conto della continua pressione che il Nulla (l’Uno) opera sulla Coscienza al fine di riassorbirla.
Altrove (Teologia della Liberazione) l’angoscia è stata definita come forza attiva, ossia quella forza che deriva dalla paura della morte e che, a patto che non superi una certa misura, diviene il vero propulsore del processo che abbiamo chiamato di evoluzione coscienziale poiché, come ha osservato Jung, spinge costantemente la persona verso l’individuazione (ossia quel processo che porta il singolo a differenziarsi sempre più dall’Indifferenziato dal quale proviene).
Non mi soffermerò sulle dinamiche del processo d’individuazione (chi è interessato può leggersi i numerosi lavori di Jung sul tema). Quel che, invece, vorrei fare è portare l’attenzione del lettore su un aspetto sottile del meccanismo di produzione d’angoscia e che consegue proprio al funzionamento di Keter.
Abbiamo affermato che la Coscienza Creatrice è l’unica cosa reale e che sia l’Uno, sia la Dualità sono modi d’essere (stati) della Coscienza Creatrice. Ora è importante ricordare che questi due “stati di Coscienza” appaiono come immanenti, ossia come appartenenti all’essenza stessa della Coscienza Creatrice. Di talché, la stessa Coscienza Creatrice sarà Uno oppure Dualità non potendo, almeno per quel che sino ad ora ne sappiamo, essere qualcosa d’altro.
Abbiamo, altresì, sostenuto che la Coscienza Creatrice nella sua dimensione essenziale è astrazione assoluta. Ora, è assai probabile che sia quando è nello stato di Uno, sia quando incapsula un’istanza di sé in un individuo separato tale astrattezza venga meno. Nel primo caso tale diminutio potrebbe anche essere piccolissima, tuttavia diversa da zero giacché, se così non fosse, allora sarebbe difficile pensare a un qualunque squilibrio capace di generare una scissione (con conseguente Big Bang). Nel secondo caso e grazie a Keter, la Coscienza Creatrice precipita una parte di sé, perdendo all’istante la sua astrattezza in un processo auto limitativo. Se nell’istante precedente e proprio grazie all’astrazione della quale godeva, la Coscienza aveva infinite possibilità di essere, passando da Keter ne sceglie una. Nel nostro caso, una fra le 2048 possibili in questo Multiverso (non sappiamo se esistono altri Multiversi con dotazione dimensionale diversa dal nostro, ma non mi stupirebbe scoprire che ne esistono infiniti). Sta di fatto che da quell’istante l’astrattezza è perduta.
Il discorso sembrerebbe concettualmente semplice, tuttavia, ciò che deve essere compreso a fondo (e come già accennato in precedenza) è che quello che ho appena descritto non avviene una tantum (nell’istante del Big Bang), ma è un processo continuo, che si verifica durante ogni istante di vita cosciente e che, nel nostro Multiverso, è legato alla “forma uomo”. Grazie a Keter è prodotto un costante flusso di Coscienza dall’Uno alla Dualità, coscienza che Keter trasforma in quell’energia che noi chiamiamo vita e che, nell’uomo e attraverso il citato processo d’individuazione, diventa consapevolezza.
Ciascuno di noi sperimenta in ogni momento della propria esistenza questo processo, anche se lo fa in modo sostanzialmente inconsapevole a causa della presenza del dialogo interno.
Parlo della confabulazione perenne della quale siamo preda e che ci impedisce di vedere ciò che sta accadendo perché consuma l’intera energia psichica disponibile. Tale confabulazione è detta sonno fattuale (Teologia della Liberazione) e si consuma interamente nella corteccia prefrontale. Quel che accade, quindi, è che ce ne stiamo tutto il tempo infilati nella prefrontale, in mezzo ai nostri sogni, alle nostre speranze e illusioni.
Di fatto siamo burattini di noi stessi, marionette inconsapevoli che corrono in tondo nel labirinto disegnato da Etz Ha’yim mentre in Keter, alla fonte della vita e della Coscienza, c’è tutto. Ci sono il processo stesso e i suoi frutti immediati: la vita, la morte e, soprattutto, il senso di colpa che scaturisce dinamicamente proprio dalla perdita dell’astrattezza e come immediata conseguenza della perdita della comprensione di ciò che andiamo descrivendo durante la nostra intera esistenza.
Ecco, il punto dolente è proprio la perdita dell’astratto. Quando, infatti, la Coscienza è nell’Uno soffre certamente sia la solitudine eterna sia l’immobilità assoluta, ma è nella pienezza della comprensione e, di conseguenza, assai prossima all’astrazione assoluta. Quando, però, abbandona l’Uno perde realmente tutto ciò che aveva per qualcosa che (lo scopre all’istante e con grande sofferenza) per quanto interessante e dinamico e descrivibile possa essere non potrà mai, data la sua miserabile limitatezza, compensarla per quanto ha perduto.
Come abbiamo visto, questo è un fatto devastante e che richiede il pagamento di un prezzo altissimo: il senso di colpa, appunto. Un senso di colpa talmente grande che deve essere dimenticato attraverso la continua, incessante attività fantastica (onirica) che teniamo costantemente in azione nella prefrontale. Ed è proprio la rimozione del senso di colpa primigenio che genera l’angoscia.
È come se dal preciso istante nel quale il senso di colpa è occultato, l’individuo vivesse sul ciglio di un abisso con solo una fragile tenda (il dialogo interno) a separarlo dall’abisso medesimo. L’individuo sa che, se vuole evitare di precipitare in quell’abisso ed essere di conseguenza riassorbito dall’Uno, dovrà mantenere tesa la tenda al fine d’impedire alla propria attenzione di oltrepassare quel limite.
Questo genera angoscia perché quando l’oggetto disturbante (la consapevolezza della perdita e il relativo senso di colpa) è relegato nell’inconscio, la sua azione diventa anonima e di conseguenza tremendamente minacciosa.
È qui, infatti, che la Mente mette in atto uno dei suoi trucchi migliori, spogliandosi di una parte molto importante del proprio potere per dare origine alla stessa Morte. Ossia, a qualcosa di tremendamente potente e invincibile, che sta al di fuori di noi e che ha il potere di finirci in un istante.
Sì, è così, la Morte come entità separata non esiste, esattamente come Dio. Ovviamente, il corpo fisico muore, ma la cosa davvero spiazzante è che siamo noi stessi a decidere quando e come morire. Ciascuno di noi è artefice della propria morte e pianifica quell’istante con ogni probabilità verso la fine della fase adolescenziale, solo che decide di non volerlo sapere. E, infatti, l’intera manovra si svolge sotto il c.d. niveau mental, nel profondo dell’inconscio.
Come detto, l’attività di rimozione di un contenuto così potente, generando un’angoscia tanto grande, potenzia in massimo grado il dialogo interno (sonno fattuale) che assorbe tutto quel che c’è in termini d’energia psichica, con conseguente e continua creazione/modifica/distruzione della Dualità (il Labirinto) grazie alle classi psichiche e al sistema degli attrattori. Uno stimolo formidabile che, nei fatti, supporta una morbosità altrettanto intensa e che, in questo caso, è propriamente intesa come rapporto malato della Coscienza Individuale con l’intera Dualità la quale diventa il teatro ideale d’ogni sua proiezione.
Cool, uh? Or better still, supercool! Ecco, ora forse sarà possibile affrontare il Minotauro.
(Continua …)
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