Come è noto, la Chiesa Cattolica sta vivendo un periodo di crisi senza precedenti, nonostante le continue e tumultuose peripezie già attraversate nel corso della storia. Fin dal giorno delle dimissioni di Benedetto XVI, la figura di papa Francesco, ha fatto molto discutere, creando un alone leggendario intorno a sé: da alcuni acclamato come il vero riformatore della Chiesa ed apprezzato per le sue abitudini, almeno in apparenza, morigerate e non in linea con lo sfarzo e le molte usanze dell’opulenta organizzazione ecclesiastica del passato, da altri guardato con sospetto, sia per le insolite modalità di ascesa al pontifcato, sia per le idee teologiche, manifestate in alcune occasioni, con una certa leggerezza, al punto da essere perfino tacciato di eresia. Ma proviamo a capire la formazione ed il personaggio del 266° papa della Chiesa Cattolica.
Jorge Mario Bergoglio nacque a Buoenos Aires il 17 dicembre del 1936 da una famiglia di origine italiana, e più precisamente piemontese. All’età di 21 anni, gli fu asportata la parte superiore del polmone destro, a causa di una grave forma di polmonite. In quell’epoca, infatti, si cercava di curare tali infezioni in maniera chirurgica, a causa della mancanza di antibiotici specifici. Dopo aver conseguito un diploma come perito chimico, si rese indipendente dalla famiglia di origine, facendo pulizie in una fabbrica e poi come “buttafuori” in un locale malfrequentato. Come da lui stesso affermato, nella giovinezza non disdegnò neanche relazioni con il gentil sesso. Non sono chiari i motivi che lo spinsero ad entrare in seminario nel 1958, con scelta di cominciare il noviziato nella Compagnia di Gesù. Visse per un periodo in Cile e poi tornò Buenos Aires, laureandosi in filosofia nel 1963 e successivamente insegnando letteratura e psicologia nei collegi di Santa Fe e di Buenos Aires. Bergoglio fu ordinato sacerdote nel 1969 da parte dell’arcivescovo di Cordoba, Ramòn Josè Castellano. Il giovane presbitero si distinse nell’ordine religioso della Compagnia di Gesù, fino ad essere nominato “Padre superiore provinciale dell’Argentina” e di seguito rettore della facoltà di teologia e di filosofia a San Miguel. Nel 1979, periodo molto difficile per la politica argentina, partecipò al vertice della CELAM (Consiglio episcopale latinoamericano), distinguenosi tra coloro che si opponevano alla teologia della liberazione, e che invece ribadivano la necessità che fossero preservate le tradizioni culturali e religiose dei popoli latino-americani. A metà anni ottanta, si recò in Germania, a Francoforte sul Meno, ma non riuscì a conseguire il dottorato presso l’Istituto filosofico e teologico di San Giorgio. Quando rientrò in patria, diventò direttore spirituale e confessore della chiesa della Compagnia di Gesù di Cordoba. Nel 1992 ha inizio il ministero episcopale del futuro papa: dapprima, in quello stesso anno, fu nominato vescovo ausiliare di Buenos Aires, titolare di Auca; il 3 giugno 1997 fu designato come arcivescovo coadiutore di Buenos Aires e nel 1998, arcivescovo di Buenos Aires, alla morte del cardinale Antonio Quarracino. Nel 2001 viene nominato cardinale da Giovanni Paolo II, e dal 2005 al 2011 svolge il prestigioso incarico di presidente della Conferenza episcopale argentina. Si racconta che, anche quando svolgeva il suo ministero episcopale, scelse uno stile di vita sobrio e morigerato, spostandosi molto spesso con i mezzi pubblici e rinunciando ad abitare presso la sede dell’Episcopato, a favore di un piccolo appartamento dove non si avvaleva neanche dell’aiuto continuativo di domestici.
E’ abbastanza singolare e, forse anche in contrasto con i suoi ideali di povertà e di vicinanza agli emarginati, la netta opposizione di Bergoglio alla corrente del pensiero chiamato “teologia della liberazione”. Questa corrente ideologica nacque proprio nell’America latina, come naturale estensione dei principi riformatori del Concilio Vaticano II, incentrandosi sul ruolo centrale della Chiesa contemporanea per diffondere i principi sociali di emancipazione, presenti nel messaggio cristiano, soprattutto dedicandosi ai più poveri ed emarginati, secondo il chiaro dettato evangelico. I principi ispiratori erano proprio quelli della regola francescana della Chiesa povera per i poveri del santo di Assisi, di cui poi Bergoglio avrebbe assunto il nome, una volta ottenuto il pontificato. I criteri della teologia della liberazione trovarono terreno fertile nell’America latina, proprio per la necessità di dare una risposta incisiva ai regimi oppressivi ed alle dittature militari.
In Argentina non tutti si sono mostrati felici, quando Bergoglio è diventato papa. Rimangono ancora molto nebulosi e misteriosi i suoi rapporti con la dittatura argentina, soprattutto con gli ambienti militari durante la presidenza di Videla. Papa Francesco fu accusato di non aver difeso i diritti umani di due sacerdoti gesuiti, Orlando Virgilio Yorio e Francisco Jalics, quando furono sequestrati il 23 maggio 1978 da un commando militare argentino. I due prelati furono liberati solo il 26 ottobre 1976, grazie all’intervento diretto del Vaticano. Soprattutto il giornalista Verbitsky ha parlato di Bergoglio, come un maestro del doppio gioco, facendo riferimento ad un dossier di “documenti scottanti” che, comunque, non è stato mai trovato, come non è stato mai provato il coinvolgimento diretto di Bergoglio nei crimini della dittatura argentina. E’ comunque abbastanza strano che da quando sia diventato pontefice non si sia mai recato in Argentina, la sua terra, mentre ha visitato altri Paesi dell’America Latina, come il Cile e il Perù. I motivi, che sono stati addotti, in merito a questa scelta singolare sono molteplici e contraddittori. Le accuse di “destrismo” e di “peronismo” mosse in passato, nei confronti di Bergoglio, si sono rivelate abbastanza deboli e ancora alquanto nebulose. Lo stesso papa, in alcune interviste, ha precisato che i difficili rapporti con la Compagnia di Gesù avrebbero portato ad attribuirgli certe “etichette”, con particolare riferimento alle sue presunte simpatie “a destra”. I vescovi argentini, prima del viaggio del papa in America Latina, all’inizio del 2018, avevano invitato l’opinione pubblica a “non strumentalizzare la figura del papa, in relazione alla loro nazione”. Ma a cosa si riferivano gli alti prelati? Secondo alcuni, tra cui Sandro Magister, le parole dei vescovi argentini avrebbero attinenza con alcuni amici di Bergoglio, tuttora attivi in vari campi, come Juan Gabrois, considerato molto vicino al pontefice, che ricopre attualmente l’incarico di “consultore del pontificio consiglio della giustizia e della pace”, ma che è anche operativo politicamente, come co-fondatore del Movimento dei Lavoratori Esclusi e della Confederazione dei Lavoratori dell’economia popolare. Gabrois avrebbe accusato il presidente Macrì di avere “il vizio della violenza” e pertanto la vicinanza con papa Francesco sarebbe stata strumentalizzata politicamente. Un’altra amicizia molto controversa è quella con la procuratrice Gils Carbò, indagata per corruzione, e vicina alle idee politiche di Cristina Kirchner. E, in più, si indica, come amico del pontefice, il dirigente peronista, Julio Barbaro, personaggio considerato molto discutibile dal popolo argentino.
Ma cerchiamo di capire le ragioni per le quali Bergoglio si porta addosso l’etichetta di “peronista”, se ciò sia dovuto a motivazioni di carattere politico o, come sembra più plausibile, ad ambizioni di ordine sociale. Come è noto, il “peronismo” segnò il trionfo dell’Argentina cattolica su quella liberale, salvando i valori del popolo rispetto al cosmopolitismo elitario di alcuni ambienti. Pertanto, nella visione bergogliana, il “peronismo” poteva rappresentare una difesa dei principi cristiani contro quelli di matrice liberale, nei cui confronti ha sempre nutrito un’avversione viscerale, quasi si trattasse di una “crociata cattolica” contro il liberalismo protestante, che offre un impianto di valori etici del tutto diversi. Di conseguenza le idee di Francesco possono essere definite anche “populiste”, nel senso che il papa ha sempre riconosciuto al popolo una certa superiorità morale, individuando in esso il vero e naturale “depositario della fede”, non come una somma di individui, ma come una comunità che li trascende, un vero e proprio organismo vitale. E’ ovvio che questa visione quasi romantica del “popolo” sia molto discutibile, come la stessa pretesa di superiorità morale. Al popolo possono essere attribuiti vizi e virtù, come a qualsiasi altro strato sociale, e lo stesso Bergoglio si contraddice quando vuole intravedere un nesso di causa ed effetto tra povertà e terrorismo fondamentalista, nesso peraltro assai forzato ed improbabile. Idealizzare il popolo appare piuttosto come uno strumento per rendere più semplice la complessità esistenziale del mondo: il confine tra il bene ed il male diventa più netto, come in ogni rappresentazione “manichea” che si rispetti. Come due forze contrapposte, si fronteggiano da un lato il popolo virtuoso e dall’altro l’oligarchia sfruttatrice ed adoratrice del denaro, frutto della razionalità illuminista e della volontà liberale di conoscere le leggi del creato. A ciò si aggiunge che, nella visione di Bergoglio, la democrazia è soltanto di carattere sociale: ben venga, per lui, un’autocrazia popolare che distribuisca equamente le risorse economiche, secondo i principi evangelici, anche a costo di mettere sotto controllo i media e le istituzioni politiche dello stato. Tra l’altro, i temi della dimensione politica e itituzionale della democrazia, nonché il precario equilbrio di poteri presenti nello stato di diritto e la tutela delle libertà individuali, non sono temi molto cari all’omiletica bergogliana. Sintomatico è il discorso rivolto ai giovani, durante il soggiorno a Cuba: più che invogliarli alla libertà, dopo decenni di oppressione, il papa si è preoccupato di metterli in guardia dal “consumismo”. In uno scenario surreale, quasi da commedia, si invitava ad evitare il “consumismo”, proprio a coloro che forse non ne conoscevano ancora neanche il significato. Francesco è ben consapevole del comunismo populista di Castro, che appare quasi una deviazione secolare dal messaggio evangelico, preoccupandosi più di salvare i cubani dal “contagio liberale”, conservando una “religiosità” serbata sotto diverso nome, piuttosto che stimolarli all’esercizio delle libertà individuali. Non è affatto segreto il “mantra” di Francesco: “il Tutto è superiore alla parte”. Non è casuale il fatto che proprio questa manifesta condanna dell’individualismo, sia stata adoperata, in diversi modi, per consentire l’ascesa di molteplici movimenti totalitari esercitati in nome del popolo, orientati a sacrificare i diritti individuali per una presunta giustizia sociale mai realmente perseguita.
Passando alla visione dottrinale di Bergoglio, le problematiche non diminuiscono, anzi, si può dire, che si moltiplicano e diventano anche più complicate. Si può partire dalla lettera spedita a papa Francesco l’11 agosto 2017, firmata inizialmente da 40 tra sacerdoti e studiosi laici cattolici, ma con successive numerose adesioni, resa pubblica il 24 settembe 2017, dopo la mancata risposta del papa. I firmatari della lettera accusano Francesco di ben “sette eresie”, contenute nell’”Amoris laetitia”, l’esortazione apostolica sull’amore nella famiglia. In realtà non si tratta di una vera e propria “accusa di eresia”, come improvvidamente affermato su alcuni tabloid, ma di una sorta di “supplica” a rivedere le proprie posizioni per scongiurare successive interpretazioni eretiche. Vale la pena riproporre le sette proposizioni contestate a Francesco, in maniera riassuntiva:
-a) “una persona giustificata non ha la forza, con la grazia, di adempiere i comandi oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti fossero impossibili da osservare per colui che è giustificato….omissis” (tema della giustifcazione per fede);
-b) possibilità di ricevere la grazia santificante e crescere nella carità per i divorziati;
-c) violazione grave di una legge divina e possibilià, comunque, per il trasgressore, di non essere in peccato mortale;
-d) “una persona, mentre obbedisce alla legge divina, può peccare contro Dio in virtù di quella stessa obbiedenza” (violazione del principio di non contraddizione, un’azione non può essere buona e cattiva nello stesso tempo);
-e) possibilità per i divorziati di avere rapporti sessuali con il nuovo coniuge senza incorrere in peccato mortale;
-f) non assolutizzazione delle proibizioni negative contenute nei principi e nelle verità morali derivanti dalla Divina rivelazione;
-g) possibilità di dare l’Eucaristia e l’assoluzione ai divorziati risposati, che manfestino contrizione e un fermo proposito di emendarsi.
Al di là delle questioni squisitamente dottrinali, in merito ad alcune posizioni ampiamente condivisibili, considerata la secolare posizione “bigotta” della Chiesa Cattolica nei confronti della morale sessuale, in base ai principi di “diritto naturale”, peraltro mai scientificamente provati, i precedenti cenni ci fanno comprendere come alcune posizioni di Fancesco risultino indigeste ad una parte dell’organizzazione da lui stesso retta. E ricordiamo che il capo della Chiesa di Roma, al quale si riconosce l’infallibilità, quando si pronunci sulle verità della fede o su principi ad esse intimamente connessi, è l’unica carica istituzionale al mondo, a cui si attribuisce, attualmente, un potere di carattere assoluto, in ambito esecutivo, legislativo e giudiziario.
Ma Bergoglio è inviso anche all’ala più progressista della Chiesa Cattolica, perchè le sue affermazioni sono sempre ondivaghe e tendenti a dare “un colpo al cerchio e un colpo alla botte”, non introducendo nulla di veramente innovativo nella dimensione morale e spirituale del Cristianesimo. Se da un lato apre ai gay, dicendo “Chi sono io per giudicare?”, dall’altro afferma che per i gay, che si scoprano tali in tenera età, sarebbe opportuno “un trattamento psichiatrico”. Se oggi apre alla possibilità di somministrare l’eucaristia ai divorziati, domani si mostra intransigente davanti all’uso del preservativo in Africa, nonostante il dilagante fenomeno dell’AIDS. Una teologia frammentaria e poco coerente, condita da magistrali colpi di scena, quasi si trattasse di “specchietti per le allodole” per distogliere l’attenzione dai veri problemi, come ad esempio la riforma dello IOR, rimasta un’utopia dello sventurato Giovanni Paolo I, lasciata intatta da Giovanni Paolo II, che ne traeva beneficio per la lotta anticomunista nell’Europa dell’est, timidamente accennata dal profondo e poco compreso Benedetto XVI.
E la Chiesa cattolica sta vivendo una delle sue ere più buie, con tutti gli scandali sulla pedofilia, che giorno dopo giorno risultano più numerosi e sconvolgenti. A nulla valgono le risibili affermazioni, secondo cui vi sarebbe un piano satanico per cancellare la Chiesa di Cristo dalla faccia della terra. La differenza non trascurabile rispetto al passato consiste nel fatto che prima tutto avveniva in maniera sommersa oppure volutamente occultata, anche per le limitate possibilità di comunicazione e di divulgazione delle notizie. E poi, nella ristretta mentalità del passato, accusare un “prete” poteva sembrare quasi un atto sacrilego. Ha suscitato stupore ed indignazione il recente attacco di mons. Viganò sul caso McCarrick nei confronti di papa Francesco. Nel dossier di mons. Viganò si legge che papa Francesco ed altre massime autorità vaticane erano a conoscenza degli abusi del cardinale Theodore McCarrick, invitando il pontefice a dare le dimissioni ed affrontando il tema della lobby omosessuale all’interno della Chiesa. L’ex nunzio apostolico afferma che Bergoglio abbia deliberatamente ignorato gli abusi sessuali. Secondo la testimonianza di Viganò, già nel 2006, lui stesso avrebbe comunicato a Tarciso Bertone i sospetti su Theodore McCarrick, senza ricevere risposta. Mc Carrick era stato confinato nella solitudine dalle decisioni di Benedetto XVI, ma poi fu riabilitato e successivamente si vantò di aver contribuito all’elezione di Bergoglio. Alcune parole contenute nel dossier di Viganò fanno riflettere : “Occorre abbattere l’omertà con cui i vescovi e i sacerdoti hanno protetto loro stessi, a danno dei loro fedeli, omertà che agli occhi del mondo rischia di far apparire la Chiesa come una setta, omertà non tanto dissimile da quella che vige nella Mafia”. E, poi acutamente, Viganò fa riferimento ad un passo del vangelo di Luca (12,3): “Tutto quello che avete detto nelle tenebre…sarà proclamato sui tetti”. Quanto poi è descritto nel dossier, a proposito di abusi, incontri orgiastici e complotti vari, supera perfino il mio romanzo fantareale sull’argomento, Le tenebre dell’anima, ed. Cavinato international 2017. Alle accuse mosse dall’ex nunzio apostolico, nonostante sia stato sollecitato da molti giornalisti a replicare, Francesco non ha ancora risposto, lasciando però uno spiraglio per un intervento chiarificatore futuro, magari quando il polverone sarà passato. A questo ennesimo scandalo, si aggiunge il rapporto dell’autorità giudiziaria americana, su come la pedofilia sia stata un piaga endemica anche in Pennysilvania, con mille bambini coinvolti e circa 100 preti accusati in sei diverse diocesi, nell’arco di ben 70 anni. Il procuratore generale della Pennnysilvania, Josh Shapiro, avrebbe ricostruito una vicenda in cui sarebbero coinvolte 300 persone, tra preti e soggetti che, a qualsiasi titolo, avrebbero omesso le denunce. In più si segnala il grande scandalo che sta scuotendo la Chiesa tedesca, con un’ altissima percentuale di preti accusati di abusi sessuali su minori. Ancora vicende simili a quella che ha ispirato il film “Il caso Spotlight”, peraltro originato da una vera inchiesta condotta dal giornale “The Boston Globe”. Questa non è la sede, ovviamente, per verifcare le affermazioni di Viganò o per esaminare la veridicità di altre indagini, né potrebbe essere altrimenti, ma, in ogni caso, emerge un quadro di una Chiesa di Cristo a tinte fosche, da “Ultimi Tempi”, in cui non vi è più niente di santo e di evangelico, almeno in apparenza.
La stessa elezione di Bergoglio, come abbiamo spiegato in precedenza, è avvenuta in condizioni a dir poco singolari, alla presenza di un papa emerito tuttora in vita. E’ necessario aggiungere che nell’elezione del papa argentino, sono state indicate 4 gravissime irregolarità: 1) innanzitutto la coesistenza di un papa emerito, che ha abdicato per motivi non del tutto nitidi; 2) al momento di prendere i voti, i gesuiti accettano la regola, secondo la quale, agli appartenenti a quell’ordine, non è consentito né di diventare cardinale, tantomeno papa. Per la nomina a cardinale di Martini fu necessaria una dispensa papale, che non può essere concessa per diventare papa; 3) secondo il diritto canonico, devono passare almeno 15 giorni tra il momento in cui la sede è vacante e l’elezione del nuovo papa, cosa che non è avvenuta perchè Benedetto XVI ha abdicato il 28 febbraio 2013 e Francesco è stato eletto il successivo 13 marzo; 4) infne, sembra che nel computo dei voti, sia risultata un’unità in più, rispetto al numero dei votanti.
Il primo segno, che ha scosso l’immaginario collettivo, è stato il fulmine che ha colpito il crocifisso posto sulla cupola di San Pietro, durante un temporale alle 17.56 dell’11 febbraio 2013, un giorno prima che Benedetto XVI annunciasse le proprie dimissioni. In un primo momento considerata un falso, la fotografia dell’evento fu ripresa da un fotoreporter dell’ANSA, rivelandosi, invece, un documento attendibile e spopolando in rete. Il secondo segno, indcato dagli esoteristi, è avvenuto il 26 gennaio 2014, quando le due colombe lasciate libere da Francesco, dopo l’Angelus, vengono attaccate da un grosso gabbiano (bianco) e da un corvo (nero), la prima riesce a salvarsi, la seconda no. Per alcuni, Bergoglio sarebbe l’ultimo papa, il numero 112, indicato dalla profezia di Malachia. Una tradizione popolare afferma che dopo il motto “de gloria olivae”, attribuito a Benedetto XVI, ce ne sarebbe un altro, “caput nigrum” (testa negra o capo nero), poi cancellato. L’interpretazione potrebbe essere duplice: o riferirsi al colore della pelle, quindi un papa, ad esempio, di orgine africana, oppure un “capo nero”. Ora sappiamo con certezza che Francesco è l’unico gesuita a salire al soglio di Pietro nella storia della Chiesa Cattolica, ed è anche il primo che comprenda in sé la carica di “papa nero”, come viene chiamato il generale dei Gesuiti, il solo che risponde direttamente soltanto al romano pontefice. Per questo motivo, probabilmente, mai un gesuita era diventato papa, perchè avrebbe assunto un potere eccezionale. Attualmente il generale dei Gesuiti, chiamato appunto il “papa nero”, è il venezuelano Arturo Sosa.
Ne parla anche una quartina delle “Profeties” di Nostradamus, che si riferisce ad un papa “gris et noir de la Compagnir yssu’, che “onc ne fut si maling”, un papa “grigio e nero uscito dalla Compagnia” che “non ce ne fu uno così malvagio”, il quale avrebbe portato la Chiesa alla distruzione. Il concetto di “fine” può avere, comunque, tantissimi significati: la Chiesa potrebbe crollare, non solo e non tanto in senso materiale, quanto fallendo nella sua missione originaria. E ci sono quelli che si spingono oltre, fino ad arrivare alle teorie complottiste del solito ordine mondiale, sottolineando la vicinanza della Compagnia di Gesù agli ordini massonici, con cui avrebbe creato una stretta sinergia, capace di diventare protagonista di molti eventi degli ultimi 500 anni di storia, da quando l’Ordine fu fondato nel 1534 a Parigi, la città cara ad Iside, da Sant’Ignazio di Loyola. I fanatici dell’occultismo collegano il colore “nero” non tanto all’abito dei gesuiti, quanto alla loro macchina di potere e al mistero che avvvolge le trame dell’ordine, da quando addirittura, secondo la leggenda, il suo fondatore Ignazio, avrebbe ricevuto rivelazioni da Satana in persona. Alcuni eccessi di immaginazione hanno perfino portato ad affermare che i gesuiti fossero coinvolti nell’attentato alle Torri Gemelle del 2001 e che i terroristi islamici non fossero altro che sacerdoti travestiti. Si tratta, con ogni ragionevole probabilità, di eccessi fantasiosi, ma che possono possedere in radice un nucleo di verità, in relazione al passato controverso dell’ordine, guardato con sospetto da molti pontefici, anche dallo stesso Giovanni Paolo I, il papa “de medietate lunae”, che non ebbe il tempo di riordinare la corrotta curia vaticana.
Soltanto il futuro ci potrà dire se papa Francesco riuscirà a condurre la Chiesa verso un periodo di rinnovamento spirituale e di riaffermazione dei genuini principi evangelici e se è davvero il profeta che sta portando il cristianesimo all’apertura, rendendo alcune posizioni tradizionali più opinabili, più discutibili e perchè no, anche più “relativiste”. Soltanto il futuro potrà rivelare se invece Bergoglio stia fondando una religione sincretica, assolutamente nuova, che comprenda elementi eterogenei provenienti dalle più disparate dottrine, con l’intento di realizzare un nuovo ordine mondiale, come indicano i complottisti più arditi, o, con il progetto meno ambizioso, ma non meno difficile, di preservare i privilegi ecclesiastici, travolti ormai da dilaganti bufere.
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