Apocalisse
L’espressione “genere apocalittico” non si rinviene nel mondo antico, trattandosi invece di terminologia coniata in epoca moderna da parte di autori, per lo più del XIX secolo, e riferita ad opere letterarie del giudaismo e del cristianesimo. Ciò ha presupposto l’esistenza di una corrente letteraria, definita sinteticamente come “Apocalittica”. Il nome deriva dal titolo dell’ultimo libro biblico, l’Apocalisse di Giovanni, che indica sia il contenuto, secondo l’uso greco, sia la prima parola, secondo l’uso ebraico. Il termine “Apocalisse” di evidente derivazione greca significa “disvelamento” e quindi “rivelazione”. Nel linguaggio comune tale termine è stato usato in maniera distorta, come sinonimo di catastrofe: spesso movimenti di sette o di culti hanno adoperato il linguaggio simbolico e le immagini di Apocalisse, dando origine alle ideologie millenariste con una miriade di profezie del tutto sganciate dall’originario significato del testo in esame.
Le indagini accurate degli studiosi hanno chiarito come l’autore di Apocalisse non sia identificabile con nessuno dei molti Giovanni delle origini (solo per convenzione, anche in ambito cattolico, si continua ad attribuirne la paternità a San Giovanni apostolo). Il modo migliore, per far riferimento all’autore, è quello di denominarlo “Giovanni di Patmos”, dal momento che lui stesso afferma di aver avuto le visioni narrate nel libro durante un soggiorno coatto nell’isola di Patmos.
La geografia politica del testo implica chiaramente la Roma imperiale che impone la propria egemonia alle molte province del Mediterraneo (mare nostrum). Scrivendo contro “Babilonia”, Giovanni scrive contro Roma, e non contro Gerusalemme come indicherebbe soltanto una parte esigua di commentatori. Giovanni si scaglia contro le pratiche religiose del suo mondo, quella degli idoli e dei demoni (tipica del pantheon greco-romano e orientale) e quella in cui viene adorata la Bestia-che-viene-dal-mare (culto dell’imperatore). La polemica di Giovanni si estende anche sul fronte interno delle Chiese d’Asia, soprattutto nei confronti dei Nicolaiti, che erano alla ricerca di nuove forme sincretiche per conciliare cristianesimo e riti pagani. Partendo da questo orizzonte socio-religioso, si può ragionevolmente ipotizzare che il motivo occasionale, che spinse Giovanni a comporre l’eccentrico testo dell’Apocalisse, fu la decisione dell’amministrazione di Efeso di erigere un tempio per il culto dei tre imperatori Flavi, nelle adiacenza dell’agorà politica. Probabilmente erano state proprio le vibranti proteste contro tale decisione che avevano determinato il confino coatto di Giovanni nell’isola greca di Patmos.
Per quanto riguarda il linguaggio, l’Apocalisse è un libro originale ed irripetibile, che si rifà ad alcuni schemi del Vecchio Testamento, in primo luogo alla letteratura apocalittica accennata in Baruc, Isaia e Geremia, ma sviluppata da Daniele ed Ezechiele. Si può dire che il linguaggio usato da Giovanni sia composto da “una grammatica con violazione sistematica di regole”, tipica dell’autore. La sistematica ripetizione delle medesime “sgrammaticature” ci dimostra che si tratta di un linguaggio a cui non bisogna attribuire una maldestra combinazione di fonti oppure un’inadeguata padronanza della lingua greca, ma la volontà di utilizzare un linguaggio apofatico e profetico, tendente a dire “l’indicibile”.
I numeri di Apocalisse parlano delle forze che nella storia si contrappongono: quelle messianiche e quelle antimessianiche. Il simbolo numerico più famoso e controverso è rappresentato dal 666 della Bestia: 666 non da intendersi come ripetizione del 6 come unità, ma come susseguirsi di migliaia, centinaia e decina, ad indicare “la quintessenza dell’abominio”. Le ipotesi più convincenti si riferiscono alla scelta del 6, come 12 dimezzato (il 12 indicava la compiutezza in ambito ebraico), o come 7 mancato (il 7 simbolo di perfezione, da mettersi in relazione con i tre famigerati settenari di Apocalisse, cioè i sigilli, le trombe e le coppe), o più verosimilmente legata alla gematria dei nomi di Nerone o Domiziano. Per la sua complessa specificità, tratterò della simbologia numerologica di Apocalisse in un prossimo articolo.
Gli enigmi che Giovanni presenta ai lettori indicano la sua personalità complicata ed incline al gioco intellettuale, intendendo la verità come un’avventura tutt’altro che scontata. Considerando la particolare strategia retorica di Giovanni di Patmos, è d’obbligo guardare con una certa indulgenza al linguaggio della vendetta o ristabilimento della giustizia, secondo la regola della reciprocità tra peccato e castigo, forse non troppo in sintonia con il resto del Nuovo Testamento. In tale ottica deve essere interpretata anche la periodizzazione tipica di Apocalisse, secondo cui si succederebbero epoche del predominio del male ed epoche del predominio del bene, il tempo da attribuire alla “Bestia” da una parte e il regno di Cristo dall’altra: la storia è dipinta in bianco e in nero, non vi è spazio per sfumature intermedie. Le immagini esagerate ed eccentriche servono a Giovanni per destare stupore, nonchè per ispirare sentimenti di timore o di avversione, oppure al contrario per incoraggiare. Le esortazioni predominanti sono due: scegliere lo schieramento giusto e vigilare.
Se poi l’Apocalisse, dietro l’ambientazione storica e religiosa del I secolo d.C., al di là della contestualizzazione tipicamente dualistica della contrapposizione tra bene e male, nasconda un’allegoria semantica più profonda…questo è ancora da verificare e magari sarà oggetto di una futura riflessione…
Luigi Angelino
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QUALCHE PICCOLO CONSIGLIO DI LETTURA
Stela Paunica
Interessante….e la storia diventa più forte.
Valentina C.
Interessante! Attendiamo il seguito allora! Una lettura di taglio prettamente storico-intellettuale-erudito infatti non soddisfa il lettore quando si tratta di testi sapienziali come l’Apocalisse! A presto