Da contadino a Jarl, fino a divenire Re e conquistatore
Il potere non desiderato lo ha plasmato ed ha generato la sua figura. Eppure Ragnar è molto più del semplice guerriero divenuto leggenda.
Il protagonista di Vikings è uno dei personaggi più umani mai descritti in una Serie Tv. Partito con il semplice volere di scoperta (e un pò di sfida nei confronti dello jarl Haraldson), è tornato nella sua Kattegat con la fiamma ardente dell’ambizione nei suoi occhi.
In una landa ove solo le anime più valorose hanno accesso al Valhalla, Ragnar usa l’arte della guerra e del sangue, per rendere tale la sua vita. O almeno così sembra all’inizio di questo burrascoso viaggio nel mondo vichingo.
Il condottiero dà l’impressione iniziale solo di voler stuzzicare le menti che lo circondano e di provare quanto lui, pur essendo un contadino, ha molto più da offrire rispetto al vecchio Haraldson. Quel che parte come una sfida quasi infantile, si tramuta nel viaggio della sua vita. Alla prima stagione era quasi impossibile sapere come si sarebbe evoluto il personaggio di Ragnar: il suo cammino è stato uno dei più bei risvolti inaspettati della Serie Tv, soprattutto perché ha sviluppato temi, e conseguenti consapevolezze, che lo rendono un punto di riferimento ineludibile per i personaggi e gli spettatori.
Ragnar diventa un centro pulsante di vita, e consapevolezza, di volontà e regalità in un mondo lacerato e difficile, in cui è facile perdersi tra indecisioni, rigidità e meschinità.
Il suo cammino si apre con un sogno in cui Odino sembra dirgli che la meridiana è la chiave per aprire le porte al Valhalla. Intraprende così un viaggio tra mare e terra, che lo porta a sbarcare in un luogo che lo connetterà al mondo esterno: il fatto che la prima fonte di vita che il drappello di vichinghi incontra in Inghilterra, è racchiusa in un monastero, sa di incontro con il destino.
Ora che la storia di Ragnar è terminata in questa fantastica quarta stagione, guardando indietro viene quasi da sogghignare. Il personaggio di Athelstan è il primo contatto con una mente diversa dalla sua. Una beffa del destino, che nel far si che gli dei lo accolgano nell’eterno riposo come coraggioso esploratore, il destino gli pone dinnanzi un “e se ci fosse un altro eterno riposo?”. Se inizialmente questo tema religioso viene sviluppato in modo lento ma continuo, nelle ultime gesta di Ragnar ci si accorge quanto il piccolo tarlo mistico lo abbia divorato nel suo animo, portandolo a dire le sue ultime vere parole nella 4×15:
” I do not believe in the god’s existence. Man is master of his own faith, not gods. The gods are man’s creation, to give answers that they are too afraid to give themselves. “
L’apertura mentale all’accoglienza di diverse infinità lo porterà ad annullare la possibile credenza ad ognuna di esse, pur rispettandole. Se non fosse stato per la sua religione norrena, non avrebbe mai scoperto ciò che adesso sa e soprattutto non avrebbe avuto modo di mettere in discussione il mondo intero, e ciò che credeva di sapere. E senza la religione cristiana, non avrebbe conosciuto il suo più grande amico, Athelstan, un uomo che lo ha accresciuto culturalmente, ma che gli ha dato anche modo di riscoprire le sue radici norrene.
Per quanto i circoli viziosi del potere siano stati intriganti e sanguinosamente intrattenenti, la parte più affascinante della Serie Tv rimane questo percorso mistico che ci ha permesso di conoscere e comprendere a 360° (o quasi) un personaggio con una mente spaventosamente brillante e sagace.
Anche nei momenti più bui ci ha dato prova della sua intelligenza, ambizione e sacrificio.
Basti pensare all’addio (sentimentale) a Lagertha nella 2×01. Una splendida storia d’amore degna per i rispettivi personaggi, che si vede affievolire, ma mai spegnere, con l’arrivo di Aslaug: la misteriosa e affascinante figlia del mitologico Sigurd, colui che uccise il drago Fafnir. Una donna particolare per un uomo in ascesa, che incontra in un momento di svolta della sua vita. Con Lagertha ormai non più in grado di generare figli, Ragnar vedere in Aslaug un invito quasi divino che gli conferma le parole predettogli dall’Indovino sulla sua stirpe.
Di fatti, la giovane darà alla luce ben 4 maschi, che insieme a Bjorn, saranno la discendenza Ragnarssons. Eppure, questa fanciulla non riuscirà mai a prendere il posto di Lagertha nel cuore di Ragnar. Il loro rapporto è saldato solo sulla progenie, non su un sentimento ben definito. E lo si capisce sin dall’inizio, quando dopo aver detto addio a Lagertah, torna a Kattegat e l’unico gesto che rivolge alla sua nuova moglie è un tocco paterno sulla pancia, un prendere atto delle conseguenze delle azioni senza però coinvolgere la persona che porta in grembo suo figlio.
Per quanto la rispetti come madre dei suoi figli, mai potrà amarla come il suo primo (e forse unico) amore. Quella sintonia, quasi telepatica, con Lagertha che non ci sta a rimanere a casa mentre lui parte. Quel feeling che non ci ha abbandonata mai per tutte e 4 le stagioni, dove lui andava la figura di Lagertha lo seguiva, ma non ingenuamente e accecata dall’amore ormai finito, ma perchè lei condivideva sin dall’inizio lo spirito esplorativo di Ragnar.
Come prima dicevo, il loro amore si è affievolito ma mai spento. Ma è pur vero che Lagertha i piedi in testa non se li lascia certo mettere (giustamente), così con l’arrivo di Aslaug e tutti i marchingegni per farla rimanere al suo fianco che Ragnar si inventa, lei non ci sta. Umiliata ed insultata, decide di andarsene senza salutare il suo compagno, così come lui ha deciso di giacere con un’altra donna nascondendoglielo.
Alle parole “E’ il destino” che la bionda donna gli rivolge, Ragnar scatta come a saper già che nulla la fermerà dall’andarsene e che lui ha fatto una scelta sofferta, forse sbagliata. Scegliendo la grandiosità, l’ambizione, la fama di grande conquistatore, ha rinunciato all’amore della sua vita. Eppure, dall’altro lato, come uomo d’onore ha posto il futuro nascituro dinnanzi i sentimenti verso una donna, come un vero padre che sceglie il bene del figlio prima di sé stesso.
Quando la sua ora giunge, Ragnar appare solo a lei e a nessun altro, marcando quanto teneva veramente a lei fino al punto di rivolgerle l’ultimo saluto (ricordiamo inoltre la scena-allucinazione della loro vecchia casetta, in segno di nostalgia dei vecchi tempi). Un punto cardine della sua esistenza è saltato, così come molti altri: Athelstan, ucciso da Floki, colui che rendeva tangibili i sogni di Ragnar; lo stesso Floki, figura particolare che ha sempre appoggiato il suo fedele amico, ma non ha retto dinnanzi la sua amicizia con un cristiano; il fratello Rollo, sempre invidioso delle sue gesta che lo tradisce appena ne ha l’opportunità. Tutto ciò lo condurrà ad essere quell’essere ormai svuotato da sentimenti e dalla forza di continuare a governare.
Un ateo che dinnanzi la folla professa il suo credo vichingo per spaventare coloro che lo uccideranno nella fossa dei serpenti, figure peculiari nella credenza norrena, basti pensare al serpente che si annida tra le radici di Yggdrasil, “colui che odia profondamente”. Ma allo stesso tempo, sul piano cristiano, sono il simbolo di corruzione, di male, il serpente è il tramite che spinse Adamo ed Eva al peccato originale. Elementi che lasciano pensare a congetture, un Ragnar ateo che spinge all’incertezza religiosa, guardasi Re Ecbert, profondamente scosso e cambiato dall’incontro con questo vichingo.
Il tutto è condito da atmosfere sempre cupe, a volte mistiche, con allucinazioni e sogni vividi, evocatrici e profonde, come la sigla iniziale che ci ha sempre accompagnato lungo questo percorso sanguinoso, primordiale ed allo stesso tempo esaltante, struggente, dove le emozioni sono passionali, viscerali, ma dove si nasconde un’acuta intelligenza, quella di Ragnar, che sa sempre stupire con la profondità della propria intuizione. Gloria, ambizione e potere si mescolano ad elementi nobili quali amore, fratellanza e famiglia, il tutto intrinseco di smania religiosa, sangue, profezie e dei che incitano alla guerra. Un percorso degno di un Re, con una morte pregna di umanità e semplicità. Nessuna folla a piangerlo, nessun vichingo a tesser le sue lodi.
Rimarranno le gesta di un uomo che ha seguito la propria curiosità nell’esplorare nuove terre, nuove religioni, nuove consapevolezza, aprendo forse gli occhi dinnanzi un’esistenza fatta essenzialmente di volatilità ed incertezza, caratteristica chiave della vita di qualsiasi uomo. I vichinghi erano razziatori, guerrieri pronti a reclamare sangue e ricchezze in nome dei loro Dei. Ma erano anche uomini con un’innata passione per il viaggio, per la scoperta, per la conoscenza di nuove terre e culture. Ciò che Ragnar rappresenta, è il risveglio della coscienza di un uomo, inizialmente occupato a comprendere quello che ha davanti a sé, per poi arrendersi all’inevitabile ignoranza di fronte ad un mondo spirituale creato dalla stessa mente umana.
Si arrende alla consapevolezza di non sapere, o forse, di saper disconoscere una sola verità.
Dalla cenere della sua figura, crescerà rigogliosa la sua stirpe. I suoi figli e i figli dei figli, tramanderanno la storia di un uomo diventato mito, ricordato per essere stato un uomo ed aver compiuto atti maestosamente e misteriosamente divini.
Una piccola scintilla ha portato il cuore di Ragnar ad avvampare nelle fiamme della conoscenza, tra visioni oniriche e realtà, sacrificando l’amore per la dinastia, la tradizione, ciò che più gli era caro.
La sua è una visione che mette al centro la capacità dell’uomo di districarsi tra falsi idoli, vecchi o nuovi che siano, di superare i propri limiti, per giungere infine a guidare in maniera consapevole se stesso, in qualunque frangente della vita esteriore.
Fonte: http://hallofseries.com/vikings/inno-a-ragnar-lothbrok/
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