L’indice glicemico (spesso abbreviato con IG o, all’inglese, GI, acronimo dei termini Glycemic Index), riferito a un carboidrato, esprime la velocità con cui aumenta la glicemia (la concentrazione di glucosio nel sangue) in seguito all’assunzione di 50 g del carboidrato sotto esame.
L’indice glicemico è espresso in termini percentuali, rapportandolo alla velocità di aumento con la stessa quantità di glucosio (indice pari a 100): un indice glicemico di 50 vuol dire che l’alimento innalza la glicemia con una velocità che è la metà di quella del glucosio.
Ricordiamo però che, ai fini salutistici, più dell’indice glicemico, è molto importante considerare il carico glicemico (si consulti con attenzione l’articolo e si capirà il perché di questo asserto).
L’indice glicemico, nella tabella più attendibile (International table of glycemic index and glycemic load values Foster-Powell K, Holt SH, Brand-Miller JC. Human Nutrition Unit, School of Molecular and Microbial Biosciences, University of Sydney, NSW, Australia.), pubblicata su Am J Clin Nutr. 2003 Apr; 77(4): 994.), che d’ora in avanti citeremo come “tabella australiana”, è stato riferito al glucosio.
In altre tabelle che si trovano nella letteratura scientifica, invece, l’alimento di riferimento non è il glucosio, spesso è il pane bianco, un cibo tipico che, effettivamente, è più vicino alla realtà quotidiana rispetto al classico glucosio, che viene usato solo in studi scientifici.
Per calcolare l’indice glicemico rispetto al pane bianco è sufficiente moltiplicare per 1,37 (viceversa si divide).
Indice glicemico: scala di valori
La scala di valori dell’indice glicemico viene spesso suddivisa nel seguente modo:
•indice glicemico molto basso: da 0 a 40
•indice glicemico basso: da 41 a 55
•indice glicemico moderato: da 56 a 69
•indice glicemico alto: da 70 in su.
Oppure, semplificando:
•indice glicemico basso: da 0 a 55
•indice glicemico intermedio: da 56 a 69
•indice glicemico elevato: da 70 in su.
L’indice glicemico: attenzione a non sopravvalutarlo
Negli ultimi anni, acquisita la consapevolezza che l’introduzione di un quantitativo eccessivo di carboidrati fa tanti danni quanti può farne un eccessivo consumo di lipidi, l’importanza dell’indice glicemico è andata sempre più crescendo fino a finire per essere sicuramente sopravvalutata.
Del resto, non è affatto un caso se sono nati modelli alimentari basati soltanto sull’indice glicemico; l’esempio più famoso è rappresentato dal metodo Montignac, un regime alimentare in cui ciò che conta veramente è l’indice glicemico degli alimenti.
Tali regimi alimentari sono sostanzialmente basati su quattro punti cardine:
•non è necessario calcolare le calorie degli alimenti
•le cause del sovrappeso sono da ricercarsi nella qualità dei cibi
•ciò che è fondamentale è l’indice glicemico
•è sufficiente scegliere alimenti a basso indice glicemico, la loro quantità non conta.
NOTA – Per calcolare sperimentalmente l’indice glicemico di un alimento che non è un carboidrato puro si fa assumere al soggetto non 50 g dell’alimento, ma una quantità tale che contenga 50 g di carboidrati. Se l’alimento contiene molta acqua tale quantità può essere significativa; per esempio per avere 50 g di carboidrati occorre assumere circa 800 g di albicocche. Riferendosi alla tabella sottostante si trova che 800 g di albicocche provocano la stessa reazione insulinica di 50 g di spaghetti crudi, cioè circa 125 g di spaghetti cotti.
L’unica tabella attendibile, come detto, è la tabella australiana. E ora vediamo perché l’indice glicemico non deve essere sopravvalutato.
Il grande abbaglio dell’indice glicemico
Nella tabella sono codificati circa 1.700 alimenti (in fondo alla pagina un brevissimo sunto). Per capire come sia insulso cercare di basare l’alimentazione solo sugli indici glicemici, basta consultarla!
Infatti si scopre che l’indice glicemico di un alimento dipende da:
•varietà (per esempio le diverse varietà di un frutto hanno indice glicemico diverso);
•tempo di raccolta (un frutto acerbo ha un indice glicemico diverso da un frutto molto maturo);
•zona geografica di produzione (per esempio una mela coltivata in Danimarca o in Italia);
•modalità di produzione (per esempio i vari prodotti “industriali”);
•il contenuto di grassi e di proteine (per esempio il gelato);
•il contenuto in fibre (per esempio i veri corn flakes, ricchi di fibre, vs. i corn flakes più calorici molto più simili ai biscotti);
•la conservazione e l’essiccazione;
•il metodo di cottura (per esempio bollire o cuocere al forno varia l’indice glicemico);
•la durata della cottura (per esempio pasta al dente o leggermente scotta);
•gli altri ingredienti della ricetta (la pasta al pesto avrà indice glicemico diverso dalla pasta al pomodoro).
Nella tabella riportata nel paragrafo Indice glicemico – Tabella pratica (una nostra sintesi della tabella australiana) indichiamo solo alcuni dati su cui lavorare per evitare molti luoghi comuni. Notiamo come giocando sulla varianza dell’alimento e molti altri fattori si possa arrivare a conclusioni spesso opposte.
Inoltre facciamo notare che gli unici dati fissi dipendono dal fatto che nella tabella australiana, seppur completissima, spesso figura un solo esempio (per esempio, per la ciliegia è riportato il tipo coltivato in Canada quando si che le cultivar sono moltissime; per il croissant solo un tipo di una marca canadese ecc.).
Esempi di variabilità dell’indice glicemico – Gli esempi di variabilità sono molteplici:
•Il caso più eclatante è quello del pane. In Messico usano speciali inibitori enzimatici e si ottiene un pane che varia attorno a 30 come indice glicemico; la baguette francese è invece attorno ai 100 con 110 come massimo. La media è attorno a 70, ma è una media che dice poco…
•Stessa cosa per le patate; se al forno il loro indice glicemico varia da 56 a 111 (media dei casi a 85±12); se bollite, varia da 56 a 101 (molte tabelle riportano solo quest’ultimo dato!).
•Per citare un frutto, l’indice glicemico della banana varia da 30 a 75 con una media di 52 circa. Notate come anche gli altri frutti varino piuttosto pesantemente.
•L’indice glicemico del riso varia da 48 a 112 (bollito 13 minuti, dato di un prodotto italiano), ma si scopre che il valore dipende decisamente dalla varietà: per l’Arborio del nostro classico risotto siamo a 69±7.
•Notate come anche alcune bevande (come Coca Cola, Fanta, Gatorade) siano variabili.
•Una varietà di latte intero italiana è stata recensita a indice glicemico uguale a 11, meno della metà della media.
•Eclatante anche il caso del miele il cui indice glicemico varia da un tipo a 32 a un altro a 95.
E questi non sono che alcuni esempi…
Praticamente nelle tabelle che si trovano comunemente vengono passate le medie con la stessa precisione scientifica dell’esempio del mezzo pollo a testa con il poveraccio che muore di fame perché il pollo intero me lo sono mangiato io. Insomma, in pratica è veramente difficile sapere con esattezza l’indice glicemico degli alimenti che entrano nella nostra alimentazione.
Quindi la dieta italiana ritiene ortoressico il valutare l’indice glicemico alla base della propria alimentazione (vedasi la già citata dieta di Montignac e le indicazioni di altri modelli o di ambienti salutistici): basta il semplice vincolo del sovrappeso per non avere problemi.
In altri termini, basta essere magri!
Altre considerazioni sull’indice glicemico
Da quanto sopra riportato appare evidente che ha veramente poco senso confrontare gli alimenti basandosi sull’indice glicemico.
Quali sono quindi le considerazioni di una certa utilità che si possono fare in tema di indice glicemico?
La prima è che l’indice glicemico si riduce se a un alimento vengono aggiunti lipidi. La ragione di ciò sta nel fatto che quando vengono aggiunti grassi a un determinato cibo, la digestione di quest’ultimo diventa tende a rallentare; ne consegue che i carboidrati in esso contenuto entrano in circolo in modo più lento. Il tipico esempio è rappresentato dalla differenza che c’è tra la digestione del latte intero e la digestione del latte scremato.
L’indice glicemico si riduce anche quando si aggiungono proteine a un determinato cibo; le motivazioni sono le stesse fatte precedentemente nel caso dell’aggiunta di grassi.
È doveroso poi ricordare che per l’attivazione del meccanismo insulinico è importante il carico glicemico degli alimenti che si assumono, non il loro indice glicemico (rimandiamo a un’attenta lettura del nostro articolo Il carico glicemico per capire come avere un parametro pratico che ci consenta di valutare l’effetto dei glicidi che si assumono con i cibi).
Da queste considerazioni si evince chiaramente che con un’alimentazione che rispetta la ripartizione giornaliera ideale dei macronutrienti proposta dalla dieta italiana (Carboidrati: minimo 45%, Proteine: minimo 15%, Grassi: minimo 25%) e che consente il mantenimento di un peso corporeo corretto, il carico glicemico è di fatto sotto controllo e non c’è alcun bisogno di preoccuparsi dell’indice glicemico.
Indice glicemico: approfondimenti
Per approfondire l’argomento “indice glicemico” è caldamente consigliata la lettura dei seguenti articoli:
•Il carico glicemico (Il carico glicemico è fondamentale per avere un parametro pratico nella valutazione dell’effetto dei carboidrati assunti con l’alimentazione).
•Dieta e indice glicemico (un articolo che vuole rispondere a due domande: a cosa ci si riferisce esattamente quando si parla di dieta basata sull’indice glicemico? E, cosa ancora più importante, è possibile basare la propria alimentazione sull’indice glicemico? )
•Dieta Montignac (il metodo Montignac –è questa definizione più corretta- è considerato da molti come rivoluzionario, ma come ma, come spesso accade nel caso di grandi “rivoluzioni” in campo dietetico, alla fine il tutto si rivela alquanto deludente).
Indice glicemico – Tabella pratica
Vi presentiamo un riassunto della tabella elaborata dall’università di Sydney; se volete consultare il lavoro originale sull’indice glicemico, cliccate sul riferimento (la notazione 59±8 indica che il valore può variare di 8 in più o in meno rispetto al valore medio 59, a seconda del tipo di ananas considerato).
Albicocca
Indice glicemico da 57 a 64
All-Bran (cereali ad alto contenuto di fibra)
Indice glicemico 42±5
Ananas
Indice glicemico 59±8
Arancia
Indice glicemico da 31 a 51
Banana (Sudafrica)
Indice glicemico 70±5
Biscotti (Oro Saiwa, Italia)
Indice glicemico 64±3
Carote
Indice glicemico 47±16
Ciliegie
Indice glicemico 22
Coca Cola
Indice glicemico 58±5
Croissant
Indice glicemico 67
Corn flakes (KELLOGG’S, USA)
Indice glicemico 91
Cracker
Indice glicemico da 52 a 98
Datteri (secchi)
Indice glicemico 103±21
Fagioli
Indice glicemico 29±9
Fanta
Indice glicemico 68±6
Fruttosio
Indice glicemico 19±2
Gatorade
Indice glicemico 78±13
Gelato (vaniglia e cioccolato, Italia)
Indice glicemico da 57 a 80
Glucosio
Indice glicemico 100
Kiwi
Indice glicemico 53±6
Latte di soia
Indice glicemico 32±2
Latte intero
Indice glicemico 27±4
Latte scremato
Indice glicemico 32±5
Maccheroni
Indice glicemico 47±2
Mango
Indice glicemico 51±5
Mela
Indice glicemico da 28 a 44
Miele
Indice glicemico da 32 a 95
Muffin
Indice glicemico da 44 a 102
Muesli
Indice glicemico da 39 a 75
Pane integrale
Indice glicemico 53±3
Pane bianco
Indice glicemico da 30 a 110ÿ
Pane di frumento senza glutine
Indice glicemico 76±5
Pane di segale
Indice glicemico da 50 a 64
Patate al forno
Indice glicemico 89±12
Patate bollite
Indice glicemico da 56 a 101
Patate fritte (surgelate)
Indice glicemico 75
Pera
Indice glicemico 38±2
Pesca fresca
Indice glicemico da 28 a 56
Pesche in scatola
Indice glicemico da 30 a 71
Pizza al formaggio (Italia)
Indice glicemico 80
Popcorn
Indice glicemico 72±17
Prugna
Indice glicemico 39±15
Riso bianco
Indice glicemico da 48 a 112
Saccarosio/zucchero di canna
Indice glicemico 68±5
Spaghetti
Indice glicemico 57±6
Succo d’ananas
Indice glicemico 46
Succo d’arancia
Indice glicemico 50±4
Succo di mela
Indice glicemico 40±1
Succo di pompelmo
Indice glicemico 48
Succo di pomodoro
Indice glicemico 38±4
Uva
Indice glicemico da 46 a 59
Yogurt bianco
Indice glicemico 36±4
Yogurt magro
Indice glicemico da 14 a 45
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IL COMMENTO
Indice glicemico e cancro
Quando dovete valutare una nuova “scoperta” nel campo del benessere, provate a verificare se e come compare la parola “cancro”. Poiché nessuno sa ancora come si origina il cancro, fa molta scena aiutare la promozione dell’ultima novità inserendola nella “lotta contro il cancro”. Quanti sono i modelli alimentari, a mio avviso poco seri, che si sono detti certi che, grazie a un certo tipo di alimentazione, sia possibile prevenire o addirittura sconfiggere il cancro? Ormai è certo che chi mangia male, veramente male, ha maggiori possibilità di contrarre un tumore, ma è tutto da dimostrare che mangiare benissimo possa aiutare.
Prendiamo per esempio la santificazione dei cibi a basso indice glicemico (IG), concetto poi parzialmente corretto con quello di carico glicemico (CG) che dovrebbero limitare l’azione della terribile insulina. Ebbene uno studio prospettico di alcuni anni fa (George SM, Mayne ST, Leitzmann MF, Park Y, Schatzkin A, Flood A, Hollenbeck A, Subar AF; Am J Epidemiol. 2009 Feb 15;169(4):462-72) ha mostrato che non c’è nessuna relazione fra indice (carico) glicemico e cancro.
A tutt’oggi (2014) i sostenitori della relazione fra indice glicemico e cancro non sono riusciti a raccogliere dati significativi in controtendenza rispetto allo studio citato.
Lo studio ha preso in esame donne e uomini con più di 50 anni, appartenenti alla coorte National Institutes of Health–AARP (NIH–AARP) Diet and Health Study. Tra il 1995 ed il 2003 sono stati identificati 48.418 casi di cancro (15.215 fra le donne e 33.203 fra gli uomini). Confrontando il rischio di cancro associato a un regime alimentare ad alto o a basso indice glicemico, gli autori hanno stimato che il rischio relativo del primo gruppo, rispetto al secondo, era pari ad 1,03 per le donne e 1,04 per gli uomini, mentre il rischio relativo dei soggetti con dieta ad alto carico glicemico, rispetto ai soggetti con basso carico glicemico, era pari a 0,90 per le donne e 0,93 per gli uomini.
In conclusione, non esiste nessuna chiara evidenza che una dieta ad alto indice o carico glicemico si associ a una maggiore incidenza di cancro.
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