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Home» Alchimia ed Ermetismo»Il Pensiero Ermetico e l’Arte: un Connubio Perfetto
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Il Pensiero Ermetico e l’Arte: un Connubio Perfetto

Come dice Thomas Mann, alle radici della cultura c’è il culto. Fin dagli albori della storia, quando l’uomo iniziò a trasformare la magia primitiva in un sistema organico di credenze, le arti sono state intrecciate inestricabilmente alla religione. Nella maggioranza dei casi infatti la musica, la pittura ed il disegno, la scultura, la danza, la scrittura erano manifestazioni del credo religioso, espressione di dottrine e rituali magici e religiosi. Fino alla Riforma Luterana la maggior parte delle espressioni artistiche, sotto qualsiasi forma, aveva finalità religiose, come testimonianza del sacro e guida dei fedeli, secondo i principi stabiliti dalla Chiesa Cattolica.

Qualunque fossero le sue implicazioni di tipo laico, anche l’ermetismo aveva un orientamento religioso; esso costituiva, per una parte dei suoi adepti, un completamento del Cristianesimo, per altri invece, come Giordano Bruno, rappresentava un’alternativa, la base di una religione nuova, universale e onnicomprensiva. E’ inevitabile quindi che anche il pensiero ermetico trovasse una sua forma di manifestazione artistica, tanto da diventare, durante il Rinascimento, la fonte principale e più dinamica della creatività. Alla fine del XVI secolo artisti di ogni campo, dalla musica alla pittura, dalla letteratura all’architettura e all’arte dei giardini, s’ispirarono ai principi ermetici per creare le basi di una nuova concezione estetica. In alcuni casi l’opera d’arte era chiamata ad esprimere i principi fondamentali del pensiero ermetico, come quello dell’analogia o della relazione fra microcosmo e macrocosmo; in altri casi l’atto creativo era considerato una vera e propria operazione magica e quindi il suo prodotto era un oggetto magico, una sorta di talismano capace di attrarre e concentrare le energie occulte o cosmiche.

Il potere magico della musica

Secondo recenti ricerche scientifiche, la musica può avere un’influenza diretta sui centri cerebrali che governano le emozioni. Questa “rivelazione” ha provocato nei mezzi di informazione una serie di interrogativi. La stimolazione di alcuni centri cerebrali, attuata in un certo modo, può condurre a una trasformazione della personalità? Il carattere di un bambino può essere plasmato e modellato dalla musica? I bambini a cui viene fatto ascoltare Mozart saranno più intelligenti di quelli che hanno ascoltato Bach o Beethoven, o Wagner, o i Beatles o i  jingles pubblicitari?

Queste domande possono essere inquietanti, ma non era necessaria la ricerca scientifica per capire che la musica può influire sul nostro umore. Tutti sappiamo che la musica può calmare o innervosire, può far sognare o dare una carica di energia, placare i senso o emozionare.

Il potere magico della musica era sicuramente utilizzato dagli sciamani fin dall’alba dell’umanità. In Occidente tale potere fu studiato ed enunciato dai pitagorici, per poi passare all’ermetismo alessandrino. La dottrina pitagorica ed ermetica si basava su alcuni principi assiomatici: se due corde sono regolate sulla stessa frequenza e una di loro viene pizzicata, l’altra vibra con la medesima risonanza, quasi per “simpatia”. In termini scientifici la corda pizzicata provoca una vibrazione dell’aria che trae una nota simile dalla seconda corda, a condizione naturalmente che le due corde siano state in precedenza armonicamente regolate.

Per i pitagorici e per gli ermetici alessandrini, il principio guida era appunto rappresentato dalla “sintonia armonica”, che non si applicava solo alla musica, ma a tutto il creato, concepito come totalità unica ed onnicomprensiva, nella quale ogni cosa era interrelata. L’armonia era considerata il legame, il collante per mezzo del quale ogni componente del creato era connesso con ogni altro. Il cosmo, in altre parole, era un singolo strumento musicale armonico che vibrava e risuonava incessantemente alla propria musica. L’umanità e gli dei, la terra ed il cielo, il microcosmo ed il macrocosmo, erano legati in armonia e riflettevano le medesime armoniche proporzioni che potevano essere definite in termini matematici. Ma i numeri corrispondevano a note musicali fisse, o toni, perciò le proporzioni descritte dalla matematica potevano essere riverberate e attivate dalla musica. Secondo la dottrina pitagorica “l’universo e l’uomo, il macrocosmo ed il microcosmo sono stati costruiti con le stesse proporzioni armoniche”. Quindi i poteri del cosmo potevano essere invocati non implorandoli, come nelle preghiere tradizionali, ma mettendosi “in sintonia” con essi, sulla stessa frequenza e quindi manovrandoli.

Per pitagorici ed ermetici inoltre la musica aveva una funzione terapeutica e poteva essere usata come antidoto per le afflizioni dell’anima, come la depressione o la collera. Questo concetto fu in seguito fatto proprio da Shakespeare nel “Mercante di Venezia” (atto V, Scena I): Nulla è mai sì refrattario, duro e furibondo, che la musica non ne muti, fluendo, la natura.

Secondo Platone il processo educativo doveva comprendere la ginnastica per la salute del corpo e la musica per la salute dell’anima. La musica, affermava, alimenta “una certa armonia dello spirito” che ogni bambino deve sperimentare. Nelle scuole misteriche classiche, la musica, insieme alla danza, era usata per indurre uno stato alterato della coscienza. In seguito il canto o la salmodia, basati su rigorosi schemi di controllo della respirazione, entrarono a far parte della disciplina monastica cristiana. I testi del corpus ermetico affermano con estrema chiarezza la necessità di “accordare” il microcosmo umano affinché si armonizzi al macrocosmo. Gli ermetici sostenevano la necessità di “accordare la lira interiore e di armonizzarla con il Musico divino”. La musica diviene dunque strumento di accesso al soprannaturale.

I Magi rinascimentali seguivano i principi ermetici, platonici e  pitagorici, ma nello stesso tempo sottolineavano l’importanza dell’unione armonica fra la nota musicale, o accordo e la parola. I poemi erano composti per essere musicati e le loro parole avevano la stessa importanza della musica, talvolta il ritmo della musica era soggetto alla metrica del verso. Versi e melodia divenivano un tutto unico e inseparabile. L’armoniosa integrazione di tutte queste componenti doveva dunque essere perfetta, calcolata con matematica precisione.

Una volta raggiunta tale perfezione, l’invocazione che ne derivava, era attivata, caricata della necessaria potenza e virtù e quindi in grado di frantumare le barriere fra le dimensioni della realtà, come una nota emessa da un diapason può frantumare un vaso o una lastra di vetro. In tal modo le forze invisibili del cosmo potevano muoversi liberamente e mescolarsi con il mondo umano.

Grazie alla sua applicazione nei rituali magici, nel Rinascimento la musica acquistò nuove forme. In Italia, per esempio, nacque il Madrigale, un canto per più voci, ciascuna delle quali eseguiva autonomamente la propria parte invece di unirsi alle altre come accade in un coro. Il madrigale rappresenta una tappa sul cammino che portò al melodramma. Nel mondo islamico invece, gli ermetici musulmani  affermavano la correlazione fra musica ed alchimia, che i magi rinascimentali in Occidente subito accettarono. L’associazione fra musica ed alchimia continuò ad essere perseguita nel XVII secolo, tanto che in un’illustrazione di un testo rosacrociano del 1609, ad esempio, è raffigurato un alchimista che prega davanti ad un pentagramma.

Era forse inevitabile che aspetti della magia matematica ermetica e cabalistica fossero assorbiti dalla Chiesa e fossero adottati nella musica religiosa cristiana, soprattutto nel culto della Vergine.  La gerarchia ecclesiastica, a volte perfino il papa, fece proprie altre forme di musica e magia ermetica. All’inizio del XVII secolo, ad esempio, papa Urbano VIII era un appassionato di astrologia e spesso si dilettava a calcolare gli oroscopi per i suoi cardinali, compreso il momento della loro morte.  La situazione si ribaltò quando altri astrologi cominciarono a fare previsioni sulla sua morte e nel 1628, anno in cui avvenne un’eclissi di luna in gennaio e di sole in dicembre, il papa era inquieto e sollecitò l’aiuto dell’ermetico Tommaso Campanella.

Durante tutto il 1628 Campanella ed il papa s’incontrarono regolarmente in privato per svolgere rituali intesi a combattere le influenze astrologiche avverse. La stanza veniva ermeticamente chiusa per non fare entrare aria esterna e quindi aspersa con sostanze aromatiche bruciando alloro, mirto, rosmarino e bacche di cipresso. Le pareti venivano ricoperte con drappi di seta bianca e decorate con rami; si accendevano due candele e cinque torce a rappresentare i pianeti e si faceva uso di pietre, piante, colori e odori associati ai benefici influssi di Venere e Giove. Il papa ed il mago bevevano liquori distillati astrologicamente e suonavano musica per invocare le energie di Venere e Giove. Sicuramente il papa avrà giudicato questi rituali efficaci perché nonostante le minacciose previsioni, sopravvisse per altri sedici anni fino al 1644. Questo però non impedì a Campanella, il quale aveva già passato molti anni in prigione, d’incorrere nelle ire dell’Inquisizione per aver sostenuto Galileo.

Se l’ermetismo affermava l’interrelazione fra tutte le cose, è ovvio che il principio della proporzione armonica fra magia, matematica e musica si applicasse anche alla pittura ed alla scultura. I pittori ermetici del Rinascimento erano tutti esperti matematici e alcuni di loro anche musicisti. Nelle sue Vite dei più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani, Giorgio Vasari descrive Leonardo come un ottimo suonatore di lira, le cui esecuzioni al cospetto di Ludovico Sforza di Milano, erano superiori a quelle di qualunque altro musicista avesse suonato alla corte di Ludovico.

Il parallelo fra proporzione armonica nella musica e proporzione armonica nella misura dello spazio è dunque uno dei fondamenti dell’arte ermetica del Rinascimento. Allo stesso modo di un brano musicale, l’opera d’arte poteva funzionare come talismano, una sorta di invocazione. In altre parole poteva essere un agente attivo, un elemento dinamico nell’operazione magica; anzi poteva costituire essa stessa un atto magico.

Secondo la terminologia della psicologia del XX secolo, infine, l’opera d’arte poteva utilizzare certi simboli universali per smuovere i recessi inconsci della psiche, inaccessibili all’approccio logico razionale.

Fonte: L’elisir e la pietra, Fabbri Editori

 

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