Socrate è in prigione, una caverna buia e umida. Condannato a morte dalla restaurata democrazia ateniese per corruzione dei giovani e introduzione dei falsi dei, attende di bere la cicuta. La condanna è sospesa: la città attende il rientro da Delo della nave sacra che ogni anno omaggia Apollo, in memoria dell’eroica impresa con la quale Teseo liberò Atene dal sacrificio dei giovanetti al terribile Minotauro, rinchiuso nel labirinto dal re Minosse. In questa storia ogni dettaglio non è un dettaglio (nei dettagli si nasconde Dio, o il buon diavolo).
Non appena giunge la notizia dell’imminente arrivo della nave sacra, Critone, discepolo di Socrate, si reca a trovare il maestro. E’ ancora notte: Critone paga le guardie per restare solo con Socrate. L’allievo intende alleviare la pena del maestro comunicandogli la notizia della fuga organizzata dai suoi seguaci.
Il resoconto del dialogo tra i due ci viene riportato da Platone nel Critone.
Socrate disdegna la soluzione proposta da Critone. Non abbiamo sempre evitato di compiere il male, o Critone? E il male non è forse l’incapacità di seguire nella pratica ciò di cui sempre abbiamo discusso? Socrate respinge l’idea della fuga. Non si tratta della paura di essere tacciato di incoerenza, ma di un profondo rispetto delle Leggi di Atene, che vengono personificate in questo dialogo. Se incontrassi le Leggi lungo la via della fuga, cosa risponderei alle loro accuse? si chiede Socrate.
Ho rispettato le leggi quando mi andavano bene, ma nel momento in cui c’è qualcosa che non mi piace, sono pronto a distruggerle e rinnegarle.
Questo dialogo platonico è forse uno dei più fraintesi. In effetti è difficile da comprendere. Perché Socrate, come Gesù dopo di lui, pur essendo a modo suo un ribelle, o quello che molti moderni definiscono un disobbediente civile, alla fine decide di chinare la testa e accettare una legge ingiusta, frutto dell’ignoranza e dell’invidia dei molti?
La sua scelta pare ai più accettabile per pura coerenza. Eppure la coerenza è la certezza delle menti piccole, come ha detto Emerson, e sicuramente non è questo il caso di Socrate.
Forse il vero problema è che per noi occidentali la sacralità delle Leggi è ormai un concetto incomprensibile, alla luce delle istituzioni politiche odierne, in cui è possibile fare e disfare ogni cosa.
Ma già in Socrate non è questo il punto negativo: le Leggi non sono sacre perché concesse dal divino, e come tale indiscutibili. Le Leggi sono sacre perché frutto di un patto sociale, patto stipulato dagli uomini e con gli uomini.
Perché il patto sociale è sacro? Il contrattualismo secentesco e settecentesco ha ampiamente riflettuto su tale tematica, da Spinoza, Rousseau, Hobbes, Locke in poi.
Perché gli uomini si mettono d’accordo stipulando il patto sociale? Perché altrimenti ci sarebbe la guerra di tutti contro tutti, bellum omnium contra omnes.
Per sfuggire a una condizione di anarchia e terrore, in cui si è alla merce della ferinità altrui, della brutalità estrema dedita al perseguimento di piaceri e benessere pulsionale, bisogna cedere una quota della propria libertà, a patto appunto che anche gli altri lo facciano: dalla rinuncia e dalla repressione nasce l’equilibrio sociale, la sicurezza, la pace.
Così Freud ne Il disagio della civiltà affermerà che il prezzo da pagare per la nascita delle dimensioni più alte dello spirito umano, quali scienza, arte e filosofia, è proprio la repressione delle pulsioni.
Non possiamo sfuggire a tale dimensione repressiva, ma non potremmo nemmeno desiderarlo da esseri razionali, a meno di scegliere il ritorno alla brutalità dello stato di natura, in cui ogni uomo è un lupo per gli altri uomini, proteso esclusivamente al soddisfacimento dei propri bisogni egoici.
Il mostro, il Leviatano che schiaccia così l’uomo, è per tale motivo definito da Hobbes un “dio mortale”.
A pensarci bene, il Patto è anche la dimensione che lega uomo e Dio nella Bibbia: la sacra Alleanza discende dal libero consenso, funzionale alla tutela che l’uomo ricerca per se stesso. In questo senso è interessante riflettere sul fatto che probabilmente l’uomo ha bisogno di dispositivi che lo tengano al sicuro dalla longa manus di chi gli è più vicino: che sia l’uomo bruto dello stato di natura o un dio geloso e vendicatore poco importa. D’altra parte in vari passaggi biblici e platonici l’uomo ha da temere non soltanto dai propri simili ma anche dagli dei: nel mito dell’androgino del Simposio gli dei tagliano gli uomini a metà come sogliole per timore della loro potenza; nella Genesi l’uomo è cacciato dall’Eden perché il dio ha paura che egli diventi come lui. L’Alleanza, in Platone e nella Bibbia ha dunque la funzione di permettere all’uomo una vita al riparo da attacchi che potrebbero ulteriormente depotenziarlo (e questo mito resta a monito degli uomini, dice Platone parlando dell’androgino, poiché gli uomini potrebbero essere ulteriormente presi di mira dagli dei laddove questi avvertano delle minacce al proprio predominio).
No, Critone, non sarò io la pietra d’inciampo della convivenza umana, sembra dire Socrate; non infrangerò quelle Leggi sacre che tutelano l’umano.
In una prospettiva nicciana, siamo in un mondo in cui Dio è morto, non ci sono altri valori se non quelli che io stesso stabilisco; ma questo non li rende per questo meno sacri.
Il Sacro sembra dunque diverso da quello che ci è stato insegnato; non è sacro ciò che ho ricevuto dall’Alto, ma è sacro ciò che io stesso, l’Uomo, ho reso tale.
Scritto da: Valentina C.
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