Il paradiso perduto di Milton e la sua allegoria
Il Paradiso perduto, il cui titolo originario è “Paradise lost”, come è noto, è il poema epico pubblicato da John Milton nel 1667, sul tema del racconto mitologico biblico della caduta dell’uomo, con particolare riguardo alla tentazione di Adamo ed Eva ispirata da Satana ed alla successiva cacciata dal giardino dell’Eden. Ad una prima pubblicazione in dieci libri, seguì una seconda edizione nel 1674 in dodici libri, perchè l’autore voleva seguire la suddivisione dell’Eneide di Virgilio, ricorrendo alla particolare simbologia del numero 12 molto diffusa nel mondo antico.
La narrazione del poema fa da sfondo ad un interrogativo principale che assilla Milton che, a sua volta, vuole instillare nei lettori: il conflitto tra la provvidenza eterna ed il libero arbitrio, ricorrendo alle argomentazioni delle tre religioni abramitiche (ebraismo, cristianesimo ed islamismo) sull’origine del male e del peccato. La struttura del poema appare rovesciata rispetto ai “clichè” tradizionali, secondo i quali il malvagio Satana/Lucifero sarebbe stato scagliato nell’abisso, perchè colpevole di essersi ribellato a Dio, cercando di trascinare con sè anche le deboli creature umane. Nel poema di Milton, la figura dell’antagonista dell’Onnipotente è rivisitata, in una chiave potremmo definire “antropologica”, mettendone in evidenza l’indomito coraggio e le motivazioni che l’avrebbero spinto ad allontanarsi da Dio, visto come un tiranno al quale prestare solo cieca obbedienza. Satana, con il suo orgoglio smodato e la sua volontà di primeggiare, è il protagonista assoluto dell’opera, apparendo quasi come un eroe della mitologia classica, dal cui ricchissimo serbatoio culturale lo stesso Milton trasse numerose ispirazioni.
Risulta evidente, quando si leggono con attenzione i versi di “Paradise lost”, la critica dell’autore nei confronti della teologia cristiana che appare inadeguata ed insufficiente a spiegare la condizione ontologica umana sotto tutte le sue sfaccettature. Oltre che nell’interpretazione di problematiche di complessa risoluzione, come il fato, il libero arbitrio e la predestinazione, peraltro tutte connesse fra loro, Milton mette in discussione dogmi fondamentali della confessione religiosa cristiana, come la Trinità, evidenziando in maniera chiara il suo orientamento all’Arianesimo dichiarato eretico nell’Alto Medioevo, soprattutto per motivazioni politiche. Milton, infatti, lontano dalla teorizzazione dello “spirito santo”, di ben ardua comprensione logica, credeva in due distinte figure, il Padre ed il Figlio, descrivendo il primo dal temperamento un pò burbero ed ottimista, mentre il secondo generoso e benevolo, quasi ad esprimere la profonda differenza di impostazione tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento biblico.
Per quanto riguarda il contenuto del poema, in estrema sintesi, si può dire, come già anticipato in precedenza, che le vicende principali trattate siano due: la storia di Satana e la permanenza di Adamo e di Eva nel giardino dell’Eden. La vicenda che coinvolge Satana/Lucifero contiene molti elementi che ricordano i poemi omerici, l’Iliade e l’ Odissea, nonchè l’Eneide di Virgilio. Milton ci fornisce un’iniziale descrizione della battaglia in cielo tra le forze radunate da Lucifero e le schiere degli angeli che combattono per Dio. Si tratta di versi epici, degni degli antichi poemi “guerreschi”, che rendono più palpabile e plastico uno scontro tra forze del bene e del male, a cui nella Bibbia si fa soltanto qualche cenno di tipo figurativo. Il fulcro della parte dedicata a Lucifero è denominato in modo decisamente significativo, “Pandemonium”, dove si descrive il diavolo come un condottiero abile, carismatico e convincente che sa come ammaliare le sue schiere, combattendo in prima linea ed offrendosi come persecutore principale del nostro pianeta, da poco creato da Dio. Nelle scene che mostrano il coraggio di Satana di superare tutte le insidie degli abissi, si notano molti elementi che richiamano i viaggi di Ulisse e di Enea nell’Ade, il regno dell’Oltretomba.
La narrazione su Adamo ed Eva è principalmente incentrata sulle rispettive passioni e sulla loro personalità. Seguendo il racconto originale, Milton ci presenta il diavolo come tentatore di una vanitosa Eva. Il compagno Adamo, tuttavia, dopo aver assistito al peccato della donna, cade in errore consapevolmente e “non indotto” dalla stessa come superficialmente tramandato dalla maggioranza degli esegeti biblici. L’autore si sofferma a sottolineare come, per i due coniugi, dopo aver consumato il frutto dell’albero della conoscenza, cambi il rapporto con il sesso, acquisendo una nuova sensualità prima ignorata. Riconciliatisi, i due cominciano a lottare ed Adamo viene poi coinvolto in un viaggio onirico con un angelo che gli mostra i peccati dell’uomo e l’evento drammatico e punitivo del diluvio universale. Nella seconda parte, Milton, influenzato dalle lettere di Paolo di Tarso ( in alcuni passi si definisce Cristo come secondo Adamo) fa intravedere ai coniugi la speranza, attraverso la visione della venuta futura di Gesù. Emblematica è la frase che viene messa sulla bocca di un angelo, quando Adamo ed Eva vengono scacciati dal paradiso terrestre: “qualcuno potrà trovare un paradiso dentro di sè”, facendo leva sulla forza d’animo e sulle capacità di riscatto che, nonostante l’apparente allontanamento da Dio, saranno patrimonio di ogni essere umano. Adamo ed Eva, come tutti gli uomini e le donne che verranno dopo di loro, non avranno più un rapporto diretto con Dio come nel giardino dell’Eden, ma dovranno faticare per cogliere i segni invisibili della sua onnipresenza.
In particolare, nella sua opera Milton non liquida la ribellione di Lucifero/Satana con un semplice peccato d’invidia nei riguardi di Dio, come spesso si legge in sintesi troppo sbrigative e semplicistiche. Potremmo dire che inizialmente Lucifero appare come la creatura che “più ama” e “conosce” Dio. Già animato da un forte orgoglio che lo faceva sentire superiore a tutte le altre creature celesti, Lucifero non riesce ad accettare la decisione dell’Onnipotente di nominare suo Figlio come redentore ed, ancora di più, di renderlo simile ad una creatura di natura umana che Lucifero considera inferiore a quella angelica. Un terzo degli angeli del paradiso decide di affiancare il ribelle che è sicuro di poter prevalere su Dio, con gli strumenti intellettuali dell’ingegno e della persuasione di cui va fiero. Per cercare di raggiungere il suo obiettivo assumerà le forme più disparate, trasformandosi da splendido angelo, di volta in volta a seconda dell’occorrenza, in un modesto cherubino, in un rospo, in un cormorano ed, infine, in quella che sarà la sua veste più celebrata, il serpente. Milton dipinge Satana/lucifero come animato da una vertiginosa ed irrefrenabile attività intellettuale, nella quale, però, non c’è spazio per qualsivoglia remora di ordine morale.
Nella descrizione miltoniana, Dio assume un ruolo abbastanza diverso rispetto alle caratterizzazioni ascetiche tradizionali. Nel poema Dio, pur essendo onnisciente, onnipresente ed onnipotente, avendo cioè piena prescienza degli eventi futuri, non è l’artefice della “predestinazione”, lasciando il libero arbitrio al genere umano. In questo Milton si mostra polemico soprattutto nei confronti delle Confessioni Protestanti che, seppure con alcune differenziazioni, ritengono l’individuo già “predestinato” fin dal momento della nascita. Nella raffigurazione di Milton, Dio diventa un essere reale e non semplicemente la personificazione di concetti astratti, incarnando la pura ragione, in un postulato pre-illuminista. La grandezza dell’autore, tuttavia, dal punto di vista dialettico, è quella di rendere Satana, invece, l’emblema della passione e dell’ardore, anticipando nella sua figura un personaggio tipico dell’eroe romantico. Nelle interpretazioni di alcuni passi del “Paradise lost” si nota come Satana sia il fautore delle azioni malvagie, ma non fine a sè stesse, quanto per consentire che l’uomo eserciti il libero arbitrio. Si potrebbe arrivare al paradosso, capovolgendo la teologia cristiana, che Lucifero/Satana si erga a vero difensore della libertà umana, permettendo che il male accada, da cui possono scaturire anche effetti benefici. Per Milton, il Figlio, seguendo in parte la dottrina paolina, è l’anello di congiunzione che lega il Padre alla creazione, rappresentando con Lui un’unica divinità complementare e perfetta. Il Figlio comprende in sè le qualità dell’amore incondizionato e dell’altruismo, offrendosi con spontaneità al supplizio finale per salvare il genere umano.
A parte le peculiarità della composizione, che videro un Milton cieco che dettava il poema ad alcuni suoi amanuensi di fiducia, la composizione del poema deve essere contestualizzata, per comprenderne meglio le motivazioni ideologiche. Milton cominciò l’elaborazione del poema negli ultimi anni dell’effimera “Repubblica inglese”, un periodo pieno di contrasti e di lotte intestine che l’autore descrisse nel libro II, non a caso denominato “Concilio dell’Inferno”. Nel testo si avverte fortemente l’educazione puritana di Milton, nonchè il suo difficile rapporto con alcuni scritti della Bibbia, in particolare nell’ambito dell’Antico Testamento.
L’opera di Milton è intrisa di allegoria psicologica, dove gli archetipi biblici esprimono esigenze interiori dell’uomo. L’invenzione della cacciata dal giardino dell’Eden esprime la necessità dell’individuo di credere che vi sia stata un’epoca senza tormenti, verso la quale siamo destinati a tornare in un lontano futuro. La consapevolezza della nudità da parte di Adamo ed Eva e la perdita dello stato di armonia con il creatore implica innanzitutto la perdita dello stato di grazia interiore, quando il soggetto interrogandosi, comincia a vergognarsi e a giudicarsi. Il dialogo con il serpente può indicare un confronto interiore con la parte di sè che vuole andare oltre le apparenze, per avvicinarsi ad un più elevato livello di conoscenza. Si potrebbe pensare ad un momento di disgregazione psicologica, quando l’uomo non è più soddisfatto di quanto la natura gli abbia concesso, ma vuole comprendere di più, “dividendosi” al suo interno. Ed ecco che la denominazione greca di Satana, “diabolos” (colui che divide), è giustificata dalle nostre voci interiori che ci impongono di superare gli ostacoli dell’esistenza.