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Home» Miti e Leggende»Il Mito di Tifone e la Distruzione di Atlantide
paysages atlantide big

Il Mito di Tifone e la Distruzione di Atlantide

Come affermato nel libro “La fine di Atlantide”, probabilmente il continente perduto fu distrutto dalla caduta di un meteorite nel periodo che va dal 10.000 al 9.000 a.C. Platone infatti sembra volercelo suggerire attraverso la storia del mito di Fetonte, inserita nel Timeo proprio nei paragrafi dedicati ad Atlantide.

Tuttavia, esiste almeno un altro mito, che potrebbe riguardare la distruzione di Atlantide, avvenuta attraverso la caduta di un piccolo corpo celeste. Infatti nella Storia Naturale di Gaio Plinio Secondo (libro II, 91) possiamo trovare un interessante riferimento ad una cometa che avrebbe portato gravi danni all’Egitto e all’Etiopia ai tempi del Re Tifone. Molto probabilmente questo racconto fu portato dall’Egitto ed ellenizzato, come poi avvenne per moltissimi altri miti. Ecco cosa dice Plinio:

Una (cometa), tremenda, fu sperimentata dai popoli d’Etiopia e d’Egitto, e le diede il suo nome Tifone, re di quei tempi: aveva un aspetto infuocato ed era ritorta a forma di spirale, truce già a vedersi, più un nodo di fiamme, per così dire, che una stella.

Innanzitutto, seguendo l’interpretazione evemeristica, possiamo subito collocare temporalmente il periodo storico-mitico in cui è ambientato l’avvenimento. Infatti Tifone, re d’Egitto, è la traduzione greca del nome del dio egizio Seth, probabilmente vissuto nel periodo dello Zep-Tepi nel 10.000 a.C.

Tifone-Seth è il noto fratello di Osiride, che uccise quest’ultimo per invidia e per ottenere la corona. Considerato che il periodo storico coincide con quello della distruzione di Atlantide, potremmo facilmente credere che la cometa Tifone fosse la responsabile delle grandi catastrofi che hanno portato alla fine della glaciazione, all’estinzione di molte specie viventi e alla fine della civiltà Atlantidea, i cui sopravvissuti dovettero fuggire dalla propria terra per ricominciare una nuova esistenza. La versione greca del mito di Tifone è molto interessante. Qui ripropongo il riassunto compiuto dallo Pseudo Apollodoro nella “Biblioteca” (libro I, 6):

“Quando gli dei ebbero vinto i Giganti, Gea, ancora più adirata, si unisce al Tartaro e, in Cilicia, partorisce Tifone che aveva natura mista, di uomo e di bestia. Per la statura e la forza, Tifone era superiore a tutti i figli di Gea; fino alle cosce la sua forma era di uomo, ma di tale altezza da superare tutte le montagne; con la testa sfiorava spesso le stelle; se stendeva le braccia, con uno toccava l’Occidente, con l’altro l’Oriente; dalle braccia stesse emergevano le teste di cento serpenti, dalle cosce si dipartivano le spire di vipere enormi che si estendevano fino alla testa, emettendo sibili acuti. Aveva ali su tutto il corpo, dei capelli sudici ondeggiavano sulla testa e sulle guance, gli occhi lanciavano fiamme.

Così spaventoso e così enorme era Tifone quando sferrò il suo attacco contro lo stesso cielo gridando e sibilando e scagliando pietre incandescenti; dalla bocca esalava grandi vampe di fuoco. Quando gli dei videro che assaliva il cielo, andarono a rifugiarsi in Egitto, e poiché lui li inseguiva, si trasformarono in animali. Mentre Tifone era ancora lontano, Zeus gli scagliò contro i fulmini, quando fu più vicino, lo colpì con la falce d’acciaio, quando si diede alla fuga, lo insegui fino al monte Casio che domina la Siria.

Qui, vedendolo coperto di ferite, lo aggredì. Ma Tifone lo avvolse nelle sue spire e lo tenne fermo, gli strappò la falce e gli recise i tendini delle mani e dei piedi; poi se lo caricò sulle spalle e attraverso il mare lo trasportò fino in Cilicia, giunse all’antro Coricio e ve lo depose. Mise là anche i tendini, che nascose in una pelle d’orso, e vi pose a guardia Delfine, che era per metà serpente e per metà fanciulla. Ma Ermes ed Egipan sottrassero i tendini di nascosto e li riattaccarono a Zeus. Recuperato il suo vigore, subito Zeus si mosse dal cielo sopra un carro trainato da cavalli alati e, scagliando fulmini, inseguì Tifone fino al monte chiamato Nisa, dove le Moire lo trassero in inganno dicendogli che avrebbe acquistato forza se avesse assaggiato i frutti effimeri. Inseguito di nuovo, egli giunse in Tracia e, nella lotta che si scatenò presso l’Emo, scagliò intere montagne. Ma il fulmine di Zeus le respingeva contro di lui, e, sul monte, il suo sangue sgorgò a fiumi: per questo, dicono, il monte fu chiamato Emo.

Mentre si lanciava in fuga attraverso il mare di Sicilia, Zeus gli scagliò contro l’Etna, un monte che è in Sicilia, un monte altissimo dal quale ancor oggi erompono fiamme che hanno origine, si dice, dai fulmini scagliati da Zeus”.

La lotta raccontata tra Zeus e Tifone potrebbe essere interpretata in modi diversi. Innanzitutto potrebbe essere la versione greca delle lotte tra Horus, il figlio di Osiride, e Seth per la rivendicazione del trono di Osiride. Inoltre nella figura gigantesca di Tifone si nasconderebbe la vicenda della meteora che colpì la terra sconvolgendola radicalmente. Esaminiamo questo enunciato:

“Quando gli dei videro che assaliva il cielo, andarono a rifugiarsi in Egitto, e poiché lui li inseguiva, si trasformarono in animali”.

Probabilmente il “cielo” in questo caso è da identificarsi con Atlantide, la mitica terra ad Occidente. Infatti gli antichi egizi collocavano il mondo degli dei e l’aldilà proprio nelle terre occidentali. Questa terra, che era lo specchio del mondo dei morti celeste (il Duat), era il luogo dove il faraone diventava Osiride e poteva rinascere. Per gli antichi egizi il mondo dei morti era un luogo di beatitudine e quindi è molto probabile che questa idea fosse nata dall’antico ricordo di una prosperosa patria occidentale. Tuttavia anche il racconto della catastrofe, della distruzione e delle innumerevoli morti potrebbe aver creato l’idea di un occidente pericoloso, esprimendolo attraverso il viaggio notturno allegorico del Sole attraverso il mondo infero. Detto questo ci si accorge che c’è una sorta di contraddizione tra un mondo infero positivo e quello negativo. Questa positività e negatività, potrebbero ricordare il periodo prima e dopo la distruzione di Atlantide. Ritornando alla frase già analizzata, si ripropone la storia della venuta degli dei in Egitto. Infatti la stessa mitologia egiziana asseriva che gli dei (gli uomini rossi) venivano da un luogo a occidente chiamato Punt.

Il Punt era un luogo di grande beatitudine e benessere, che dopo il periodo dell’antico regno veniva ricercato e identificato con l’Africa Orientale. Tuttavia la collocazione di Punt originale era a occidente. Il Punt era con tutta probabilità Atlantide e possiamo così asserire che gli dei d’Egitto erano forse abitanti di Atlantide, che stavano fuggendo dalla loro patria in cerca di una nuova terra dove andare. E dove andare?

In Egitto, che probabilmente era da tempo una colonia Atlantidea. Inoltre il fatto che gli dei si trasformarono in animali può farci capire che questi uomini eccezionali (perché portatori di tecnologie e conoscenze ben presto dimenticate in Egitto dopo la grande catastrofe meteorica) furono subito identificati dalla popolazione imbarbarita come gli Dei dei culti locali, animaleschi, creati dagli Egiziani ritornati ad uno stadio di vita selvaggio. Uno dei capi di una delle innumerevoli spedizioni/migrazioni Atlantidee era forse Osiride; il nome degli dei non corrispondeva al reale nome delle persone, poiché il dio Osiride potrebbe essere stato un dio predinastico che assimilò altri culti e altre leggende, facendole proprie. Infatti Osiride soppiantò nei suoi santuari maggiori, i più antichi dei: Andjiti a Busiri e ad Abido un lupo chiamato Khentimentiu. Per questo, il dio che aveva portato con sé la moglie Iside, ed il fratello Seth e la cognata Nefti, dovevano essere già in Egitto. Comunque, nonostante il fatto che molto probabilmente molti fuggiaschi atlantidei si diressero verso l’Egitto, per quanto riguarda Osiride, la questione sembra essere stata più complessa. Nel Panopoli, ultimo grande poeta antico, nelle Dionisiache, si descrive in modo molto suggestivo e realistico il mito di Tifone. Vediamo alcuni versi del Canto I, 239-256 (Tifone sta scuotendo con le mani gli astri):

“La volta celeste è tutta in fermento: le Pleiadi settemplici fanno eco con pari numero di bocche alle sette zone del cielo levando alto grido di guerra, e con strepito uguale rispondono i pianeti.

Al vedere i serpenti che spaventosi formano il corpo del gigante, il Serpentario fulgido scuote dalle mani salvifiche i draghi screziati di verde, nutriti di fuoco, e li scaglia a guisa di dardi maculati e sinuosi; attorno alle vampe fischiando turbini e le saette anguiformi scoccate oblique dall’arco scatenano nell’aria un delirio bacchico.

Anche il Sagittario spavaldo scaglia i suoi dardi, compagno di percorso al Capricorno dalla coda di pesce.

Nell’orbita del carro, il Drago risplende a mezzo tra le orse gemelle, e guizza la coda lucente nel suo dorso etereo.

Accanto a Erigone, Boote auriga del Carro suo compagno di viaggio agita la verga con il braccio fulgente.

Alle ginocchia dell’Immagine e presso il Cigno suo vicino la Lira stellata annunzia la vittoria di Zeus”.

Questa descrizione delle catastrofi di Tifone nel cielo stellato può essere interpretata anche come mito cosmologico secondo gli studi di Giorgio De Santillana e Hertha von Deschend ne “Il Mulino di Amleto”. Infatti Tifone, potrebbe essere il grande palo o albero del mondo (asse di rotazione terrestre) che si sposta, a causa della precessione degli equinozi, e sconvolge la volta celeste cambiando posizione e forma agli astri e alle costellazioni.

Concludendo, analizzando questo mito, abbiamo potuto vedere come questo possa essere interpretato in modi diversi e secondo molte chiavi di lettura.

Il mito si presenta a strati e viene costruito anche in tempi successivi. La difficoltà sta proprio nel trovare la giusta chiave interpretativa per ogni mito. In questo mito c’era una chiave storica e astronomica. Attraverso queste nuove informazioni, che aggiungiamo alle conoscenze precedenti su Atlantide, possiamo solo sperare di arrivare sempre più vicino alla verità.

 COMMENTO FINALE 

Il significato di Khentimentiu è molto interessante: “Quello che marcia alla testa degli occidentali”. Forse Khentimentiu è un neter assimilato dal culto di Osiride che divinizzava il capo degli Atlantidei che giungevano in Egitto dopo la distruzione di Atlantide. Osiride avrebbe così assimilato le caratteristiche di Khentimentiu. Probabilmente anche lo stesso Khentimentiu aveva assimilato altri culti ancora precedenti: dalla distruzione di Atlantide al periodo protodinastico ci sono almeno 7.000 anni!

Fonte: pantarhei.virtuale.org

 

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atlantide mito Tifone 2016-01-20

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