Risalente a miti antichissimi, il “doppio” assume una connotazione particolare in moltissime culture, in cui l’uomo si è posto il problema della non-coesione della propria identità. Non è un caso infatti che l’Ombra, il Sosia, lo Specchio – intesi come proiezione autonoma del nostro Io – siano stati sempre soffusi da un alone di magia e mistero.
Lo stesso termine latino “imago-inis”, non è traducibile soltanto con “immagine”, ma anche con “parvenza, visione, sogno, apparizione”, con evidente allusione alla sfera del trascendente. Lo stesso dicesi per il termine greco antico εἴδωλον (èidolon), da cui deriva l’italiano “idolo”, traducibile con “immagine, simulacro” ma anche “apparizione, immagine spettrale di un vivente o di un morto”.
Lo specchio appare nella simbologia magica medievale come strumento divinatorio e di accesso al mondo delle ombre, e in tutta la tradizione sul mito dei vampiri secondo cui il non-morto non vi può vedere la propria immagine riflessa.
Il “doppio” come metafora del lato oscuro dell’uomo o come rappresentazione emblematica del male è un tema caro alla tradizione e alla letteratura tedesca, ma ricorre assiduamente nella produzione artistico-letteraria tardo-romantica e moderna di tutta Europa, con differenti sfumature (sosia, ombra o immagine allo specchio).
Alcuni fra i numerosi esempi:
– il romanzo del 1796 Siebenkäs di Jean Paul Richter,
– Gli Elisir del Diavolo e Avventure della notte di San Silvestro di Hoffmann,
– La meravigliosa storia di Peter Schlemihl di Adalbert Von Chamisso (in cui il protagonista vende la propria ombra al Diavolo),
– la fiaba L’ombra di Andersen,
– la poesia Der Doppelgänger di Einrich Heine,
– la sonata Der Doppelgänger per piano di Liszt
– Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde,
– il racconto William Wilson di Edgar Allan Poe (dove il Doppelgänger punisce il protagonista per le sue azioni malvage),
– il Faust di Goethe,
– il Sosia di Fedor Dostoevskij (in cui l’alienazione del protagonista lo porta a scontrarsi con il suo doppio che ne causa le sventure),
– Frankestein di Mary Shelley (in cui il Dottor F. perde il controllo del mostro da lui creato, che in breve manifesta impulsi omicidi),
– Lo strano caso del Dott. Jekyll e Mr. Hyde, di Stevenson, 1886, (storia di un anziano e stimato medico che si sdoppia in un affascinante quanto crudele alter-ego per poter dare sfogo alle sue pulsioni più abbiette)
– e poi Rudyard Kipling (Sogno di Duncan Parrenness), Alfred De Musset (Due Amanti), Guy de Maupassant (Le Horla).
Nell’arte del ‘900 il tema del Doppelgänger trova la sua prima trasposizione cinematografica con il film Lo Studente di Praga del tedesco Stellar Rye (1913), e viene riproposto nel 1920, con uno stile più visionario, da un altro classico del cinema tedesco, Il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wiene; queste due pellicole inaugurano una serie innumerevole di opere cinematografiche girate in diversi Paesi, in cui il tema viene trattato con differenti stili e sfumature, dal cinema d’autore (es. La doppia vita di Veronica del polacco Kiewloski) all’horror (Shining, un classico d’oltreoceano, e il giapponese Ringu).
Se nell’arte e nella letteratura il “doppio” è una metafora del lato oscuro dell’uomo, da sempre dilaniato tra Bene e Male, nel pensiero psicologico novecentesco il doppio rappresenta l’inconscio e quindi richiama alla mente Freud e tutta la riflessione psicanalitica.
Per la psicanalisi, il Doppelgänger è funzionale alla spiegazione dei fenomeni di straniamento e dissonanza cognitiva collegati allacrisi di identità.
Il tema del “doppio” è stato studiato con particolare attenzione da Otto Rank, allievo di Sigmund Freud, nella sua opera Il doppio (Der Doppelgänger) del 1914; egli collega l’improvviso pararsi innanzi a noi di un sosia (il nostro “doppio”) all’emergere di paure rimosse come l’angoscia di distruzione dell’Io, e quindi della morte.
Freud riprende il concetto del “doppio” di Rank nel suo saggio sul Perturbante (Der Unheimlich) del 1919. Il perturbante è ciò che suscita spavento, inquietudine, perché non noto, familiare, quotidiano. Nel linguaggio psicanalitico la parola “perturbante” indica un disagio, uno sdoppiamento, riguardanti il soggetto, l’Io, e il suo inconscio, l’Es, in riferimento alla perdita di identità e all’alienazione. L’emergere improvviso di una figura di sosia è un’invasione dell’inconscio nel campo del conscio, un ritorno del rimosso che diviene perturbante.
Semplificando, per la psicanalisi il “doppio” è la parte “altra” di noi, ciò che siamo ma non conosciamo razionalmente.
Uno dei primi ad introdurre la figura del Doppelgänger quale inquietante proiezione dell’io e metafora del male nella letteratura europea fu Hoffmann, considerato da Freud “il maestro senza rivali del perturbante nella letteratura”. Appassionato di occultismo e studi cabalistici, affascinato dal tema dello sdoppiamento della personalità, nella sua opera effonde elementi afferenti al misterioso e al soprannaturale ma anche una minuziosa analisi della psicologia umana quale studio di animi dilacerati.
Il romanzo Gli Elisir del Diavolo è stato definito da Heinrich Heine (autore della poesia Der Doppelgänger) un “campionario delle immagini più terribili e spaventose che lo spirito possa ideare”; un horror ante litteram, dove il mostro che fa più paura è quello si agita “dentro” al protagonista.
Esso può definirsi un romanzo gotico solo stilisticamente: lo slancio romantico del linguaggio e la cornice dalle tinte fosche costellata da antiche abbazie e castelli racchiudono infatti tematiche che trascendono i miti del Romanticismo (il soggettivismo rappresentato dall’eroe senza macchia di nostalgia medievale) e anticipano la riflessione del novecento sulla frammentazione dell’identità, l’angoscia moderna e la dissociazione pirandelliana della personalità.
L’intreccio è un viaggio allucinato e visionario attraverso cui Medardus, un frate cappuccino sedotto dagli effluvi di un diabolico elisir custodito nel convento, via via precipita verso la dannazione e risale verso la catarsi secondo una linea discontinua che non pare mai risolversi.
Le tentazioni erotiche suscitategli da Aurelie, incontrata in confessionale, divengono blasfeme per il fatto che la giovane è identica alla santa Rosalie rappresentata in un quadro dell’abbazia. La potenza seduttiva di questa immagine suscita in Medardus un dilacerante anelito di amore/morte: egli vorrebbe possedere Aurelie in quanto proiezione della santa, per poi ucciderla consacrando al demonio la sua anima.
Il finale rivela la predestinazione di Medardus ad espiare e redimere una colpa dei suoi avi, la cui parentela si intreccia a quella di Aurelie attraverso incesti e unioni degeneri; ma la decisione finale spetta solo al monaco, che in atmosfera onirica e surreale deve continuamente fare i conti con il suo lato oscuro, quel Doppelgänger scatenato dagli elisir che emerge come un’apparizione demoniaca.
Con questo romanzo Hoffmann distrugge l’archetipo umano prevalente nell’immaginario post-illuminista della sua epoca. Medardus è un Io privo di un centro preciso, simbolo di un’umanità dall’identità indefinita.
Lo sdoppiamento della coscienza e le continue trasformazioni fisiche e di personalità di Medardus, che riveste i panni di svariati personaggi in una complessa molteplicità di nuclei psichici, sono espressione di quel Romanticismo al suo tramontare che andava scoprendo sotto la fittizia unità dell’individuo non soltanto una dialettica freudiana di conscio e inconscio, ma un vero e proprio arcipelago dell’Io in continua mutazione.
Lo sdoppiamento e la frammentazione dell’identità si configurano in modo del tutto nuovo nel secolo XXI. L’avvento di Internet e dei Social Network consente a chiunque di crearsi un’identità alternativa, virtuale, che, oltre a configurarsi come identità “pubblica”, permette di filtrare tutte le informazioni riguardanti il soggetto e di selezionare solo quello che si vuole rappresentare agli occhi degli altri. Il doppio virtuale è insomma un doppio “ripulito”, deontologico, mentre ciò che è socialmente meno accettabile o inaccettabile rimane circoscritto al campo del reale. La tecnologia Mobile inoltre consente di essere costantemente online e di far vivere il nostro alter–ego virtuale in modo continuo e parallelo alla nostra vita quotidiana, condividendo con gli altri in tempo reale, anche attraverso immagini, quello che ci accade.
In modo analogo ma opposto la creazione di un doppio virtuale può essere funzionale alla manifestazione di desideri e pulsioni socialmente inconfessabili; al profilo ufficiale si sostituisce quindi un’identità fittizia attraverso la quale si rende possibile l’appagamento spesso solo virtuale degli istinti. A volte profilo ufficiale e identità virtuale fittizia coesistono proprio come nella realtà convivono personalità pubblica e lato oscuro dell’individuo.
Vi sono casi in cui l’individuo si crea identità virtuali multiple, rappresentanti ciascuna uno o più aspetti della propria personalità. Questo arcipelago virtuale di identità diventa quindi una mappa attraverso cui leggere e cercare di dare un senso alla frammentazione dell’identità di un individuo, che non riuscendo a trovare una coesione tra i propri differenti aspetti sente la necessità di rappresentarli separatamente, a seconda del target a cui si rivolge, proprio come un Pirandello post-moderno.
Fonte: http://blackbooks.altervista.org/gli-elisir-del-diavolo-e-il-tema-del-doppelganger/
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