Il mito dei Dioscuri nella cultura
Come è noto, i Dioscuri, ossia Castore e Polluce, sono due personaggi della mitologia greca, entrati poi nell’immaginario anche della civiltà etrusca e di quella romana. I due giovani sono conosciuti anche con le denominazioni di “Càstori”, “Gemini” e “Tindaridi”, anche se il loro appellativo più usato è rimasto nel tempo quello di “Diòscuri” che, dal punto di vista etimologico, significa figli di Zeus. Non tutti i racconti mitologici che riguardano i due fratelli, tuttavia, concordano sulla loro paternità divina, in quanto alcune testimonianze li riportano come figli Tindaro, mentre le narrazioni sono abbastanza unanimi nell’attribuire la maternità a Leda. Vi sono anche versioni secondo le quali Zeus sarebbe stato il padre di Polluce e Tindaro di Castore..
Nella versione più conosciuta del mito, Leda partorì due coppie di uova, dopo che il padre degli dèi l’ebbe fecondata nelle sembianze di cigno. Da una delle due coppie sarebbero nati appunto Castore e Polluce, mentre dall’altra le sorelle Elena e Clitemnestra. A memoria delle proprie origini, infatti, i due fratelli furono raffigurati con un copricapo a forma di uovo. Nell’ambito letterario ellenico, Castore e Polluce furono annoverati tra gli Argonauti, impegnati nel viaggio verso la Colchide alla ricerca del vello d’oro e del cinghiale calidonio. Ma ciascuno dei due fratelli aveva una dote particolare: Castore era un formidabile domatore di cavalli, mentre Polluce brillava nei conflitti pugilistici. Tra le sue più importanti imprese, si ricorda il memorabile incontro di pugilato con il forte re dei Bebrici, Amico. I due fratelli insieme furono protagonisti di eroiche gesta, come la fondazione della città eponima “Dioscuria”, situata nella Colchide, e la distruzione della città di Iolco, insieme a Giasone e a Peleo, per punire il tradimento del re Pelia. Nella vicenda dei Dioscuri entrò in gioco anche la famosa Elena, così contesa nella guerra di Troia, quando i due fratelli invasero l’Attica per salvarla dalle mani di Teseo e per ritorsione rapirono Etra che condussero a Sparta, dove la fecero diventare schiava della stessa Elena. Risulta chiaro come sia facile leggere in questa trasfigurazione mitologica, i riferimenti al secolare conflitto tra Atene e Sparta. Di grande rilevanza simbolica sono le narrazioni che riguardano la morte di Castore e Polluce, che presentano diversi filoni interpretativi. Secondo il racconto di Apollodoro, i Dioscuri avrebbero razziato del bestiame accordandosi con i fratelli Idas e Linceo. Tuttavia, ad impresa compiuta, insorse una grave lite al momento della spartizione del bottino, a causa di uno stratagemma poco trasparente utilizzato da Idas. Per questo, Castore e Polluce attaccarono la città di Messene, tendendo un’imboscata ai perfidi compari. Nello scontro Castore fu ucciso per mano di Idas, ma Polluce li inseguì per vendicare il fratello, trafiggendo Linceo con la sua lancia. Questi, però, nell’atto di cadere lo avrebbe colpito con un masso uccidendolo. Questa versione è interessante, perchè accordandosi con la tradizione che ricorda il solo Polluce come figlio di Zeus, riporta l’evento finale della vendetta del dio che, per completare il quadro di morte già drammatico, avrebbe giustiziato Idas con un fulmine. La narrazione di Igino e di Teocrito, invece, è incentrata sul matrimonio che i Dioscuri avrebbero contratto con le due sorelle Febe ed Ileria, su disposizione del loro padre Leucippo, blandito dai generosi doni offerti da Castore e Polluce. Si dà il caso che l’avido Leucippo avesse già promesso in moglie le due fanciulle ai soliti antagonisti, Idas e Linceo che, appresa la violazione del patto di nozze, non esitarono a marciare verso Sparta per farsi giustizia. Il prosieguo è un tipico resoconto della religiosità ellenica in tema di defunti. Castore avrebbe ucciso Linceo, rifiutando ad Idas la possibilità di seppellire la vittima, onoranza alla quale i Greci ci tenevano tantissimo, per assicurare al defunto un regolare trapasso dalla dimensione mortale a quella immortale. Il fratello deluso, perciò, colpì mortalmente Castore alla coscia, ma fu, a sua volta ucciso da Polluce. E’ molto poetica una delle varianti di quest’ultima versione, secondo la quale Polluce avrebbe implorato di rendere immortale anche il fratello Castore, riuscendo ad ottenere che potessero vivere, a fasi alternate, un giorno nell’Olimpo, simbolo della luce, ed un giorno nell’Ade, simbolo dell’oscurità. Il grande Euripide innestò l’interpretazione astrologica ed astronomica, peraltro in sintonia con il fenomeno della precessione degli Equinozi, per la quale il magnanimo Zeus, commosso dal dolore di Polluce, avrebbe permesso che i due fratelli vivessero sempre insieme ed inseparabili nel Cielo nella forma della costellazione dei Gemelli, rappresentando le due facce della stessa medaglia: la mortalità e l’immortalità.
Il culto dei Dioscuri si diffuse soprattutto fra i naviganti, poichè secondo la leggenda Poseidone avrebbe affidato loro il potere di dominare il vento ed i flutti del mare. Dalla Grecia continentale, in particolare nell’area spartana, il mito dei due fratelli fu portato nell’Italia meridionale, nel territorio geografico-culturale che i Romani chiameranno “Magna Graecia”. Nel V secolo a.C. la venerazione dei Dioscuri iniziò a diffondersi in area latina, diventando parte integrante della religiosità della “Res publica” romana e ricordati maggiormente con il loro appellativo di “Càstori”. A Roma il tempio dedicato ai Dioscuri era situato all’interno del Foro, non lontano dal tempio di Vesta. L’edificio sacro sarebbe stato edificato per volontà del dittatore Aulo Postumio nel 495 a.C. durante la battaglia del lago Regillo, quando Tarquinio il Superbo cercò di riprendere il controllo di Roma da cui era stato scacciato. La credenza popolare attribuì la vittoria miracolosa, in uno scontro iniziato in maniera sfavorevole, all’apparizione dei Dioscuri che avrebbero guidato l’esercito romano contro i nemici. Lo storico Tito Livio racconta che, nel momento più drammatico della battaglia, Aulo Postumio fece voto di erigere un tempio ai due fratelli nel caso avesse conseguito una ormai insperata vittoria. In epoca repubblicana fu fissata anche una data annuale per onorare i Dioscuri, il 15 luglio, quando un gran numero di “equites” (cavalieri) sfilava per le strade dell’Urbe, in una forma simile ad una moderna parata militare. L’immagine di Castore e Polluce fu anche rappresentata nel Circo Massimo, in segno di protezione degli atleti ed anche perchè le uova, uno dei simboli principali a loro associati, erano usate come contagiri nelle varie esercitazioni. Gli studiosi ritengono che a Roma vi fosse anche un altro tempio dedicato ai Dioscuri nella zona del Circo Flaminio.
I Dioscuri furono presenti anche nella cultura etrusca con i nomi di Kastur e Pultuce, considerati come i figli di Tinia, cioè la controparte italica di Zeus. Anche gli Etruschi raffiguravano i due fratelli in maniera simbolica, come testimoniano alcuni dipinti ritrovati nelle tombe. In particolare, si ricordano i dipinti della “Tomba del Triclinio” nell’acropoli di Tarquinia, in cui i due fratelli sono immaginati con un copricapo a forma di pileo a punta e coronati di alloro, alla maniera dei berretti usati dai Frigi.
Nel periodo medioevale, quando la Chiesa sostituì le decadute istituzioni politiche dell’impero romano d’occidente, il culto dei Dioscuri continuò a sopravvivere nella tradizione popolare, al punto che le immagini di Castore e Polluce furono riprodotte nelle ceramiche e nelle sculture, soprattutto in area nord-africana, accanto ai Dodici Apostoli, con alcuni santi o perfino nelle rappresentazioni della resurrezione di Lazzaro, come simbolo di immortalità. Per ovviare a questa credenza popolare pagana, papa Gelasio nel V secolo con acume strategico sancì la definitiva assimilazione del culto dei Dioscuri nella dottrina cristiana, sostituendoli con coppie di santi di diversa provenienza (vedansi i santi Pietro e Paolo, non a caso patroni dei viaggi ed i santi Cosma e Damiano, a tutela dei medici).
La presenza dei “Gemelli” è attestata in altre culture di origine indoeuropea, in segno di un archetipo evolutivo nato da un unico ceppo. Lo stesso Tacito, uno dei padri della storiografia moderna, associa i Dioscuri agli “Alcis”, considerati altrettanto divini nella mitologia germanica. Nella cultura antica baltica si attesta la presenza di Autrympus e di Potrympus, corrispondenti rispettivamente a Castore e a Polluce e, andando molto più lontano, nella penisola indiana troviamo gli Ashvin, menzionati nel libro sacro dei Veda, esplicitamente collegati alla costellazione dei Gemelli.
Ed il mito dei Dioscuri lo possiamo considerare, in maniera figurata, nato proprio sotto il segno zodiacale dei Gemelli. La lettura psicologica di questo simbolo è di grande importanza, portando in sè un principio dualistico decisamente accentuato. I gemelli, come Castore e Polluce, solo in apparenza potrebbero essere scambiati l’uno con l’altro, ma in realtà ciascuno dei due conserva la propria individualità, tanto da risultare profondamente diversi. Inseparabili nella vita, è, tuttavia, nel momento della morte di Castore che emerge l’impossibilità della loro definitiva separazione, come espressione tangibile del più puro amore fraterno, ma anche come simbolo dell’indivisibilità tra corpo e anima, materia e spirito, entrambe indispensabili affinchè le potenzialità umane possano raggiungere il loro massimo livello.
Se alziamo lo sguardo verso lo spazio siderale, notiamo che la costellazione dei Gemelli non è difficile da rintracciare, grazie alla coppia di stelle brillanti, che appunto sono associate a Castore e a Polluce, mentre le altre stelle sono più deboli, presentandosi allineate su due tratti paralleli che disegnano i margini di una figura quasi geometrica simile ad un rettangolo. Ricondotto alla simbologia astrologica, il mito dei Dioscuri abbraccia i continui cambiamenti dell’essere umano che oscilla di continuo tra i richiami dell’istinto e le aspirazioni dell’intelletto, nonchè i significati della dualità contrapposta tra Ade ed Olimpo, vita e morte, luce ed oscurità. Il mortale Castore rappresenta la materia, mentre il divino Polluce si identifica con lo spirito. E non può sfuggire come il segno dei Gemelli sia successivo a quello dell’Ariete, associato al principio maschile, ed a quello del Toro, legato, invece, al principio femminile. Sotto questo profilo, deve essere letto lo stesso significato etimologico del termine “gemelli” (gemini in latino) affine al greco “gamos”, traducibile in italiano con la parola “unione”, o in maniera più traslata “matrimonio”. In questa breve rassegna sul valore emblematico del mito dei Dioscuri, è anche giusto ricordare come gli alchimisti, nell’ambito delle loro operazioni ermetiche mercuriali, procedessero ad unire come “fratello” e “sorella” quegli elementi opposti indicati come contenitori del “lapis” detta anche “pietra filosofale”.
Nella vicenda dei Dioscuri assume un’importanza fondamentale anche la simbologia dell’uovo, dal quale i due fratelli nascono. Se ci soffermiamo a pensare alla nostra alimentazione quotidiana, salta subito alla mente come le uova siano importanti, soprattutto come fonte di proteine alternativa alle carne. Il significato simbolico dell’uovo è saldamente radicato in tutte le culture del mondo ed in tutte le epoche. Basti pensare a concetti così sincretici e significativi come l’uovo cosmico, chiamato anche “uovo del mondo”, diffusi presso tutte le civiltà antiche e che poi hanno trovato una certa corrispondenza semantica nella teoria scientifica del “Bing Bang” che descriverebbe l’origine dell’universo. L’uovo è stato da sempre rappresentato nelle raffigurazioni artistiche, come simbolo di fecondità e di immortalità. Nell’arte sacra cristiana si trovano statue della Madonna con l’uovo fra le mani, fino ad arrivare al sincretismo emblematico sintetizzato nell’icona dell’uovo pasquale, come segno tangibile della presenza divina. In ambito alchemico, l’uovo era considerato il contenitore di quel tipo di trasformazione da materia grezza ad oro filosofale, denominata “Grande Opera”. L’idea dell’uovo, come origine del cosmo, è anche fondamentale per lo sviluppo ideale della cosmogonia dei Misteri Orfici. Seguendo una tradizione tramandata da Damascio, prima della nascita del cosmo, esistevano tre forze primordiali: Chronos, il Tempo, Aither (l’Aria), il Soffio Vitale e Chaos (il Caos). La creazione dell’universo avrebbe avuto inizio quanto Chronos formò all’interno dell’Aria un uovo, dal quale si formò Phanes, ossia la Luce. Lo stesso Phanes si sarebbe accoppiata poi con la Notte, dando origine al Cielo e alla Terra. E’ evidente di come si possa trattare di una descrizione paradigmatica di un fenomeno che tanti secoli dopo, come detto in precedenza, sarebbe stato chiamato comunemente “Bing Bang”. E non è detto che nel futuro la scienza non ci riservi ancora molte sorprese, avvicinandoci alle conoscenze degli antichi soltanto in apparenza ingenue e primitive. Per questo, Castore e Polluce, simboli dell’unione inseparabile tra la vita e la morte, non potevano che nascere da un uovo, per ben incarnare il ciclo dell’esistenza e della continua rigenerazione.
A memoria del mito dei Dioscuri, a Sparta presso il tempio chiamato “delle Leucippidi”, si rendeva un culto di venerazione al guscio spezzato di un uovo gigante, appeso con un filo sulla volta. Ed allora ai fedeli presenti, in una trasfigurazione quasi onirica, sembrava che Leda si unisse di nuovo con Zeus nelle sembianze del divino cigno: il mondo poteva rigenerarsi nel suo perpetuo susseguirsi di vita e di morte.
Non a caso l’uovo stesso è stato di frequente associato al serpente, un altro emblema esoterico per eccellenza, come nella raffigurazione del simbolo del caduceo, dove i serpenti attorcigliati sembrano formare uova di dimensioni crescenti dal basso verso l’alto. Ed il disegno dell’Ouroboros, il serpente divino che si morde la coda, senza nè un inizio e nemmeno una fine, non evoca forse l’immagine di un uovo?
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