Gesù allora si voltò e vedendo che lo seguivano disse: Che cercate?
Gli risposero: Rabbi dove abiti?
Disse loro: Venite e vedete. (Giovanni 1,38-39)
I suoi discepoli Gli chiesero: Dicci in che luogo Tu sei perché è necessario che noi lo cerchiamo. Egli rispose loro: Chi ha orecchie, intenda.
La Luce sta nell’Essere Luminoso. E irraggia l’intero cosmo. Il NON illuminarsi è il Male. (Vangelo di Tommaso versetto 24)
Se salgo in cielo, là tu sei. Se scendo negli inferi, eccoti. (Salmo 138)
Potremmo assumere le parole del Cristo come Archetipo dell’iter iniziatico, il cammino per eccellenza. Non un vagabondare ma un pellegrinaggio che è un anelare per arrivare a vedere. Se il Profano, o il Sudra (a scanso di equivoci, chi di noi non è un Sudra di fronte all’Infinto Spazio ed all’Infinite Stelle?), girovaga lungo la circonferenza, un Iniziato va verso il Centro, seguendo il raggio della ruota:
“Esattamente come un uomo che ascende gradatamente la montagna è perso di vista dai suoi amici nella valle, è così che l’adepto deve sembrare. Essi diranno: Si è perso nelle nubi, ma lui invece gioirà nella luce del sole sopra di esse e giungerà nelle nevi eterne (Liber Porta Lucis 15).
Immagine 1: Il SUDRA
Ma al di là dei facili fraintendimenti o dei comuni stereotipi un Iniziato è un REALISTA per eccellenza. Un realismo che sempre si sposa con la spiritualità più vera, virile e solare. Come potrebbe essere diversamente se l’Iniziato è colui che cerca la Realtà per Eccellenza?
“Venite e vedete” è l’invito. Invitati perennemente a vedere, non a credere. Accettare questo invito significa mettersi in cammino verso una progressiva trasmutazione. Incarnare, progressivamente lo Spirito, fino a divenire Sua Icona. Via via riassumendo in se quel senso d’eternità così estraneo all’uomo “comune”.
Immagine 2: Venite e Vedrete
Il cammino iniziatico come viaggio nelle profondità si sé, tramite sé stessi, verso il Sé. Un viaggio che è un paradosso costante: cerchiamo di liberarci dal sé, tramite noi stessi, per noi stessi. Un progressivo passaggio verso la Gnosi. Passaggio che altro non è che una celebrazione di una Pasqua (che appunto significa passaggio) di luce. Ma questa pasqua/passaggio significa anche “patire/soffrire” (“L’empietà all’empio, al credente la fede; ma per petto di Attar basti un atomo di dolorosa passione per Te.”).
In realtà ogni autentico passaggio di stato comporta sempre un patimento, una morte. Dalla morte alla vita. Un cammino progressivo che significa anche denudarsi di tutto quello che non è per poter essere realmente.
Condizione ultima che nulla ha che la limita alla dimensione puramente umana. Tutto quanto è identificabile con io e mio verrà trasceso, riconosciuto come transeunte ed illusorio. Tutto questo viene intuito, e diviene necessario trampolino di lancio, una “retta visione” per dirla in termini buddisti. Si può essere consci soltanto del riflesso (nei termini di Ruach) dell’intuizione Neschamica (A.Crowley commento al verso 1 cap.5 del Liber Cordis Cincti Serpente).
“Finché un uomo pensa a sé stesso come ad un essere piuttosto che ad una energia, egli attribuisce a sé stesso non la stabilità (come suppone il profano), ma la stasi, che è morte.” (A. Crowley commento al vr.2 cap. 5 L.C.C.S. edizioni O.T.O. italiano).
Il cammino iniziatico da subito punta al vertice dell’esperienza, come il guardare la cima della montagna che ci si appresta a scalare. La cima può essere nascosta dalle nubi, ma ne intuisco la presenza, l’incombere su tutto il percorso. L’esperienza dell’Eternità in noi, è intuita, come uno scopo remoto, una aspirazione fino a divenire, per pochi, Conoscenza, realizzazione nell’infrangersi dei limiti della condizione umana. Ma ogni realizzazione dell’Universale conserva il “sapore” dell’individualità dove questa esperienza è sbocciata, come il fiore è frutto della terra in cui è nata la pianta.
- Risvegliati, dunque, tu che dormi!
- Ricevi la luce divina che è la tua luce e che sta tornando a te!
- Ricevi questa fiamma ardente che ti permetterà di vincere la potenza delle tenebre rivestendoti del suo calore e della sua luminosità abbagliante.
Il progressivo procedere fa di sé la formula di equilibrio universale. Tutto viene riorganizzato in funzione del cerchio magico che traccio intorno a me. Attraverso questo lento e progressivo rovesciamento di prospettiva, tutto ci appare in una luce nuova, l’interiore e l’esteriore diventano aspetti interconnessi e in fondo dipendenti entrambi dalla nostra coscienza-anima, che muta si alimenta, cambia, trasfigurata, trasfigura. Se il profano si perde nei meandri della circonferenza che lo imprigiona, l’iniziato, il mago, si pone al centro del suo universo, e con gli strumenti egli ricrea, come Dio, il proprio universo, dove realizza: “Sii tu Hadit, mio centro segreto, il mio cuore e la mia lingua.” Liber Legis 1,6.
“Io sono sopra di voi ed in voi. La mia estasi è nella vostra. La mia gioia è vedere la vostra gioia.” L’iniziato se non realizza immediatamente, intuisce, che egli è il nodo centrale di quella circonferenza infinita che lo abbraccia e che lui riflette.
Il paradosso sempre accompagna questo cammino, a differenza dal facile credere in una “condensazione” maggiore dell’ego, la vera opera è quella di una progressiva spersonalizzazione che rende universale la nostra individualità. E’ il naufragio di Ain Soph in Malkuth. Opera che richiede maschera e mantello, la yod e la tau.
Immagine 3: La Yod
Immagine 4: La Tau
La yod ha valore 10 “il numero del pensiero umano e divino”, come lo definisce A. Moscato. Simboleggia il seme divino depositato nel cuore della creazione (o sarebbe meglio dire nell’utero…?) sin dall’inizio. Emerge quando impariamo a spersonalizzare noi stessi. La lettera YOD rappresenta la Creazione ed il metafisico, l’essenza delle cose sta nel piccolo, che è privo di zavorre quali spazio, tempo o materia. Questo implica che la grandezza si raggiunge con l’umiltà (Maharal). La YOD è la prima lettera nel Tetragramma h-w-h-y. Il popolo ebraico ha quattro nomi, che iniziano tutti con YOD: YAAKOV, ISRAEL, YEHUDA’ e YESHURUN. Ciò indica che, sebbene questa nazione sia perseguitata e dispersa nel mondo, essa non smette mai la propria missione, che è quella di santificare il Nome di Dio sulla terra.
Il sistema numerico dell’alfabeto ha natura decimale; le lettere dalla ALEF alla TET rappresentano le unità da uno a nove. Le prossime dieci lettere, da YOD a TZADIK, rappresentano le decine, le ultime quattro, da KUF a TAU, i primi quattro multipli interi di cento. I numeri dieci e cento possono essere visti come membri di due diversi gruppi, cioè il dieci è l’ultimo delle unità ed il primo delle decine. Ecco perché a MEA (cento) ed ELEF (mille) sono stati dati nomi diversi, cioè per indicarle come unità di base. La parola Yod può essere letta come YAD (mano), e denota potere e possesso. Figurativamente, una mano chiusa denota possesso – come in “e porterai il denaro con le tue mani” (Deuteronomio 14:25) e in “apri la tua mano al tuo fratello povero” (Deuteronomio 15:11). Per questo il neonato ha le mani chiuse alla nascita, come a dire: “il mondo intero è mio”; quando si muore, invece, le mani sono aperte, ad indicare che non ci si porta dietro niente di fisico da questo mondo (Mechiltà, Esodo 17).
Per preparare il ruolo, così importante nella storia dell’uomo, di Abramo, al suo nome originario AVRAM, fu aggiunta una HE, formando così una parola che significa “padre delle nazioni”. Ed a sua moglie Sarai, fu sostituita la YOD con una HE, per diventare Sarah. La YOD, il cui valore è dieci, è stata divisa in due HE, ognuna delle quali vale cinque, una fu data ad Abramo, e l’altra restituita a Sarah, madre dell’umanità (Berachot 13a). Possiede in sé l’intero Nome Divino e partecipa di questo ogni Nome. In origine la yod rappresentava un braccio alzato con la mano aperta, a simboleggiare che siamo noi con la nostra opera a renderci divini. Lavoro lungo, come lo stesso cammino. Gesto che ci ricorda il gesto del Dio Egiziano della Fertilità Min, che ne sottolinea la forza creativa, essendo divinità itifallica.
Immagine 5: Il Dio MIN
In questo lungo processo siamo come Giobbe, coscienti che Dio ci sta plasmando (“interpretare ogni fenomeno come un modo particolare con cui Dio tratta la tua anima” dal rituale di Maestro del Tempio della Golden Dawn, riportato da A.Crowley in Magik pg.103), affinché il nostro nome riverberi il Suo.
La yod è l’origine e la fine di ogni uomo. La yod, la Maschera, ci invita a prendere atto di questa consapevolezza. Il seme d’oro è lì fin dall’inizio. Con questa coscienza l’ego stesso è redento, manifestando i misteri della yod. Il suo Nome è il vero nome di ogni uomo. Non a caso la parola yalad (partorire, generare) incomincia con la yod. Superare lo steccato della HE (ultima lettera del Tetragramma Sacro, simboleggiante la figlia) ci porta alla yod = HY = hay = vita. (Da notare anche, che essendo la HE l’ultima lettera del Nome divino, sembra quasi che quanto nasca da Yod e via via con le altre lettere trova compimento nella He, che significa “finestra”. L’irruzione nel mondo fenomenico è il destino della Yod, quasi che in questo di trovi e si “realizzi”. O per dirla con altre parole: “Dio è la vocazione dell’uomo. Ma l’Uomo è la vocazione di Dio”. Il valore numerico della He è 5. La lettera HE rappresenta divinità, distinzione, specificità.
Immagine 6: La lettera HE
Il profeta Isaia disse: con YAH, il Nome è la Roccia dell’universo (Isaia 26:4). I Saggi interpretano la parola TZUR (roccia) come derivante da YETZER (formare). In accordo a ciò, il Talmud spiega che Dio usò le lettere YOD ed HE, lettere che formano il Nome Divino YAH, per creare l’universo. Con la lettera YOD Egli creò il Mondo a Venire, mentre con la lettera HE creò Questo Mondo (Menachot 29b). Maharal osserva che la lettera HE è formata da una DALET ed una YOD. La DALET rappresenta il mondo fisico, che si misura nella sua espansione in larghezza e altezza, mentre la YOD denota spiritualità ovvero il Mondo a Venire. Quindi la HE ci insegna di riempire le nostre vite combinando il fisico con lo spirituale.
La HE denota Creazione in “Tali sono le origini del cielo e della terra quando furono creati” (Genesi 2:4). La parola MEHIBARAM (quando furono creati), può essere divisa in due: BEH’ BARAM (Egli le creò) con la lettera He Egli le creò (Otiot Rabbi Akiva). Abramo fu la prima persona a percepire che la natura è soggetta alla volontà di un Essere Superiore. Al suo nome originario AVRAM fu aggiunta una lettera, la HE, appunto, e fu chiamato AVRAHAM. Questo nome è un riordinamento della parola BEHIBARAM. La lettera HE ha un suono morbido, ed indica la forma femminile di un nome, come YELED (bimbo), che diventa YALDA’ (bimba). La Torah usa questa lettera per illustrare le caratteristiche distinte di una donna: femminilità, gentilezza. Poi Dio disse ad Abramo: ” Sarai tua moglie non chiamarla più Sarai; il suo nome sia Sarah (Genesi 17:15). Prima di questo passo Sarai era sterile; dopo questo passo Sarah diventò fertile e concepì Isacco. La nuova lettera HE posta alla fine del nome di Sarah implicò una maggiore femminilità e la possibilità di concepire un figlio. (Yalkut Hamelitzos). La trasformazione del nome SARAI (mia principessa) in SARAH (principessa) indica un ruolo più elevato. Da quel giorno non era più solo la moglie di Abramo, ma divenne la Matriarca (principessa) di tutto il mondo. (Berachot 13a).
Il prefisso HA (il, lo, la, le, gli, i), attaccato ad un nome diventa un articolo determinativo, cioè identifica un membro ben noto di una classe. Fu sera e fu mattino il sesto giorno (Genesi 1:31). L’articolo è usato solo al sesto giorno della Creazione, cioè vi è un significato per questo giorno diverso che per gli altri giorni: il sesto giorno ha un ruolo diverso. Ed infatti i Dieci Comandamenti furono dati il sesto giorno del mese di Nissan. Nella sua duplice manifestazione, insita nella maschera (mi nasconde e al tempo stesso mi dà un nuovo volto, mi fa guardare, e guardato dall’esterno mi cela all’interno), la yod-maschera è Heru-Ra- Ha, il Signore del doppio Orizzonte. Divinità duplice che si estrinseca in Ra-Hoor-Khuit e si cela in Hoor-Paar-Kraat, il dio del Silenzio (notate come se la mano del dio Min è aperta in quanto crea il “gesto-mudra” di HPK è l’indice posto sulle labbra, a mano chiusa)” per mezzo di questa Maschera la tua personalità scompare”. La maschera ci fa partecipare a ciò che ci supera.
Il Mantello legato alla lettera Tau implica molti significati di cui la stessa lettera è portatrice, rappresenta verità e perfezione. Lo sprofondare nella propria interiorità è simboleggiato proprio dal mantello, che diviene una necessità per lo stesso iniziato. Ritroviamo tutto questo nella carta dei tarocchi detta “l’Eremita” a cui A. Crowley attribuisce la lettera Tau.
Immagine 7: L’EREMITA di Aleister Crowley
In un unico simbolo, il Tau, ritroviamo la maschera (yod) e il mantello che ricopre l’eremita, figura che bene esprime il senso del cammino. Le lettere SHIN e TAV o TAU sono vicine nell’alfabeto, nonostante esprimano concetti opposti: SHIN sta per SHEKER (falso) e TAU o TAV sta per EMET (verità). (Shabbat 104a) Contrariamente a molti altri casi, in cui è la prima lettera del nome a dare il significato, nel caso di EMET (verità), l’ultima lettera, TAU lega il nome al significato. Questo allude alla natura della verità: anche se all’inizio essa pare essere meno attraente della falsità, alla fin fine la verità prevale. La verità è eterna, ma quando le viene tolta la ALEF, che è il più piccolo valore di EMET (verità), allora rimane la MET (morte). (Maharal). Tutte le lettere della parola EMET (verità) poggiano su basi solide, mentre le lettere della parola SHEKER (falso) – nella Torà scritta – poggiano su un punto solo, risultando così molto instabili. L’idea espressa è che SHEKER EN LA RAGLAIM (le bugie non hanno gambe) (Tikunei zohar 475). Da questo probabilmente derviva il proverbio “Le bugie hanno le gambe corte”. Al serpente, prima creatura al mondo a dire le bugie, furono tolte le zampe, e fu condannato a strisciare. (Rashi, Beresht 3:14)
Il Midrash racconta di una conversazione tra il Creatore e gli angeli: Prima di creare Adamo, Dio, nella Sua modestia, si consigliò con gli angeli. L’angelo chiamato HESSED (bontà) disse: “Crea l’uomo, così che possa fare buone azioni”. EMET (verità) replicò: “Non creare l’uomo, perchè egli sarà pieno di distorsioni”. TZEDEK (giustizia) disse: “Crea l’uomo, affinchè egli sia giusto”. Per ultimo, SHALOM (pace) si oppose: “L’uomo sarà pieno di conflitti”. I Salmi descrivono questo dibattito con: “bontà e verità si cozzarono, giustizia e pace si incontrarono” (Salmi 85:11). Dio decise a favore di chi appoggiava la creazione. (Rashi) Egli prese EMET (verità) e la buttò a terra (Daniel 8:12). In questo gesto le Milizie Celesti videro una degradazione della Verità. Esse dissero che l’esposizione ai mortali avrebbe messo in pericolo la Verità, e richiesero quindi nei Salmi (85:12) “la Verità germoglierà dalla terra verso il cielo”. La verità è così potente che prevarrà anche sulla terra, nonostante tutte le avversità. (Bereshit Rabbà 8:5)
L’Eremita non è rappresentato in preghiera ma proprio in cammino, con una lanterna che illumina i suoi passi (“Siate luce ai vostri passi” Buddha). Il camminare dell’eremita unisce sia l’azione che la meditazione. Lì è autenticamente sé stesso, diviene sintesi e cuore della ricerca. Proprio come il Martinista (definito “monaco combattente”) così l’eremita ne è il simbolo del contemplativo nel mondo. La maschera come il mantello rappresentano l’occultarsi dell’iniziato dinanzi al mondo profano. Non che vi sia separazione tra mondo profano e mondo iniziatico, ma è l’iniziato che si nasconde nella torre interiore, ivi si ritempra e, nella assoluta inattaccabilità, trae le armi invincibili della vittoria. Allora e solo allora l’iniziato potrà gridare: chi tra i forti è simile a Te, Signore?”
Nel mondo non si può non indossare la Maschera e il Mantello, proprio perché il reale volto dell’iniziato (se tale è) è come un novello Mosè che scende dal monte di Dio, non è guardabile. Il volto dell’Iniziato, che ora è Adepto, rimanda al Volto di Dio, all’Altrove che trasfigura il qui ed ora. Cosa può dire di sé un iniziato, a chi dire, e con quali parole?
È un cammino di estrema solitudine, dove anche i fratelli non possono camminare al tuo posto. Quanto si costruisce lo si fa con le proprie mani, memore di quanto può aver detto e dato il Maestro, che ai più fortunati può avere un volto umano, con un nome. L’iniziato cammina e ascolta, contempla e agisce perché ha un “cuore che ascolta”, come Salomone che chiese a Dio il dono di un “cuore che ascolta”. Qui c’è tutta la tensione iniziatica. Il cuore in arabo “Qalb” ha le stesse consonanti di “Qibla” il punto in cui si rivolge il fedele nella preghiera.
Basterebbe questo per comprendere come il cammino iniziatico è un riorientare l’intero nostro essere verso quel centro da cui traiamo senso, vita, luce. Un cammino che deve essere realizzato e ricreato da ogni iniziato.
Fonti:
- Aleister Crowley: Magik – Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma 1976
- Aleister Crowley: Il libro della Legge (Liber Legis)
- Aleister Crowley: Trattato di Astrologia Magica
- Michael Laitman: Zohar – La luce della Kabbalah
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