
Un’emergenza ambientale che l’accordo internazionale ha saputo risolvere. Ecco come andò e cosa si può imparare
Vent’anni fa, nel 1987, gli scienziati lanciarono un allarme al mondo intero. Lo strato di ozono che scherma la Terra dalle radiazioni “ultraviolette”, nocive per gli organismi viventi al punto tale da poter provocare nell’uomo eritemi e nei casi più gravi anche tumori della pelle, si stava assottigliando pericolosamente. In alcuni punti, in corrispondenza delle zone polari, era praticamente scomparso: per questo si cominciò a parlare di “buco dell’ozono “.
Ecco un video in cui Paul Newman (non l’attore, bensì un chimico della Nasa), presenta (in inglese) il problema:
La comunità internazionale corse ai ripari elaborando il Protocollo di Montreal : il trattato, firmato il 16 settembre 1987 ed entrato in vigore nel 1989, prevedeva la messa al bando dei clorofluorocarburi (CFC), considerati responsabili dei danni allo strato di ozono, e quindi il divieto di continuare a produrre frigoriferi, condizionatori di automobili, materiali schiumosi e tutti gli altri oggetti contenenti questi famigerati gas.
Oggi, a vent’anni di distanza, Guido Di Donfrancesco, ricercatore dell’Enea (Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente) fa il punto della situazione con Panorama.it.
“Negli anni Settanta-Ottanta nessuno pensava che i CFC facessero male al pianeta, poiché essi erano inerti, cioè innocui, nella troposfera, la fascia dell’atmosfera più vicina alla superficie terrestre”, spiega Di Donfrancesco: “Ma non sapevamo che invece, una volta saliti nella stratosfera, questi CFC reagivano con l’ozono. In prossimità del Polo Nord e del Polo Sud avvenivano delle reazioni catalitiche, agevolate dalle nubi stratosferiche polari (vedi foto nella Gallery), in cui i CFC si degradavano creando composti che distruggevano lo strato d’ozono”.
Quando gli scienziati se ne accorsero, ormai il danno era fatto: “In alcuni punti dell’Artide e dell’Antartide, in particolari periodi dell’anno, vi erano milioni di chilometri quadrati di atmosfera completamente privi di ozono; inoltre, si era verificata una diminuzione globale della percentuale di ozono in tutta l’atmosfera, anche alle medie latitudini”.
L’allarme impose una cooperazione internazionale: “Si può considerare il Protocollo di Montreal come il primo grande accordo per la salvaguardia dell’atmosfera del pianeta” dice Di Donfrancesco: “Da quel momento la produzione dei CFC dannosi per l’ozono si è quasi fermata, anche se naturalmente rimangono da smaltire quelli prodotti prima del 1989. Per esempio, nei prossimi decenni continueranno purtroppo ad essere immessi nell’atmosfera CFC provenienti dai materiali schiumosi prodotti in questi ultimi vent’anni”.
I risultati però sono globalmente incoraggianti: “Entro il 2060 la fascia di ozono dovrebbe essere completamente recuperata” conclude il ricercatore: “Ormai tutti i frigoriferi e i condizionatori sono alimentati con “gas verdi”, CFC “rielaborati” in modo da essere inattivi alle reazioni con l’ozono”.
Una grande vittoria anche per il fronte ecologista: “Abbiamo dimostrato che non è vero che l’ambiente è nemico del progresso”, dice Andrea Poggio, vicedirettore di Legambiente : “Sembrava una sfida quasi impossibile: risolvere il problema del buco dell’ozono coinvolgendo e responsabilizzando tutti, governi e grandi imprese. Eppure, salvo rare eccezioni di Paesi in cui ancora si viola il trattato, ce l’abbiamo fatta: la battaglia è stata vinta. Noi pensiamo che questa sia stata la “prova generale”: adesso la grande battaglia che bisogna affrontare è quella contro l’emissione dei gas climalteranti, cioè quelli che provocano mutamenti climatici come il surriscaldamento della Terra”.
Una sfida raccolta anche dall’ex vicepresidente americano Al Gore nel libro Una scomoda verità – Come salvare la terra dal riscaldamento globale (Rizzoli ): tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica ad “agire per salvare la Terra dai surriscaldamenti climatici”.
Fonte:
http://archivio.panorama.it
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