Come se non bastassero gli animali conosciuti e quelli ancora sconosciuti che si stanno via via scoprendo, l’Uomo sente il bisogno di inventarne di nuovi. E non è un bisogno recente: fin dall’antichità, infatti, il panorama delle bestie fantastiche è quanto mai vasto.
Non sappiamo se già gli australopiteci o i pitecantropi avessero una loro zoologia fantastica; quel che sappiamo è che l’Uomo preistorico, gli animali li conosceva bene: lo testimoniano le pitture e le incisioni rupestri che, a partire da 25000-30000 anni fa, tappezzano grotte e pareti rocciose di mezzo mondo. Alcune di queste raffigurazioni sono piuttosto rozze, altre sono di una perfezione tecnica e di una modernità che lasciano sbalorditi: tutte però sono caratterizzate in genere da un notevole realismo.
Alla luce di questo, stupisce il fatto di ritrovare ogni tanto immagini assai poco realistiche; o meglio, immagini anche realistiche ma di animali “inesistenti”.
E’ il caso, ad esempio, della creatura con lunghe corna dritte e con il corpo maculato della grotta di Lascaux, una delle grotte più famose per quanto riguarda l’arte preistorica; o degli esseri simili a uomini-pesce incisi sulle pareti della grotta di Los Casares in Spagna; o, infine, di un curioso animale che sembra frutto dell’incrocio tra un ippopotamo e un coccodrillo. Peccato che l’animale raffigurato su una parete rocciosa nella zona di Sishkino in Siberia orientale, dove ippopotami e coccodrilli non sono certo di casa, né lo erano nel Mesolitico, quando l’immagine venne realizzata.
Attribuire un significato a queste raffigurazioni è ovviamente difficile, anche perché sappiamo ben poco del contesto in cui furono concepite. Si parla quindi genericamente di significati magico-religiosi per giustificare le creature fantastiche della preistoria; questo escamotage è valido ancor più quando si prendono in considerazione le più antiche civiltà dell’area mediterranea, prima fra tutte la civiltà egizia.
Si tratta di figure umane con testa di animale, ma gli animali non sono immaginari: Anubi ha la testa di un cane, Horus quella di un falco, Toth quella di un ibis, Sobek quella di coccodrillo e così via.
Unica eccezione è rappresentata da Seth, dio del disordine e del caos e uccisore di Osiride, la cui testa ha dato a lungo da pensare agli egittologi, che hanno finito per attribuirla a un “animale favoloso”. Molti zoologi, al contrario, ritengono che anche quella di Seth sia una testa “normale” e precisamente quella dell’oritteropo, una sorta di formichiere africano; l’oritteropo non viveva in Egitto, ma gli Egizi potrebbero averlo incontrato nel corso delle loro spedizioni militari e commerciali verso sud.
Gli Egizi, d’altra parte, erano poco inclini alle fantasticherie zoologiche: l’arte, per loro, era descrizione puntuale e precisa della realtà. Tant’è vero che non sono pochi gli egittologi che rifiutano il termine di “arte”: la pittura e la scultura egizie sono soprattutto storia e cronaca; non ricerca del bello, ma ricerca dell’informazione. Che poi all’informazione si associ una capacità straordinaria di trasmettere bellezza ed emozioni, è un altro discorso: all’artista egizio importava prima di tutto descrivere, con la maggior dovizia di particolari e con la maggior precisione possibile, l’oggetto del suo lavoro.
Se si escludono le curiose creature dal lungo collo e dalle fattezze feline che ornano alcuni manufatti predinastici come la “tavolozza di Narmer” o la “tavolozza dei cani”, i pochi animali “fuori dai canoni” che possiamo trovare nell’iconografia egizia hanno diritto di cittadinanza soltanto nel regno dell’Oltretomba. Il grande serpente Apopi, il grifone Sefer, il mostro Setcha e soprattutto Unemet, la cosiddetta divoratrice: una bestia ibrida (ippopotamo, leone e coccodrillo), che assiste alla psicostasia, cioè alla “pesatura” del cuore del defunto, pronta a divorarlo se quest’ultimo, gravato dai peccati, risultasse più pesante di una piuma.
Maggior dovizia di creature fantastiche ci offrono le civiltà del Vicino Oriente, prima fra tutte quella assiro-babilonese: grifoni, leoni alati, uomini-scorpione e uomini-pesce, ma soprattutto i sirrush, i primi draghi della storia, che fanno bella mostra di sé sulla celebre porta di Ishtar, edificata da Nabucodonosor. “Ho posto dei feroci rimi e dei terribili sirrush sui muri del portico e ho dato a quella porta uno splendore così opulento che l’umanità intera la contemplerà con ammirazione“.
I rimi, cui si riferisce Nabucodonosor in questa iscrizione, sono con ogni probabilità i “rem” di cui parla la Bibbia, vale a dire gli uri, i grandi e temuti bovidi selvatici, che popolavano allora in gran numero l’Europa ed il Medio Oriente. Anche Giulio Cesare ne parla nel “De bello gallico“, descrivendoli come “poco più piccoli degli elefanti, della specie, della forma e del colore del toro“.
In effetti l’Uro era veramente un grosso bestione: in base ai resti fossili, si può desumere un’altezza alla spalla di almeno 180 centimetri con un peso superiore alla tonnellata ed un paio di corna di tutto rispetto. E in base alle descrizioni dell’epoca, si può intuire un carattere piuttosto battagliero. Nonostante questo, gli uri furono oggetto di caccia fin dalla preistoria; andarono rarefacendosi sempre più durante il Medio Evo e l’ultimo esemplare – per la cronaca – morì in Polonia nel 1627.
Ai tempi di Nabucodonosor, l’Uro era tuttavia un animale piuttosto comune e familiare e, a questo punto, è quanto meno curioso constatare come l’iscrizione babilonese metta un animale reale e ben conosciuto sullo stesso piano di un animale – il Sirrush appunto – che, a quanto ne sappiamo, non ha nessun riscontro nella realtà. Non sorprende dunque che qualcuno abbia avanzato l’ipotesi che il Sirrush potesse esistere veramente. Primo fra tutti Robert Koldewey, l’archeologo tedesco cui si deve la gran parte degli scavi di Babilonia. Secondo Koldewey si può supporre “…che i sacerdoti avessero un animale più o meno simile e che lo mostrassero nella semioscurità del tempio, come un Sirrush vivente”.
L’aspetto generale del Drago-Sirrush è quello di un grande rettile coperto di squame, provvisto, ma non sempre, di corna e di ali membranose, talora capace di sputare fuoco dalla bocca o dalle narici. Tradizione vuole che fosse oviparo e che l’uovo si schiudesse dopo un’incubazione di circa un secolo e infine, che la durata della vita fosse di qualche migliaio di anni.
Nel mondo occidentale e soprattutto nel Medio Evo che il drago conosce il suo periodo di massimo splendore: simbolo di forza, depositario di saggezza antica e spesso custode di tesori, era anche talvolta incarnazione del male, apportatore di carestia, morte e distruzione. Per questo era la vittima designata di cavalieri erranti e di avventurieri in cerca di gloria che, a lungo andare, ne decretarono l’estinzione.
A differenza dei draghi occidentali, i draghi cinesi sono generalmente creature benevole e amiche dell’uomo, che governano le forze naturali, regolano il flusso dei fiumi e la caduta della pioggia, favorendo i raccolti. Non stupisce quindi che in Cina i draghi fossero oggetto di processioni, celebrazioni e festeggiamenti. Una tradizione questa, che rimane viva ancor oggi.
Alla grande ripresa delle scienze e delle arti che caratterizza l’epoca rinascimentale si affianca una sempre maggior conoscenza del mondo, grazie alle scoperte geografiche e ai grandi viaggi di esplorazione: alcuni dei vecchi animali dei bestiari vengono riconosciuti come inesistenti, ma altri resistono. E’ il caso dell’Unicorno che troviamo in grembo alla celebre “Dama” di Raffaello; del Basilisco, la terapia del cui morso trova ancora spazio nella monumentale opera medica di Daniel Sennert; e ancora dei draghi, a cui Ulisse Aldrovandi, uno dei più grandi naturalisti del 1500, dedica una delle sue opere più celebri, la “Serpentum et Draconum Historia”.
Ma sono proprio le grandi scoperte geografiche a popolare la terra e soprattutto i mari, di nuovi animali. Dai mari emergono il Kraken, creatura di origine scandinava per molti versi assimilabile ad una piovra gigantesca, l’Aloes, curioso pesce a forma di anatra; nei laghi messicani vive invece il Bulampech: è in grado di volare e spesso va a sbattere contro le vele delle imbarcazioni. facendosi così catturare dai marinai.
La rassegna delle creature fantastiche potrebbe proseguire a lungo, ma a questo punto vale la pena di chiedersi come mai, nei secoli di Copernico, Galileo e Cartesio, ci possa essere spazio per simili fantasie. Il motivo può apparire banale, ed è che allora non esisteva la macchina fotografica: la raffigurazione degli animali di paesi lontani veniva fatta in base ai racconti dei viaggiatori, dei marinai e dei soldati, che spesso non avevano neppure visto l’animale in questione, ma riportavano le descrizioni date dagli abitanti del luogo. E, un po’ come nel vecchio gioco del “passaparola”, il prodotto finale, illustrato sui libri, finiva per essere molto diverso dall’oggetto di partenza.
A ciò si deve aggiungere la difficoltà di capirsi: quando un pastore mongolo descrive un certo animale ad un cammelliere arabo, e questi lo descrive a sua volta ad un mercante veneziano, c’è da immaginare qualche problema di traduzione.
Fine dei mostri dunque? Di quelli vecchi forse, ma il ventesimo secolo, quello della razionalità, della tecnologia, della comunicazione di massa, è pronto a fornircene di nuovi. E se fino a qualche anno fa, quanti si occupavano della loro possibile esistenza erano confinati nel regno dei visionari, o quanto meno degli ingenui creduloni, oggi la criptozoologia (la scienza che si occupa degli animali sconosciuti), ha assunto, se non proprio dignità accademica, almeno una considerevole posizione border-line. Nel senso che sono molti gli zoologi, soprattutto di cultura anglosassone, che si occupano in modo scientifico, rigoroso e serio delle possibilità di esistenza di questi animali. Il primo, non foss’altro che per diritto di anzianità, non può che essere Nessie, nomignolo affettuoso con cui viene comunemente chiamato il cosiddetto “Mostro di Loch Ness”. In realtà le prime notizie relative al mostro risalgono all’Alto medio Evo. Nella “Vita di San Columba” (abate del convento di Iona, in Scozia), scritta intorno al 700 d.C., scritta da Adamnan, si parla di una aquatilis bestia, incontrata da San Columba nel 565 e da lui sconfitta e ricacciata nel lago con la forza della fede. Ma il vero periodo d’oro del mostro inizia nel 1933, quando venne avvistato e fotografato per la prima volta. A partire da quella data gli avvistamenti si fanno sempre più frequenti e vengono organizzate spedizioni per scoprire tracce della sua esistenza.
Che dire alla fine della festa? Buttare il tutto alle ortiche con accademico disprezzo non è certo indice di mentalità aperta (e come tale scientifica); pretendere prove un po’ più convincenti è peraltro doveroso. E se alcune delle creature che abbiamo citato sono evidente parto di fantasia, non dobbiamo escludere a priori l’eventualità che qualcuna di esse possa anche esistere.
Fonte: Zoologia Fantastica – Museo Regionale di Scienze Naturali – Torino
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