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Mahatma Gandhi

Gandhi e la Tolleranza Religiosa

I discorsi di Gandhi in merito alla tolleranza religiosa sono quelli che hanno avuto più risonanza in Occidente, in un’epoca molto precedente al Concilio Vaticano II che, in ambito cristiano ha segnato il momento di rivoluzione copernicana di approccio e di apertura verso le altre religioni. E’ d’obbligo precisare che Gandhi non pretese mai di essere né un filosofo, né un teologo, cercando di trovare soluzioni a quesiti precisi, per cui ogni suo intervento deve essere inquadrato nell’ottica delle circostanze contingenti. Nel pensiero del Mahatma si nota, infatti, una spiccata convergenza tra prassi e fede, dove l’impegno nella ricerca della giustizia e delle verità non si perde in astruse speculazioni teoretiche, ma tende all’analisi di problemi concreti, calati nella vita sociale e politica. Lo stesso Gandhi era consapevole di partire, in un certo senso, avvantaggiato, in quanto erede di un pluralismo religioso millenario, così come storicamente consolidatosi nella sua India, dove erano coesistiti i culti e le dottrine più disparate, ariane, semitiche, tribali et cetera, con tutte le relative e reciproche commistioni. Pertanto, la sua volontà di insistere sull’uguaglianza di tutte le religioni, nasceva dall’esigenza di trovare accordi pratici che, però, non mirassero a sminuire le inevitabili differenze, bensì fossero rivolti a valorizzare le specifiche peculiarità di ciascuna credenza.

Di fondamentale importanza per Gandhi fu la ricerca della “verità” e trovare i modi per elaborare una definizione che potesse bene esprimere il suo pensiero. Quando era direttamente interrogato sulla questione della verità in maniera molto onesta rispondeva che si trattava di una questione oltremodo difficile, anche se, a livello personale, aveva cercato di risolvere la diatriba, identificando la Verità con la Voce interiore. Questa Voce interiore che può essere definita come il richiamo presente in ogni coscienza verso la divinità e l’assoluto si realizza, appunto, in maniera diversa a seconda dell’evoluzione della psicologia umana e del diverso contesto storico e politico. Nei suoi innumerevoli discorsi Gandhi ripeteva che “Dio stesso è la verità”, traendo fondamento sulle antiche Scritture indiane, secondo cui non si può non partire dall’imprescindibile equazione dell’Essere uguale al Vero. Ne deriva che la fede, prima di potersi dire veramente tale, deve consistere in un ascolto, tramite l’esercizio della pratica etica, mediante la preghiera e la meditazione costanti, fino ad arrivare al costruttivo silenzio contemplativo. Il fatto che vi siano persone che arrivano a Dio in maniera diversa si spiega con le inevitabili limitazioni umane, nonché con le già accennate differenze storico-sociali.

Molti esperti si sono chiesti se il Mahatma fosse stato un mistico oppure no. Prima di tutto, è necessario sottolineare che il concetto di “mistica” in Oriente è molto diverso che nel nostro mondo occidentale, dove si dà più importanza a sottili considerazioni teologiche ed a complicate analisi fenomenologiche. Se consideriamo il termine “mistico”, nella sua accezione più semanticamente generica di “realizzato” o “perfetto”, non si può non attribuire a Gandhi la qualificazione di “mistico”. Pur non avendo avuto mai la pretesa di aver ricevuto apparizioni o rivelazioni speciali, improntò la sua esistenza al silenzio e alla preghiera, facendo uso in maniera sistematica della recitazione del Ramanama, ossia di quello che comunemente viene chiamato “japa-yoga”. In tale contesto, la voce interiore invocata da Gandhi era quella di una rigorosa coscienza morale ricevuta fin dall’infanzia, che andava perfezionandosi sempre di più con l’avanzare dell’età matura. E con affermazioni, per certi versi simili a quelli della filosofia Scolastica di Tommaso d’Aquino, ovviamente con percorsi intellettuali del tutto diversi, Gandhi asseriva che non vi è una vera contrapposizione tra ragione e fede, proprio perché nella fede vi è già un’implicita ragione che riesce a superare i limiti del raziocinio umano.

La tolleranza religiosa per Gandhi non è da intendere soltanto come coesistenza pacifica di opinioni e di credenze diverse, né deve essere considerata come semplice rispetto delle idee altrui, bensì va orientata come collaborazione costruttiva fra uomini provenienti da culture differenti. Il Mahatma conosceva molto bene la Bibbia ed il Corano, molto meglio di tanti sedicenti osservanti che, in ambito cristiano ad esempio, non sanno neanche distinguere i libri dell’Antico Testamento da quelli del Nuovo. Egli riuscì, con un’analisi profonda ed accurata, ad evidenziare la corrispondenza delle Beatitudini evangeliche con i precetti fondamentali dell’Induismo, specialmente con i cinque voti importanti per la ricerca della verità, ossia ahimsa, satya, asteya, brahmacarya e aparigrraha. Addirittura Gandhi, grandissimo ammiratore di Gesù Cristo, arrivò ad affermare che fu proprio la lettura del Nuovo Testamento a dargli la spinta necessaria per approfondire le antiche Scritture dell’Induismo, dando risposte sconcertanti agli zelanti e pedanti missionari che cercavano in ogni modo di convertirlo. In generale, il Mahatma cercò di spiegare le equivalenze morali più o meno riscontrabili in tutte le principali religioni del mondo, dimostrando che la più importante forma di conversione è quella che deve avvenire all’interno della propria religione, mediante uno studio approfondito e non ricorrendo soltanto ad esteriori e formali pratiche di culto.

Facendo riferimento alla campagna del Mahatma contro la cooperazione con gli oppressori, Egli non si stancava di ripetere che la forma di resistenza alla tirannia è in pratica professata da tutte le religioni, come tanti Scritti Sacri lo attestano. Famose furono le parole che pronunciò nel 1920 durante uno dei tanti discorsi pronunciati nei confronti della gioventù indiana: “Gesù Cristo stesso sfidò il potere dei Sadducei e dei Farisei e, per amore della verità, non esitò a dividere i figli dai genitori. Altrettanto fece il profeta Maometto il quale non esitò a scuotere la polvere dai calzari quando fuggì dalla Mecca verso Medina..”. E’ innegabile che per Gandhi vi era uno strettissimo legame tra le fede religiosa e l’impegno socio-politico, come dimostrò il suo grande attivismo che seppe tenere sempre lontano dalla violenza e da ogni forma di avidità di potere. La sua azione religione si ispirò alla “creatività”, stimolando il rinnovamento delle istituzioni e denunciando con fermezza ogni forma di oppressione e di intolleranza. La stessa religione induista, attraverso gli insegnamenti del Mahatma, ha conseguito una maggiore apertura ed universalità, ampliando i propri orizzonti, fino ad ottenere proseliti in ogni parte del mondo. Si rivolse con durezza contro ogni forma di imperialismo, anche religioso, deprecando le connivenze tra potenze coloniali e attività missionaria cristiana, giovando con le sue denunce alle stesse missioni religiose successive che, seguendo le sue indicazioni, improntarono poi la diffusione delle proprie dottrine ad una maggiore tolleranza ed alla ricerca di una verità più collettiva. Per Gandhi uno dei punti di principale convergenza fra le varie confessioni religiose era la vita di povertà e la rinuncia ai piaceri, molto spesso in contrasto con le forme istituzionali assunte dalle religioni stesse. La sua azione voleva dimostrare che una vita semplice, senza lusso ed inutili sprechi, non è contraria al progresso e neanche allo sviluppo economico, anzi tende ad ordinare il tutto con criteri più lungimiranti ed universalistici.

Gandhi, pur sottolineando il grande valore della preghiera, era solito ripetere la famosa frase evangelica: “Non solo chi dice Signore Signore entrerà nel Regno dei cieli”, significando che bisogna uniformare la propria condotta ai precetti della fede professata, in modo che il proprio comportamento risulti essere lo specchio della fede medesima.   Il Mahatma, nel suo dialogo interreligioso e nei suoi appelli alla tolleranza, si rivolgeva a persone di ogni religione, e perfino a coloro che non professavano una fede determinata, ma che avessero un semplice senso religioso, una tensione verso l’assoluto. Le sue idee anticiparono di alcuni decenni alcuni principi che il Cristianesimo sancirà solo con il Concilio Vaticano II. Ricordiamoci che prima del precitato Concilio vigeva il principio “extra ecclesiam nulla salus” (fuori dalla Chiesa nessuna salvezza), ora anche la Chiesa ammette che l’uomo possa salvarsi anche attraverso altre credenze religiose, a certe condizioni e sempreché la sua esistenza sia effettivamente condotta secondo i principi evangelici.

 

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dottrina fede Gandhi induismo meditazione preghiera ragione religioni tolleranza 2020-06-16

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Luigi Angelino
Pubblicato da: Luigi Angelino
Luigi Angelino ha conseguito la maturità classica a Napoli e poi la laurea in giurisprudenza presso l'Università Federico II. A seguire, ha ottenuto l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello di Roma ed un master di secondo livello in diritto internazionale presso l'Università di Roma tre. Non ha mai abbandonato la passione per le materie classiche, filosofiche e teologiche, conseguendo una laurea magistrale in scienze religiose. Ha pubblicato un romanzo di ampio respiro con la Cavinato editore international dal titolo "Le tenebre dell'anima" nel 2017, che è stato tradotto con il titolo "The darkness of the soul". Nel 2018 ha pubblicato un libro sui grandi misteri religiosi, filosofici e di costume dal titolo "I Miti- luci e ombre". Nel 2019 ha pubblicato il thriller filosofico "La redenzione di Satana-Apocatastasi" e la raccolta di racconti/saggi "Ritratti mortali" con Elisabetta Munerato. Nel gennaio 2020 ha pubblicato "L'arazzo dell'Apocalisse di Angers: una testimonianza fra Cielo e Terra". Ha, inoltre, collaborato al libro auralcrave "Il sipario strappato" e nel 2020 ha pubblicato il saggio "Pandemia-il mondo sta cambiando", il racconto "Anna", dedicato a sua madre ed il libro auralcrave "Viaggio nei luoghi più affascinanti d'Europa". Scrive, inoltre, per alcuni importanti blog culturali.

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