Eraserhead – La mente che cancella è il primo lungometraggio di David Lynch, nonché uno dei suoi film più apprezzati, controversi e famosi.
Datato 1972, vide la luce solo nel 1977 e fu il primo lavoro del regista (ancora studente del prestigioso Center for Advanced Film Studies di Los Angeles) dopo quattro cortometraggi (Six Figures e The Alphabet, entrambi del 1967, The Grandmother, del 1970, e The Amputee, realizzato nel ’74 durante le riprese del film).
L’eccentrica pellicola è unica nel suo genere. Impropriamente etichettata come HORROR, è in realtà un viaggio nella psiche di Henry Spencer (Jack Nance), che viene allegoricamente rappresentata come UN PIANETA GRIGIO E ROCCIOSO sovrapposto al volto del protagonista.
Dal primo istante all’ultimo lo spettatore viene catapultato in una dimensione onirica, che sembra essere il riflesso del vissuto di Spencer, delle sue paure e dei suoi desideri, messi in scena, elevando gradualmente il SIMBOLISMO SURREALE.
Procedendo in questo modo, l’autore instaura un patto narrativo solido dando l’illusione allo spettatore di sbirciare nella vita domestica di un uomo, immerso in una dimensione immaginaria.
Ne è un esempio la scena in cui Henry è ospite a casa dei genitori di Mary: un climax di ansia insensata della ragazza (scopriremo solo al termine della cena essere causata dalla consapevolezza di aver partorito una CREATURA e che il padre sia proprio HENRY), di impertinenza e lussuria della suocera, di ingenuità e inconsapevolezza del suocero.
Fino al momento in cui la Madre di Mary annuncia il LIETO EVENTO, le scene più irrazionali rimandano al campo semantico della GRAVIDANZA, del SESSO e della VIOLENZA (lo spermatozoo sovrapposto alla bocca del protagonista nella scena iniziale, il pollo che perde sangue dai genitali, la suocera che bacia il collo del giovane con prepotenza…).
Da qui in poi l’impatto della vita di coppia su Henry è evidente: il bambino è una creatura deforme, la moglie ha il dolore scritto in volto, i pianti sembrano arrivare nei momenti meno opportuni…
Il livello dell’ASSURDO inizia a salire ed è qui che le paure di HENRY, i DESIDERI e i PENSIERI compaiono nella scena. Dal momento in cui si è detto di star guardando l’inconscio di un personaggio, queste emozioni vengono tradotte nel modo più realistico possibile, assumendo le sembianze della bambina che canta nel termosifone del teatro (tratta da un quadro dello stesso Lynch), di vermi, della vicina di casa, di capelli… il caotico mondo, che viene messo in scena, diviene assurdo anche per la REALTÀ data per SENSATA fino a quel momento.
Il patto narrativo sembra infrangersi e, come in un sogno, spettatore e personaggio acquisiscono la consapevolezza di star vivendo dentro il frutto della psiche di qualcuno (che può essere un immaginario Henry che sogna nel mondo reale, oppure l’autore stesso). Eraserhead non è, però, un sogno messo in scena, ma un’estensione del reale che si struttura sullo scheletro di una mente pensante, sprofondata nell’universo della sua psiche.
Col bianco e nero carbonato, creature irreali, effetti speciali volutamente rudimentali, una recitazione impeccabile di JACK NANCE, ERASERHEAD acquista un’estetica unica.
L’emozione è suggerita da ogni particolare nell’inquadratura: le immagini e i suoni (o l’assenza di suono) enfatizzano le situazioni kafkiane messe in scena da ogni personaggio. Il protagonista, come gli altri attori, diviene una MARIONETTA INCONSAPEVOLE, manovrata da un demiurgo (l’Io della mente pensante che produce il film stesso), che viene identificato all’inizio della pellicola come un MACCHINISTA NEL PIANETA dal volto sfigurato, che guarda malinconico da una finestra (Jack Fisk, lo scenografo stesso del film).
Ogni inquadratura è una realtà fine a se stessa, che però richiama anche qualcos’altro. Dal momento che nelle scene domina un’eccentricità realistica, si instaura un sottile collegamento tra l’inconscio di spettatore e autore. Film del genere dicono molto su chi li ha scritti, ed è difficile scindere ciò che c’è di autobiografico e ciò che invece risulta inventato. Considerato che, come ci insegna Eraclito, “nel sonno, ognuno ritorna a un suo proprio mondo particolare”, ogni pellicola di Lynch è il riflesso di una parte del suo Io. Henry Spencer, ad esempio, passeggia su un terreno fangoso disseminato da rumori di macchine, territorio che richiama il luogo dove, a Philadelphia, viveva David con moglie e figlia. Chissà che non fosse lui stesso HENRY SPENCER.
La metamorfosi del bambino, la MATITA CON GOMMA prodotta dalla mente di Henry, il tentativo fallimentare di togliere le fasce al figlio, la bambina nel teatro o il pollo, sono scene GROTTESCHE ed EMBLEMATICHE, che rappresentano pienamente quello che sarà lo stile del cineasta per le sue pellicole successive.
Eraserhead fu rifiutato dal Festival di Cannes e dal New York Film Festival. Per via del personaggio del neonato ne fu addirittura sconsigliata la visione alle donne in dolce attesa. Definito da JOHN WATERS il suo FILM PREFERITO, la pellicola iniziò ad acquisire prestigio, diventando presto un cult movie.
Francesco Salvati
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