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Home» Krishnamurti»Dialogo con Swami Venekatesananda
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Dialogo con Swami Venekatesananda

S.V.: – Krishnaji, io vengo umilmente a parlare ad un Guru, non nel senso di adorare un eroe ma nel senso letterale che la parola Guru significa, che è rimuovere dall’oscurità, dall’ignoranza. La parola “GU” sta per l’oscurità dell’ignoranza e la parola “RU” sta per colui che rimuove, colui che dissipa, disperde, scaccia. Da ciò deriva che Guru è la luce che dissipa l’oscurità dell’ignoranza e voi siete quella luce per me ora. Noi sediamo nella tenda qui a Saanen ascoltandovi e non posso trattenermi dal visualizzare analoghe scene; per esempio del Budda che dirigeva il Bikshus, o di Vasishta che istruiva Rama nella corte reale di Dasaratha. Noi abbiamo alcuni esempi di questi Guru nelle Upanishad. Primo vi fu Varuna Il Guru. Egli semplicemente pungolava il suo discepolo con le parole «Tapasa Brahma»… «Tapo Brahmati». «Che cosa è Brama? – non chiedere a me». Tapo Brahman, tapas, l’austerità o la disciplina – o come voi stesso dite, “lo scoprire è Brahman e la disciplina è scoprire da soli la verità, sebbene a periodi”. Yajuyavalkya e Uddhalaka adottarono un più diretto approccio. Il primo istruendo sua moglie Maitreyi, usava il metodo Neti-Neti: voi non potete descrivere Brahman positivamente, ma quando voi eliminate ogni cosa ed oltre, lì è Brahaman. Come voi diceste l’altro giorno, l’amore non può essere descritto: “Questo è… questo è ciò”, ma solo vedere-eliminare ciò che non è amore. Uddhalaka usava diverse analogie per spingere i suoi discepoli a vedere la verità che riuscì a sintetizzare con la famosa espressione “Tat Twam Asi”. Dakshinamurti istruiva i suoi discepoli con il silenzio e Chinmudra. Si è affermato che il S. Kumara andò da lui per istruirlo. Dakshinamurti rimaneva silenzioso e mostrava il Chinmudra, così i discepoli lo osservavano ed avevano l’illuminazione. Si è creduto che uno non potesse realizzare la verità senza l’aiuto di un Guru. Chiaramente anche queste persone che vengono a Saanen sono grandemente aiutate nella loro ricerca. Ora, quale, secondo voi, dovrebbe essere il ruolo del Guru? Quello di un precettore oppure uno che risvegli l’attenzione?

J.K.: – Signore, se voi state usando la parola nel suo senso classico, che è colui che dissipa il buio, l’ignoranza, può un altro, chiunque egli sia, illuminato o stupido, realmente, veramente aiutare a dissipare questo buio, quest’ignoranza che è in noi stessi? Supponiamo che ” A ” è ignorante e voi siete il suo Guru – Guru in senso accettato – , di uno che dissipa il buio, di uno che si carica del fardello di un altro, può un tale Guru aiutare un altro? O piuttosto, può il “Guru” disperdere il buio di un altro? Non teoricamente, ma effettivamente, realmente, ora… Puoi tu, se sei il Guru di questo o di quello, dissipare la sua ignoranza, puoi tu dissipare l’oscurità per un altro? Sapendo che egli è infelice, confuso, che non ha un cervello sufficientemente sviluppato, che non ha amore sufficiente, o è triste, puoi tu dissipare tutto ciò? Oppure egli ha da lavorare tremendamente su se stesso? Tu potresti mettere in rilievo, potresti dire: «Guarda, c’è da andare attraverso quella porta», ma egli ha da fare il lavoro interamente da solo dall’inizio alla fine. Quindi tu non sei un guru nell’accezione comune dì questa parola, se tu affermi che un altro non può aiutare.

S.V.: – Proprio questo: “i se ed i ma”. La porta è lì. lo devo attraversarla. Ma vi è quest’ignoranza di dove sia la porta. Tu, mettendo in rilievo ciò, rimuovi quell’ignoranza.

J.K.: – Ma io ho da camminare lì. Signore, voi siete il Guru e voi mettete in rilievo quella porta. Voi avete finito il vostro la­voro.

S.V.: – Così l’oscurità dell’ignoranza viene rimossa.

J.K.: – No, il vostro lavoro è finito ed è ora per me di svegliarmi, camminare e vedere ciò che è implicato attraverso il cammino. Ho da fare tutto ciò.

S.V.: – Così è perfetto…

J.K.: – Per questo voi non dissipate la mia ignoranza.

S.V.: – Vi chiedo scusa, ma io non so come uscire da questa stanza. Sono ignorante circa l’esistenza di una porta in una certa direzione ed il Guru rimuove l’oscurità di quest’ignoranza. Ed allora io faccio i necessari passi per uscire fuori.

J.K.: – Signore, cerchiamo di essere chiari. L’ignoranza è mancanza di comprensione, di intelligenza, o la mancanza di comprensione di se stessi, non del se superiore o del se inferiore. La porta è il “Me” attraverso cui io ho da andare; essa non è fuori di me, non è una porta manufatta come quella porta colorata. C’è una porta in me attraverso la quale ho da andare. Ora lo sapete. “Fatelo”.

S.V.: – Esatto.

J.K.: – La vostra funzione come “Guru” è quindi finita. Voi non diventate importante, io non metto ghirlande intorno al vostro capo. Ho da fare interamente da solo tutto il lavoro. Voi non avete dissipato l’oscurità dell’ignoranza. Voi, piuttosto, avete messo in rilievo che “Tu sei la porta attraverso la quale tu, da te stesso, hai da andare”.

S.V.: – Ma potreste voi, Krishnaji, accettare questo, che il mettere in rilievo era necessario?

J.K.: – Si, naturalmente. lo metto in rilievo, faccio questo. Noi tutti facciamo ciò. lo chiedo ad un uomo nella strada «Per favore, potreste dirmi quale è la strada per Saanen?» ed egli me lo dice, ma non perdo tempo in espressioni di devozione e dico «O mio Dio, tu sei il più grande uomo della terra!». Ciò è così puerile!

S.V.: – Grazie, signore. Chiusa la discussione su ciò che è il “Guru”, vi è la questione di ciò che la discussione sia, che voi definite come apprendimento. I Vedanta classificano i cercatori secondo le loro qualità, requisiti o maturità, e prescrivono degli adatti metodi di apprendimento. Il discepolo con più acuta percezione è istruito col silenzio, o con una concisa frase ravvivante e risvegliante come Tat­Twam-Asi. Cioè denominato Uttamadhicari. Al discepolo che ha una media sensi­bilità è dato un trattamento più elaborato. Ciò è denominato Madhamadhikari. Il lento di sensibilità o comprensione è accolto ed intrattenuto con storie e rituali che possono farlo saltare ad una più grande maturità; ciò è denominato Adhama­dhikari. Forse voi vorreste fare un com­mento su questo?

J.K.: – Si, il vertice, il medio e la parte più bassa. Ciò implica, signore, che noi abbiamo da scoprire ciò che intendiamo per maturità.

S.V.: – Potrei spiegare ciò? Voi diceste l’altro giorno, «Il mondo intero sta bruciando, voi dovete rendervi conto e realizzare la serietà di quello che sta accadendo». Ciò mi toccò a fondo come un fulmine tale da afferrare questa verità. Ma, ve ne possono essere milioni a cui questa verità realmente non dà seccature; essi non hanno alcun interesse a ciò. Questi noi li chiamiamo Adhama, i più bassi o i meno elevati. Ve ne sono altri come gli Hippy ed altri i quali scherzano con questo, chi può essere intrattenuto con racconti o parabole e altri che dicono: «Noi siamo infelici» o che dicono «Noi sappiamo che la società è una confusione e perciò prendiamo droga» – e così via… E vi possono essere altri che sono sensibili a questa idea, che il mondo sta bruciando, e che immediatamente emettono scintille e li accende. Li troviamo ovunque. Come li dobbiamo trattare?

J.K.: – Come comportarsi con le persone che sono estremamente immature, quelle che sono parzialmente immature, e quelle che si considerano da sé mature?

S.V.: – Giusto, esatto.

J.K.: – Per fare ciò dobbiamo comprendere cosa intendiamo per maturità. Voi cosa pensate sia la maturità? Può dipendere dall’età del tempo?

S.V.: – No.

J.K.: – Così possiamo togliere di mezzo ciò. Il tempo, l’età non sono indici di maturità. Allora vi è la maturità dell’uomo molto colto, dell’uomo che è intellettualmente molto capace.

S.V.: – No, egli può girare e convertire le parole.

J.K.: – Bene, eliminiamo anche questo. Chi, secondo voi, dovrebbe essere considerato un uomo maturo?

S.V.: – L’uomo che è capace di osservare.

J.K.: – Un momento, aspettate. Chiara­mente l’uomo che va nelle chiese, nei templi, nelle moschee, non lo è; così l’intellettuale, il religioso e l’emotivo. Noi dovremmo dire, se eliminiamo tutto questo, che la maturità consiste nell’essere non centrati sul sé. Non “me” per primo e quindi ognuno secondo, o le mie emozioni per primo. Quindi la maturità implica l’assenza del “me”.

S.V.: – Frammentazione per usare una parola migliore.
J.K.: – Il “me” che cerca i frammenti. Ora come vi rivolgereste a quest’uomo? Ed all’uomo che è metà l’uno e metà l’altro, “me” e “non me”, e l’altro ancora che è interamente “me”, chi si diverte a rivolgersi a questi uomini? Come vi rivolgete verso questi tre?

S.V.: – Come risvegliare questi tre? Questo è il problema.

J.K.: – Un momento! Nell’uomo che è completamente nel “me” non vi è risveglio, risorgere dall’indifferenza. Egli non vuole neanche ascoltarvi. Egli vi ascolterà se gli promettete qualcosa, il paradiso, l’inferno, timore, o più profitti nel mondo, più soldi; ma egli vi ascolterà e farà ciò solo per guadagnare, divenire, acquistare, è quindi immaturo.

S.V.: – Giusto.

J.K.: – Tuttavia se Nirvana o Paradiso sono considerati conseguimento, od illuminazione, egli è immaturo. Ora come vor­reste fare con quest’uomo?

S.V.: – Raccontargli storie, parabole.

J.K.: – No, perché dovrei raccontargli storie, ubriacarlo di più con le mie storie o con le vostre? Perché non lasciarlo solo? Egli non ascolterebbe.

S.V.: – Ciò è crudele.

J.K.: – Crudele in quale parte? Egli non vuole ascoltarvi. Siamo reali. Voi venite da me, ed io sono totalmente “me”, io non sono interessato a null’altro che “me”, ma voi dite «osserva, guarda, tu stai facendo confusione nel mondo, tu stai creando siffatta miseria per l’uomo», e soggiungo “prego andate oltre, cercate di uscirne”. Mettete il fatto in qualsiasi modo vi piaccia; mettetelo nelle storie, indoratelo con pillole, dolci pillole, ma egli non cambia il “me”. Se lo fa egli arriva nel mezzo – il “me” ed il “non me”. Questa è chiamata evoluzione: l’uomo che è in basso raggiunge la media.

S.V.: – Come?

J.K.: – Dai colpi della vita. La vita lo forza con violenza, lo ammaestra. Vi è una guerra, odio; egli è distrutto – oppure va in una chiesa – la chiesa è una trappola per lui, non gli dà illuminazione, non gli dice: «per l’amor di Dio, spazza via tutto dal principio alla fine», ma essa dice che gli darà ciò che gli darà una evasione, un diversivo, tutto solo nel nome di Dio. Così essi (chiese e preti) lo tengono allo stesso livello con piccole modificazioni, un po’ di pulizia, una migliore cultura, migliori vestiti… Ecco cosa sta succedendo. Ciò probabilmente mette insieme, come voi avete detto proprio ora, l’ottanta per cento del mondo, e forse di più, il novanta per cento.

S.V.: – Cosa potete fare voi?

J.K.: – Non voglio aumentare ciò, non voglio raccontargli storie, non voglio intrattenerlo; perché vi sono altri che già lo intrattengono.

S.V.: – Grazie.

J.K.: – Quindi vi è il tipo medio, il “me” ed il “non me”, il quale fa riforme sociali, un po’ di bene qui e lì, ma sempre il “me” operante. Socialmente, politicamente, religiosamente, in ogni maniera, il “me” è operante. Ma un poco più quieto, con un poco più di pulito. Ora a lui tu puoi parlare un po’, dici «guarda, una riforma sociale è tutta giusta nel suo campo, ma ciò non ti conduce in nessun luogo» – e così via… Voi potete parlargli; forse egli vi ascolterà. L ‘altro tipo non vi ascolterà, del tutto.
L’uomo di cui parliamo ora vi ascolterà mostrerà un po’ d’attenzione e forse dice anche che tutto ciò è molto serio, ma che questo richiede anche moltissimo lavoro, e scivola di nuovo nel suo vecchio modello. Noi gli parleremo e lo lasceremo. Ciò che egli vuole fare spetta a lui.
Ora, vi è l’altro tipo che sta per rendersi conto del processo del “me”, che sta per uscire fuori dal circolo del “me”; qui tu puoi parlargli. Egli ti darà attenzione. Co­sì uno parla a tutti e tre, non facendo distinzione fra quelli che sono maturi e quelli che non lo sono. Egli parlerà a tutte e tre le categorie, i tre tipi, e lascerà ciò che dice a loro.

S.V.: – Colui che non sarà interessato, andrà via.

J.K.: – Egli andrà fuori dalla tenda, andrà fuori dalla porta; ciò è affar suo. Egli va alla sua chiesa, al football, a divertirsi o dovunque ci sia qualcosa che lo interessi. Ma nel momento in cui voi dite «Tu sei immaturo e ti insegnerò qualcosa di più» egli vorrà… divenire…

S.V.: – Aumentare di valore…

J.K.: – Ecco! lì vi è pronto il seme del veleno. Signore, se il terreno è giusto, il grano mette radice – ma dire «Tu sei maturo e tu sei immaturo», ciò è totalmente sbagliato. Chi sono io per dire a qualcuno che egli è immaturo? Questo deve scoprirlo da solo.

S.V.: – Ma può un idiota scoprire che egli è matto?

J.K.: – Se egli è idiota, semplicemente, non vi presterà attenzione. Vedete, signore, noi ce ne usciamo sempre fuori con l’idea del volere aiutare.

S.V.: – Questo è ciò su cui stiamo basando tutta la nostra discussione.

J .K. : – Credo che il problema del volere aiutare, o del metodo di approccio del bi­sognevole di aiuto non è valido, eccetto nella coltivazione dei campi ed in quello tecnologico. Se sono ammalato è necessario andare dal dottore per essere curato. Psicologicamente, invece se sono mezzo addormentato, non vorrò ascoltarvi. Se sono semisveglio, vi ascolterò secondo la mia qualità, secondo i miei moti interiori. Quindi, a colui il quale dice «Voglio realmente svegliarmi, avere un risveglio psicologico», a quello voi potete parlare. Così come noi parliamo a tutti loro (rivolgendosi a quelli nella tenda).

Fonte: vitaoltrelavita.it

 

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dialogo Krishanmurti Venekatesananda 2016-05-04

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admin
Pubblicato da: admin
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One Comment

  1. Avatar
    Franco Silvestre
    5 Maggio 20168:20 -

    Molto più che interessante!!! 🙂

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