Il Daimon
“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivrà sulla Terra, e riceve un compagno che le faccia da guida, un Daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, ci dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. È il Daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino.”
(J. Hillman, Il codice dell’anima, pag. 23)
“Questo libro ha per argomento la vocazione, il destino, il carattere, l’immagine innata: le cose che, insieme, sostanziano la “teoria della ghianda”, l’idea, cioè, che ciascuna persona sia portatrice di un’unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di poter essere vissuta.”
(J. Hillman, Il codice dell’anima, pag. 21)
In ognuno di noi esiste un qualcosa di “vivo” che ci porta a essere in un certo modo, a intraprendere determinati percorsi, a compiere delle scelte. Questo, esattamente questo, è il Daimon! Esso è il «demone» che ciascuno di noi riceve come “compagno di viaggio”, prima della nascita su questa Terra, secondo il mito di Er, raccontato da Platone. Questa “spinta”, di cui ragione e logica non comprendono “la fonte”, è facilmente comprensibile con l’intuizione, e le parole come «vocazione», «chiamata» e «carattere» sarebbero la “maschera” utile a definirla.
James Hillman afferma che questo demone potrebbe essere la chiave per leggere il «codice dell’anima», quella sorta di linguaggio cifrato che ci spinge ad agire, ma che non sempre capiamo, né possiamo prevedere, che ci guida molto più di quanto noi siamo in grado di dirigerlo. Il Daimon è quella “voce interiore” che ci conduce verso la piena realizzazione della nostra personalità.
Esso può essere facilmente visibile e riscontrabile sin da subito, anche nella prima infanzia, e vi sono innumerevoli esempi al riguardo, dai personaggi più famosi a quelli meno conosciuti:
Il matematico Kim Ung-Yong, dai 4 ai 7 anni d’età divenne uno studente “ospite” di Fisica all’Università di Hanyang. Compiuti gli 8 anni, andò a terminare gli studi alla NASA, dove peraltro conseguì un PhD ancor prima di compiere 15 anni;
Mozart componeva musica e suonava magistralmente il pianoforte alla tenera età di 5 anni e non è mai esistita una “brutta” dei suoi componimenti musicali, era come se la melodia fosse già interamente scritta nella sua testa;
H.P. Lovecraft componeva lunghi poemi già a 5 anni;
Il matematico Gauss, all’età di 3 anni sapeva già sommare i numeri da 1 a 100 con calcoli rapidissimi, e un altro aneddoto narra che, a quella stessa età, fu in grado di notare e correggere un errore del padre nel calcolo delle finanze familiari;
Stevie Wonder, musicista e cantante di successo, nato cieco a causa di una retinopatia, si avvicinò al mondo della musica già a 3 anni, diventando piuttosto abile a suonare il piano a 4, assieme ad una miriade di altri strumenti: chitarra, batteria, basso, armonica a bocca;
Il famoso matematico J. Von Neumann, all’età di 6 anni divideva cifre di 8 numeri formulando i risultati a mente, ed era inoltre così abile nella memorizzazione, che riusciva a memorizzare interi elenchi telefonici a vista;
A. Kripke, filosofo e logico, a soli 6 anni aveva imparato da autodidatta l’Ebraico antico, e letto tutte le opere di Shakespeare. Prima di prendere la licenza elementare, padroneggiava le opere di Descartes, la geometria e l’algebra, inoltre, a 17 anni scrisse il suo primo teorema di logica modale;
Lang Lang, giovane pianista cinese, inizia a suonare il pianoforte a 3 anni e già a 4 tiene i primi concerti, mentre a 9 riesce a essere accettato al Conservatorio di Pechino, dove però entra in un periodo di crisi per le divergenze con una maestra del luogo, decidendo di abbandonare la musica. Però poi, grazie alle insistenze dei suoi compagni di corso e dei genitori, decide di non arrendersi e di rimettersi in pista, iniziando a vincere, a 11 anni, le prime competizioni a carattere nazionale, a 13, quelle internazionali, e arriva a suonare in America e in Europa. Famosa la sua esibizione nei Giochi Olimpici di Pechino nel 2008;
A. Ramanujan illustre matematico membro della Royal Society, imparò la matematica quasi interamente da autodidatta. Sin da bambino si dedicò esclusivamente alla sua sfrenata passione per le formule e i calcoli numerici, vinse numerosi premi, ma non riuscì a diplomarsi, perché la sua passione per la matematica non gli permise di dedicarsi alle altre materie. Lavorò in modo speciale sulla teoria analitica dei numeri ed è noto per molte formule di sommatorie che coinvolgono costanti come π, numeri primi e funzioni di partizione. Inoltre, alcune sue formule conservate in un quaderno, esposto al Trinity College di Cambridge, sono ancora tutt’oggi utilizzate per gli studi sui buchi neri. Frequentemente arrivava a enunciare le sue formule per intuizione, senza essere precedute da dimostrazione (lui affermava che era il suo modo di vedere il mondo, la vita e che fosse la dea Namagiri a dargliele, famosa è la sua frase: “Un’equazione per me non ha senso, se non rappresenta un pensiero di Dio.”);
Akiane Kramarik, giovanissima pittrice, poetessa, scacchista, pianista e poliglotta di 22 anni, il cui nome significa “Oceano”, disegna dei veri e propri straordinari capolavori di arte realistica dall’età di 4 anni. I genitori, padre americano e madre lituana, atei e contrari a ogni tipo di istruzione formale per i figli, non sono mai riusciti a trovare una spiegazione plausibile alle “visioni” che la bambina diceva di rappresentare attraverso i suoi dipinti (tra cui la figura di Gesù, la Madonna, l’Universo, altri mondi). Akiane afferma che questo suo talento sia un dono datole direttamente da “Dio”. In molte interviste dichiara di seguire una “voce” soave mentre dipinge, e che la scelta dei colori e delle forme le viene spontanea e non è controllabile: “Mi piace Dio” ha detto in più di un’intervista, “È tutto ciò che possiedo.”
Questi sono solo pochi dei tanti, tantissimi esempi che si potrebbero ancora mettere in risalto. I casi qui volutamente esposti, sono quelli che danno più nell’“occhio” (non si possono evitare di vedere!). Ma, in effetti, TUTTI nasciamo con un Daimon, e il nostro compito sta proprio nell’aprirci ad esso, accoglierlo e ascoltarlo.
Siamo abituati dalla società, dai formalismi della cultura cui apparteniamo e dall’istruzione, che adattarci all’ambiente e fare scelte giuste significa dare risposte conformi o compiere delle scelte che la maggioranza, un determinato ordine e sistema, si aspettano da noi. Il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso, vengono stabiliti come “a priori”, e davanti a essi siamo chiamati a scegliere nelle modalità indicate e insegnateci da “altri”.
Pertanto: quanto di davvero nostro c’è in ciò che facciamo e nei modi che adoperiamo per condurre la nostra esistenza?
Dobbiamo avere il coraggio di dire “no”, di ammettere che “questo non mi rispecchia”, di ascoltare il nostro cuore quando ci dice che una cosa è giusta o non giusta per noi. A. Einstein diceva che la felicità nella vita non può esistere sin tanto che ci si dedica esclusivamente a una persona o a una cosa, facendone ragione di vita. Deve esserci un OBIETTIVO, una FINALITÀ, un TÉLOS intrinseco alla vita, di cui non si ha paura di prendere consapevolezza e che si ha il coraggio di seguire, anche se ciò dovesse portare a percorrere sentieri poco battuti o considerati “sbagliati” o “inusuali”.
Il Daimon è quella forza, quella passione, quell’immagine da cui siamo rapiti, che è in noi da sempre e della quale spesso, purtroppo, non siamo consapevoli. La maggior parte del tempo siamo ciechi e sordi alle nostre stesse esigenze, alla nostra natura, e “offendiamo” e annichiliamo il nostro nucleo reale per assecondare dettami che ci vengono impartiti dall’esterno. Tutte le volte che non ci scegliamo, che non ci ascoltiamo, che ci diciamo bugie, che non apriamo le porte a noi stessi, ci stiamo precludendo la possibilità di essere al meglio di ciò che siamo.
Le esperienze che capitano, le persone che si incontrano, il tempo misurabile vissuto su questa Terra, non hanno nulla a che fare con la vocazione: essa esiste a prescindere da questi fenomeni e, allo stesso tempo, è in ogni caso attraverso essi che può venir fuori, manifestarsi come esistenza empirica, come ESEMPIO DI VITA. L’essere umano, così, è chiamato ad assolvere a un compito molto più grande, misterioso, poco prevedibile, di cui non conosce i risvolti, che non sa dove lo condurrà.
È come se venissimo al mondo con una “matita” magica, pronta a essere usata in ogni momento, che aspetta solo che noi la notiamo, impariamo ad impugnarla e usarla per tracciare i tratti e le linee del DISEGNO del nostro Sé. Non a caso, quello che nella psicologia analitica junghiana viene chiamato archetipo del Sé, non è altro che ciò a cui si tende attraverso il percorso di individuazione. Esso è simboleggiato dalla figura complessa, geometrica e strutturata del Mandala.
Il Mandala è il simbolo del Tutto, Caos e Cosmos insieme, principio e fine, vita e morte, vecchio e nuovo. Ha la suprema capacità di ordinare e “dar senso” alla nostra vita, e, allo stesso tempo, dona espressione e forma creativa a qualche cosa di unico e nuovo, che in un dato momento ancora non esiste. È ciò per cui noi esseri umani siamo potenza in atto (come direbbe Aristotele), creativa e creatrice, capace di restaurare vecchi ordinamenti e di metterne su altri ex novo.
Il centro del Mandala rappresenta l’uomo stesso, che deve purificarsi, mutare, trasformando le forze negative che porta dentro e che assumono un particolare senso per lui e, quindi, una “direzione” del proprio esserci, in qualcosa di vivente, al servizio della vita e per la vita. Una metafora di questo processo sta nelle tre principali fasi di trasformazione e purificazione della materia presenti nell’alchimia: nigredo, albedo, rubedo.
Queste rispettivamente corrispondono a:
1) Opera al Nero: il processo cardine è la putrefazione che presuppone l’integrazione dell’Ombra e l’abbattimento dei desideri dell’Io;
2) Opera al Bianco: il processo chiave è la trasformazione, l’Io è riuscito a sopravvivere alla notte oscura e alla tempesta di emozioni, che sorgono dal tentativo del suo abbattimento, affacciandosi così a un modo nuovo, sconosciuto e mai provato in precedenza, di essere nel mondo. È proprio a questo punto che l’uomo incontra e ha un avvicinamento con l’archetipo dell’Anima e la donna con l’archetipo dell’Animus;
3) Opera al Rosso: attraverso questa fase si arriva alla purificazione della materia, alla coniucto oppositorum, alle “nozze alchemiche” e simbolicamente all’incontro più ravvicinato col Sé.
Nel Mandala vengono eliminate tutte le energie negative attraverso un intenso, doloroso e difficoltoso processo di presa di coscienza e conoscenza del proprio Sé. Mentre costruisce il Mandala, l’uomo si individualizza, esegue quella ricerca interiore indispensabile, perché si verifichi la catarsi, la purificazione attraverso il mutamento. Questa non è altro che l’induzione di una “morte” simbolica che permette la ri-nascita a un livello superiore di consapevolezza.
Proprio come la Fenice, l’uomo ha infinita capacità, nel corso dell’esistenza, di ri-nascere dalle sue ceneri.
La vocazione, la “chiamata”, coincide esattamente con ciò che noi SIAMO e davanti ad essa possiamo adottare due atteggiamenti: avere il coraggio e la pazienza di seguirla, da una parte, o ignorarla e metterla a tacere, dall’altra.
La prima scelta comporta sicuramente: rischio dell’ignoto, forza, coraggio, pazienza, perseveranza, perché il cammino sarà irto e pieno di ostacoli e ricco di momenti bui di dubbio e incertezza, da affrontare e superare; la seconda scelta, d’altro canto, comporta: acritico ma “sicuro” conformismo, frustrazione, alienazione, immobilismo, incapacità di scelta, annichilimento della volontà, sensazione di essere in preda del “destino”. Il vantaggio principale della prima è l’assecondamento della vitalità della passione e la tendenza all’individuazione; il vantaggio della seconda è il senso di “sicurezza” per l’aver evitato e negato ciò che potrebbe essere “destabilizzante”, perché avvertito come potente, ma non controllabile.
In realtà, non ci sono vie giuste o sbagliate, semplicemente perché nessuno di noi è giusto o sbagliato. Ognuno è un essere unico che ha bisogno dei propri spazi, dei propri tempi e dei propri modi, per compiere questo tipo di percorso interiore. È vero anche che non tutti ne sentono l’esigenza, alcuni la sentono molto presto sin da bambini, altri da adulti, altri addirittura potrebbero non cogliere, non riuscire a comprendere che il Daimon esiste ed è sempre stato lì con loro. Affinché riesca a venire fuori nella vita terrena e a esplicarsi, è necessario che esso venga captato poiché è la chiave per l’individuazione.
A proposito sembra ci siano particolari soggetti che nascono con “antenne” potenti adatte proprio a captare questo SEGNO vivo in noi. Nella fase iniziale sono letteralmente trasportati da esso, la sua realtà vivente è vissuta in maniera inconscia; successivamente, però, può diventar parte della consapevolezza e quindi essere “orientato” a seconda di particolari fini od obiettivi.
Un DONO può essere portato al servizio di Eros o Thanatos, per esempio, della vita o della morte, della creazione o della distruzione, ecc…È come un seme che in sé ha tutte le caratteristiche per divenire pianta, mala pianta cresce solo se coltivata con cura. C’è un detto che dice: “Si raccoglie ciò che si semina”. A me piacerebbe sostituirlo con: “Si raccoglie ciò di cui si ha cura”. Ascoltare il Daimon equivale ad aver cura di noi, del nostro nucleo più intimo, della nostra immagine qui sulla Terra, che, solitamente, poiché arriviamo a fatica ad afferrarla o non ne siamo coscienti, tendiamo a chiamare “destino”. Una cosa è certa: il Daimon spinge sempre per venir fuori e, se la persona non lo mette in atto come essere-nel-mondo, esso finirà per dirigere la sua vita generando un senso di impotenza e frustrazione.
Si tratta di un’entità invisibile, che segue ogni uomo sin dalla sua infanzia, spronandolo a realizzare i propri obiettivi. Ogni ostacolo e difficoltà, che si incontrano nella vita, sarebbero scelti dal Daimon stesso, al fine di rafforzare l’individualità medesima e spingere l’essere umano a cercare la CHIAVE giusta, che apra la porta alla sua irripetibile e peculiare ESISTENZA. In parole povere: il Daimon specifico di ogni uomo singolo imprime un Carattere che è, al contempo, VOCAZIONE da realizzare. In relazione alla sua DISPOSIZIONE daimonica, specifica e qualitativamente differenziata, ogni individuo risponde alla chiamata del destino in modo particolare, elevandosi al di sopra della passività del dominio di causa-effetto.
È esattamente come se fossimo portatori sani di una doppia natura, come se due entità condividessero lo stesso corpo, un’entità sarebbe propriamente individuale, conscia, ed è quella che narra gli eventi per come sono accaduti “realmente”, l’altra sarebbe sovra-individuale, daimonica; la prima sarebbe legata alla dimensione terrestre, materiale e alle leggi di causa-effetto, l’altra invece sarebbe legata alla sfera destinale ed archetipica.
L’una sarebbe la narrazione degli eventi di vita attraverso l’occhio terreno, orientato al passato e al presente, l’altra sarebbe il suo dispiegarsi attraverso l’occhio interno, orientato al futuro, ai desideri, alle possibilità. l’Io compone la sua biografia, percorrendo a ritroso le tappe che lo hanno portato al luogo, donde questi guarda indietro, la sua direzione è quindi archeologica, il suo Daimon invece si muove in direzione opposta, rivolgendosi, da un presente semplicemente in potenza, alle sue future realizzazioni, il suo movimento è, perciò, escatologico e finalistico.
La dialettica vero-falso, entro questa doppia natura umana, acquisisce una nuova conformazione. Non si tratta più di pesare gli eventi narrati, discernendo quelli veri e “oggettivi” da quelli falsi e “immaginari”, ma riconoscere, piuttosto, che “la doppiezza è parte integrante dell’autobiografia dell’essere umano, in quanto i suoi due elementi – «auto» e «bio» – rappresentano due racconti distinti e complementari, quello della ghianda e quello della vita.
Ogni essere umano porta con sé un seme in potenza, un’immagine del Grande Disegno di cui fa parte. e il compito di una sana educazione dovrebbe essere quello di rispettarlo, aiutarlo e guidarlo, affinché il suo TALENTO, la sua VOCAZIONE vengano fuori, e abbia la possibilità di maturare, crescere e formarsi nella TOTALITÀ della sua personalità.
Carlotta Cadoni (15/08/2016)
Bibliografia: J. Hillman, Il codice dell’anima, Gli Adelphi.
Sitografia: https://carlottacadoniblog.wordpress.com
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