«Siamo pronti a usare qualsiasi mezzo contro Isis»: si conclude con questo impegno il summit di Parigi fra 30 nazioni accomunate da voler «sconfiggere la minaccia globale» dello Stato Islamico del Califfo Abu Bakr al Baghdadi. Ma sulla strada della coalizione ci sono due ostacoli: il rifiuto della Turchia a concedere le basi e il «no» dell’Iran di Ali Khamenei all’offerta di cooperazione recapitata dagli Stati Uniti.
L’incontro al Quai d’Orsay vede il presidente iracheno Fuad Massum lanciare un accorato appello: «Non c’è tempo da perdere, bisogna continuare i raid contro Isis, impedirgli di creare santuari, braccarli ovunque, tagliargli i finanziamenti e bloccare l’arrivo di volontari dai Paesi confinanti». Il presidente francese François Hollande parla di «minaccia globale a cui bisogna dare una risposta globale» facendo anticipare il discorso dai primi sorvoli di jet francesi nei cieli dei territori iracheni in mano ai jihadisti.
Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, precisa l’entità del nemico per privarlo di legittimità: «Non è uno Stato e non ha nulla a che vedere con l’Islam». L’esercito del Califfo, sottolinea il capo della Farnesina Federica Mogherini, «è una minaccia globale che non conosce confini» e per fermarla «bisogna fare presto assieme». Ma è sulla definizione del «come» che si manifestano gli ostacoli. Il primo, e più visibile, è l’opposizione della Russia a raid in Siria «senza l’autorizzazione del governo di Damasco» come il ministro Sergei Lavrov ribadisce, contando sul sostegno cinese, «perché sarebbe un’aggressione».
Poi c’è il nodo della Turchia, un partner della Nato che conferma il veto all’uso delle basi, impedisce all’Alleanza in quanto tale di partecipare ai raid e sembra al contempo assai debole nel frenare l’afflusso di jihadisti in Siria. Uno studio pubblicato in merito dall’Osservatorio sui diritti umani in Siria attesta che «nel solo mese di luglio sono entrati dalla Turchia almeno 6000 volontari di Isis». Per l’amministrazione Obama, che ha iniziato in agosto i raid e guida de facto la coalizione, è una spina nel fianco in quanto complica le operazioni e pone un problema nella Nato. Di questo si parlerà in Bahrein nel prossimo incontro della coalizione, destinato a concordare le iniziative militari.
Ma non è tutto, perché c’è anche la questione dell’Iran a scuotere la coalizione. Tutto inizia con una dichiarazione inattesa che giunge da Teheran, dove il Leader Supremo Ali Khamenei svela in tv: «L’America ci ha chiesto aiuto contro Isis ma non glielo diamo perché l’intervento americano porterà gli stessi problemi che l’Iraq affronta da 10 anni» ovvero dall’invasione del 2003. A rendere più esplicito il messaggio è Moqtada Al Sadr, l’imam sciita iracheno già protagonista della guerriglia anti-Usa, che tuona: «Se gli americani tornano, li combatteremo ancora».
Davanti alle rivelazioni di Khamenei, il Segretario di Stato John Kerry ribatte: «Restiamo aperti alla possibilità di una discussione costruttiva con l’Iran sull’intervento anti-Isis». Per Lavrov l’esclusione di Teheran dai lavori di Parigi è negativa perché «Iran e Siria sono alleati naturali nella lotta agli estremisti». Ma il presidente iracheno ribatte: «Ha sbagliato Teheran a non venire». La disputa sul ruolo di Teheran nasce dallo scenario possibile di un intervento multinazionale in Siria, dove l’Iran è già presente in forze.
Fonte:
www.lastampa.it
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