Quando nella concentrazione puoi, senza muoverti, guardare all’indietro, voltarti contemporaneamente, rimanere immobile, col tuo viso fisso verso davanti, allora sei riuscito ad uscire da te stesso, stai fuori, sei arrivato a comprendere ed a condividere la Legge Binaria dei Templari.
L’universo è solo una parte, la zampa del cigno immersa nell’acqua.
Ad ogni uomo è data una sola anima, una sola piccola immane potenza, la potenza di superarsi in certi momenti e di assorbir le stelle.
L’esoterismo autentico deve porsi al di là delle opposizioni che si affermano nei movimenti esteriori che agitano il mondo profano, e, se tali movimenti sono a volta suscitati o diretti in modo invisibile da potenti organizzazioni iniziatiche, si può dire che queste ultime li governano senza mescolarvisi, così da esercitare in egual modo la loro influenza su ciascuna delle parti avverse – Renè Guènon.
Renè Guènon nacque a Blois nel 1886. Nel 1930 lasciò la Francia per stabilirsi definitivamente in Egitto. Morì al Cairo nel 1951. Fu saggista in Francia. Nato da famiglia benestante conseguì a Blois il Baccellierato d’indirizzo Letterario e Filosofico nel 1903, all’età di 22 anni. Trasferito a Parigi con l’idea di seguire corsi di Matematica al Collegio Rollin (studi matematici dai quali acquisì un certo rigore metodologico nella ricerca filosofica), nel 1906 interruppe tali interessi accademici perché debilitato fisicamente e per un crescente interesse per discipline eterodosse (esoterismo soprattutto). Entrato a far parte della Libera Scuola di Scienze Ermetiche di Papus (Ordine Martinista; Rito di Memphis ed Misraim) ne uscirà dopo appena due anni in aperto dissenso con l’indirizzo reincarnazionista della Scuola Filosofica. Le fondamentali amicizie con gli amici spirituali (il saggista Albert Puyon, uno dei pochi occidentali entrato in contatto con i maestri orientali della misteriosofica taoista, ed il pittore svedese Ivan Gustav Agueli) ed il contatto con la Filosofia Taoista fecero l’esordio del filosofo ermetico come pubblicista (direttore della rivista “Lo Gnose”). Nel 1912 Guénon entra a far parte, segretamente, dell’Islam, e nella catena sufica del di lui maestro Abder-Rahman Elish el Kebir.
Insegnante il Francia ed in Algeria dal 1915 al 1921 pubblicò nel 1921, a 35 anni, l’Introduzione generale allo studio delle dottrine Indù e iniziò a dare lezioni di filosofia al corso Saint Louis di Parigi. Dal 1925 collaborerà con la rivista cattolica Regnabit; nel 1927 pubblica Il re del Mondo e la Crisi del Mondo Moderno. Nel 1928 collabora con il Velo di Iside, rivista di studi esoterici tradizionali che dal 1933 cambierà il nome, su suo suggerimento, in Studi Tradizionali (rivista tuttora esistente, mantenendosi ancora fedele alla caratterizzazione che le aveva dato il più illustre dei suoi collaboratori). Nel 1930 si trasferisce definitivamente al Cairo dove rimarrà sino alla morte, avvenuta nel 1951. Autore che esercitò molteplici influssi su saggisti e uomini di cultura ed indirizzò una moltitudine di filosofi esoterici e di discipline esoteriche, non tralasciando le discipline latomistiche, rappresentò indiscussa guida spirituale nel panorama degli studi Tradizionali europei e non solo.
Renè Guenon resta: il più implacabile e coerente critico della civiltà moderna, e lo studioso che meglio a dimostrato l’universalità, nel tempo e nello spazio, della simbolistica iniziatica – A. Ambesi.
Guenon è quell’attento studioso di Scienze Tradizionali che per primo ha dato la giusta dignità e attribuito il giusto valore a queste fondamentali discipline elevandole a traguardi impensati. È stato e rimane un esempio di perenne ricerca e di tensione verso quell’Assoluto del quale sicuramente ne ha colto il significato e l’anelito ed al quale si è elevato e si è congiunto al culmine della sua irrefrenabile volontà di trascendere. Guenon è quel maestro che ti porta mano nella mano alla scoperta del noumeno dei significati iniziatici, un maestro spirituale, il maestro spirituale della filosofia esoterica occidentale.
Considerazioni Sulla Via Iniziatica è l’ultimo libro di René Guénon, una raccolta organica di suoi articoli apparsi su diverse riviste in periodi diversi, curati personalmente da lui e riuniti in un tutto organico per arrivare a rappresentare una vera e propria Summa sulla problematica iniziatica alla luce di tutte le conoscenze maturate in anni di contatti con diverse culture e Tradizioni sia occidentali che orientali. Da profondo e critico conoscitore delle molteplici e spesso accidentate e non infrequentemente contraddittorie (ma secondo lui ricomponibili nei significati profondi ad un’unica origine) possibilità di accedere alla Via verso quell’Assoluto di cui lui ne fa testimonianza indirettamente con le sue opere e con la sua vita, Guenon ripercorre e condensa tutte le ricchezze sparse nel bagaglio simbolico delle Tradizioni iniziatiche lasciando intravedere la possibilità, sottesa in ognuno di noi, nella propria individualità, se cercata con la dovuta saggezza e applicazione allo studio simbolico, di poter percorrere quel cammino che possa aprirci alla visione iniziatica del Supremo, alla Luce della Conoscenza, alla parola perduta nella Aghartha della nostra epoca.
Il libro, prezioso strumento per la completa maturazione e intima comprensione dei motori spirituali iniziatici rappresenta quindi un fondamentale testo di ricerca dei significati profondi sottesi ai Rituali Iniziatici Tradizionali, significati spesso misconosciuti anche da chi questi Rituali li compie e li esercita nelle società iniziatiche occidentali attuali, che secondo l’Autore, conservano ancora nell’antico simbolismo e nelle proprie tradizioni il messaggio iniziatico gnostico dei costruttori operativi medievali.
TALE APPROFONDITA ANALISI DEL CAMMINO INIZIATICO RIVELA SPESSO SORPRENDENTI COLLEGAMENTI CON RITI INIZIATICI MOLTO LONTANI NEL TEMPO, CHE GUÉNON IPOTIZZA ANTERIORI ADDIRITTURA ALLA COMPARSA DELL’UOMO SULLA TERRA (I COSIDDETTI ELEMENTI ”NON-UMANI” DELLE ISTITUZIONI INIZIATICHE). QUELLE FRASI, EGLI TIENE A SOTTOLINEARE, CHE SPESSO SI DANNO PER SCONTATE E SI RECITANO LEGGENDOLE SUI MANUALI DEI RITUALI ATTUALI CELANO INASPETTATE COLLEGANZE E CORRISPONDENZE CON CULTURE E ESOTERISMI LONTANI, TUTTE FIGLIE, A DETTA DELL’AUTORE, DI QUELLO STATO PRIMORDIALE, DI QUELL’ETÀ IPERBOREA E PRE ATLANTIDEA DOVE L’UOMO NON AVEVA LA NECESSITÀ DI ACQUISIRLE DA DEPOSITARI DI UNA SCIENZA MISTERICA MA BENSÌ FACENTI PARTE DEL SUO BAGAGLIO DI ESPERIENZA INNATA: UNA SORTA DI RICCHEZZA ESOTERICA INCONSCIA.
Dell’iniziazione
L’iniziazione appartiene all’individuo; l’iniziativa di una realizzazione che si perseguirà metodicamente, sotto un controllo rigido ed incessante, e che dovrà condurre a superare le possibilità stesse dell’individuo come tale. È indispensabile aggiungere che questa iniziativa non basta, poiché è evidente che l’individuo non può superare se stesso solo con i suoi mezzi propri, ma, ed è ciò che ci interessa, è questa INIZIATIVA a costituire obbligatoriamente il PUNTO DI PARTENZA DI OGNI REALIZZAZIONE PER L’INIZIATO.
- Ogni realizzazione iniziatica è dunque essenzialmente e puramente INTERIORE, contrariamente a quella uscita da sé che costituisce l’Estasi nel senso esatto ed etimologico della parola. E in questo consiste non certo la sola differenza, ma almeno una delle grandi differenze esistenti tra gli stati mistici, interamente appartenenti al dominio religioso, e gli stati iniziatici.
- Vi sono certi i quali si immaginano che ci si inizi da sé, il ché è in qualche modo una contraddizione dei termini; dimenticando, che la parola initium significa entrata o principio; essi confondono il fatto stesso dell’iniziazione, intesa nel senso strettamente etimologico, col lavoro da compiersi ulteriormente affinché questa iniziazione, da virtuale nel primo momento, divenga più o meno completamente effettiva. L’iniziazione, compresa in tal modo, è ciò che tutte le tradizioni si accordano nel designare come SECONDA NASCITA; come un essere potrebbe agire da se stesso prima ancora di essere nato? Non siamo più in una Epoca Primordiale, quando tutti gli uomini possedevano normalmente e spontaneamente uno stato spirituale che oggi può dipendere solo da un alto grado di iniziazione, stato spirituale e sviluppo spirituale che si compiva in essi tanto naturalmente quanto lo sviluppo corporeo.
- Nell’iniziazione è di fondamentale importanza un collegamento ad una ORGANIZZAZIONE TRADIZIONALE, che non può, beninteso, dispensare in alcun modo dal lavoro interiore che ognuno deve compiere da se stesso, ma che è richiesto come condizione preliminare perché questo lavoro stesso possa effettivamente dare i suoi frutti.
- Bisogna capire fin da ora che coloro che sono stati costituiti depositari della Conoscenza Iniziatica, non possono comunicarla in maniera più o meno paragonabile a quella di un professore che nell’insegnamento profano comunica ai suoi allievi formule attinte dai libri, formule che essi dovranno soltanto immagazzinare nella loro memoria; si tratta qui di una cosa che, nella sua essenza stessa, È PROPRIAMENTE INCOMUNICABILE, poiché SONO STATI DELL’ESSERE DA REALIZZARE INTERIORMENTE. SI POSSONO INSEGNARE SOLTANTO CERTI METODI PREPARATORI PER OTTENERE QUESTI STATI; A TALE RIGUARDO, DAL DI FUORI, NON PUÒ ESSERE FORNITO CHE UN AIUTO, UN APPOGGIO PER FACILITARE GRANDEMENTE IL LAVORO DA COMPIERSI, ED ANCHE UN CONTROLLO PER ALLONTANARE GLI OSTACOLI ED I PERICOLI CHE POSSONO PRESENTARSI.
- Nell’iniziazione occorre sviluppare la VIRTUALITÀ che essa costituisce; ma altresì è anche necessario, in primo luogo, CHE QUESTA VIRTUALITÀ PREESISTA.
L’influenza spirituale
È dunque in un modo diverso che deve essere intesa la trasmissione iniziatica propriamente detta, e non sapremmo meglio caratterizzarla che definendola essenzialmente come la trasmissione di un’influenza spirituale.
- Le fasi dell’iniziazione riproducono quelle del PROCESSO COSMOGONICO; una tale analogia, basantesi direttamente su quella del microcosmo e del macrocosmo, permette meglio di ogni altra considerazione di chiarire la questione. Infatti si può dire che le attitudini o possibilità incluse nella natura individuale non sono in un primo momento in se stesse che una MATERIA PRIMA, vale a dire una PURA POTENZIALITÀ, in cui non v’è niente di sviluppato o di differenziato; è quindi lo stato caotico e tenebroso, che il simbolismo iniziatico fa corrispondere precisamente al mondo profano, e nel quale si trova l’essere non ancora pervenuto alla seconda nascita. Perché questo CAOS possa cominciare a prendere forma ed a organizzarsi, è necessario che gli sia comunicata una VIBRAZIONE INIZIALE dalle potenze spirituali che la Genesi ebraica designa come gli ELOHIM; questa vibrazione è il FIAT LUX CHE ILLUMINA IL CAOS, E CHE È IL PUNTO DI PARTENZA NECESSARIO PER TUTTI GLI SVILUPPI ULTERIORI.
- Dal punto di vista iniziatico, questa illuminazione è rappresentata precisamente dalla trasmissione dell’influenza spirituale di cui si è detto più sopra.
- In virtù di questa influenza le possibilità spirituali dell’essere non sono più la semplice potenzialità che erano prima; esse sono diventate una VIRTUALITÀ pronta a svilupparsi in ATTO nei diversi stadi della realizzazione iniziatica.
- L’iniziazione, quindi, implica TRE CONDIZIONI che si presentano in modo successivo, e che si potrebbero far corrispondere rispettivamente ai TRE termini di: potenzialità, virtualità e attualità
- La potenzialità è la qualificazione costituita da certe possibilità inerenti alla natura propria dell’individuo, e che sono la materia prima su cui il lavoro iniziatico dovrà effettuarsi
- La virtualità è la trasmissione, per il tramite di un collegamento ad un’organizzazione tradizionale regolare, di un’influenza spirituale che dia all’essere la illuminazione, che gli permetterà di ordinare e di sviluppare quelle possibilità che porta con sé
- L’attualità è il lavoro interiore per cui, con l’aiuto di cooperanti o di appoggi esteriori, se è il caso, e soprattutto nei primi stadi, questo sviluppo sarà realizzato gradualmente, facendo passare l’essere, di gradino in gradino, attraverso i differenti gradi della gerarchia iniziatica, per condurlo allo SCOPO FINALE DELLA LIBERAZIONE O DELL’IDENTITÀ SUPREMA.
- Lo scopo essenziale e finale dell’iniziazione oltrepassa il dominio dell’individualità e le sue possibilità particolari. Da un tale semplice rilievo, e senza nemmeno andare al fondo delle cose, si può dunque immediatamente concludere che sia necessaria la presenza di un ELEMENTO NON UMANO, e tale è proprio infatti il carattere dell’influenza spirituale la cui trasmissione costituisce l’iniziazione propriamente detta.
Le organizzazioni tradizionali
Possiamo dividere le organizzazioni tradizionali in EXOTERICHE ed ESOTERICHE; per EXOTERICHE intenderemmo le organizzazioni che in una certa forma di civiltà sono aperte a tutti indistintamente; sono invece ESOTERICHE quelle riservate ad una élite, o, in altri termini, dove sono soltanto ammessi coloro che posseggono una particolare qualificazione. Queste ultime sono propriamente le organizzazioni iniziatiche. È facile capire come la parte dell’individuo che conferisce l’iniziazione ad un altro individuo o profano sia invero una parte di trasmettitore, nel senso più esatto della parola. Questi infatti non agisce in quanto individuo, ma in quanto appoggio di una INFLUENZA NON APPARTENENTE ALL’ORDINE INDIVIDUALE; è unicamente un ANELLO DELLA CATENA, IL CUI PUNTO DI PARTENZA È AL DI FUORI E AL DI LÀ DELL’UMANITÀ. In tal modo, egli non può agire in nome proprio, ma in nome dell’organizzazione cui è collegato e da cui detiene i suoi poteri, o, ancora più esattamente, in nome del Principio che questa organizzazione rappresenta visibilmente. Ciò spiega d’altronde come l’efficacia del Rito compiuto da un individuo È INDIPENDENTE dal valore stesso di quest’individuo in quanto tale; se l’individuo non possiede il grado di conoscenza necessario per comprendere il senso profondo del Rito e la ragione essenziale dei suoi diversi elementi, questo rito non per tal motivo avrà meno il suo pieno effetto se, essendo regolarmente investito della funzione di trasmettitore, egli lo adempirà osservando tutte le regole prescritte, e con una INTENZIONE che sia SUFFICIENTEMENTE DETERMINATA dalla coscienza del suo collegamento all’Organizzazione Tradizionale. Di contro, la conoscenza anche completa del Rito, se è stata ottenuta al di fuori delle condizioni regolari, è interamente sprovvista di ogni valore effettivo; e così diremo, per prendere un esempio semplice (poiché il Rito si riduce essenzialmente nella pronuncia di una parola o di una formula), che, nella Tradizione Indù, se il Mantra non è appreso dalla bocca di un Guru autorizzato, è senza alcun effetto, poiché non è vivificato dalla presenza dell’influenza spirituale di cui è unicamente destinato ad essere il veicolo. La consacrazione dei Templi, delle immagini, degli oggetti rituali, ha lo scopo essenziale di farne il ricettacolo effettivo delle influenze spirituali senza la cui presenza i Riti, ai quali debbono servire, sarebbero sprovvisti di efficacia. Le formule ritmate, corrispondenti esattamente ai Mantra Indù, sono formule la cui ripetizione ha lo scopo di produrre UN’ARMONIZZAZIONE DEI DIVERSI ELEMENTI DELL’ESSERE, e di determinare VIBRAZIONI SUSCETTIBILI, con la loro ripercussione attraverso la serie degli stati in gerarchia infinita, di aprire una comunicazione con gli Stati Superiori, che è d’altronde, in generale, la ragione d’essere essenziale e primordiale di tutti i riti. Ogni organizzazione iniziatica è altresì inafferrabile dal punto di vista del suo segreto, quest’ultimo essendo tale per natura e non per convenzione, e non potendo per conseguenza in alcun caso essere penetrato dai profani, poiché il vero segreto iniziatico non è altro che l’incomunicabile, e l’iniziazione sola può dare accesso alla sua conoscenza.
Dei rituali iniziatici
I Riti hanno sempre lo scopo di mettere l’essere umano in rapporto, direttamente od indirettamente, con qualche cosa che supera la sua individualità e che appartiene ad altri stati di esistenza. Non è necessario in tutti i casi che la Comunicazione così stabilita sia cosciente per essere reale, poiché si opera abitualmente mediante certe modalità sottili dell’individuo, modalità in cui la maggioranza degli uomini è attualmente incapace di trasferire il centro della propria coscienza.
Ad ogni modo, sia l’effetto apparente o no, sia immediato o differito, il Rito porta sempre in se stesso la sua efficacia, a condizione beninteso, che sia compiuto in conformità alle regole tradizionali che ne assicurano la validità, e al di fuori delle quali, non sarebbe più che una forma vuota ed un vano simulacro. Questa Efficacia non ha niente di meraviglioso, né di magico, come talora pensano e dicono alcuni con una palese intenzione di denigrazione e di negazione, poiché risulta semplicemente dalle leggi nettamente definite secondo cui agiscono le Influenze Spirituali, leggi di cui la Tecnica Rituale non è insomma che l’applicazione e la messa in opera (N.d.T. : un po’ come accade nella Tecnica dell’Ipnosi Medica ove la semplice lettura del manuale da parte del Medico, ritmando e modulando opportunamente la voce, induce lo stato di coscienza particolare denominato stato ipnotico).
È a questa tecnica concernente il maneggio delle influenze spirituali che si riferiscono propriamente espressioni come quelle di arte sacerdotale ed arte reale designanti le applicazioni rispettive delle iniziazioni corrispondenti; d’altra parte, si tratta qui di Scienza Sacra e Tradizionale, ma che, pur essendo sicuramente di un ordine del tutto diverso dalla scienza profana, non è perciò meno positiva, anzi lo è realmente molto di più se si prende questa parola nel suo significato vero, che invece è abusivamente svisato dagli scientisti moderni.
È dunque un errore grave usare, come abbiamo spesso visto fare da uno scrittore massonico francese, apparentemente molto soddisfatto di questa trovata piuttosto disgraziata, l’espressione di giocare al rituale parlando dell’adempimento dei riti iniziatici da parte di individui che ne ignorano il senso e che non cercano nemmeno di penetrarlo; una tale espressione non può convenire che nel caso di profani i quali simulassero i riti, non avendo qualità per adempierli validamente; ma, in un’organizzazione iniziatica regolare, per quanto degenerata possa essere in riguardo alla qualità dei suoi membri attuali, IL RITUALE NON È QUALCHE COSA CON CUI SI GIOCHI; È E RESTA SEMPRE UNA COSA SERIA E REALMENTE EFFICACE, SEPPURE ALL’INSAPUTA DI COLORO CHE VI PARTECIPANO.
Un altro punto di importanza capitale è il seguente: l’iniziazione, a qualsiasi grado, rappresenta per l’essere che l’ha ricevuta, UNA ACQUISIZIONE PERMANENTE, uno stato che, virtualmente od effettivamente, egli ha raggiunto UNA VOLTA PER SEMPRE, E CHE ORMAI NULLA PUÒ TOGLIERGLI.
Il Legame stabilito dal carattere iniziatico non dipende affatto da contingenze quali possono essere quelle di una dimissione o di una esclusione, che sono semplicemente d’ordine amministrativo, come già detto, e non toccano che le relazioni esteriori; se nell’ordine profano tutto si riduce a queste relazioni, per cui un’associazione non può dare altro ai suoi membri, queste stesse relazioni esteriori non sono invece nell’ordine iniziatico che un mezzo del tutto accessorio e non necessario, relativamente alle realtà interiori che soltanto interessano in verità. Per prendere, come applicazione di quanto abbiamo detto in ultimo, l’esempio più semplice, in riguardo alle organizzazioni iniziatiche, è del tutto inesatto parlare di un ”Ex-Massone”, come si fa comunemente; un Massone dimissionario od anche escluso non fa più parte di una Loggia né di una Obbedienza, ma non per tal motivo è meno Massone; lo voglia o no, nulla cambia. Prova ne sia che, se in seguito viene reintegrato non lo si inizia nuovamente, e non lo si fa ripassare per i gradi già ricevuti. Così l’espressione inglese di unattached Mason è la sola che si addica correttamente a casi simili.
Il simbolismo
La forma del linguaggio è per definizione stessa discorsiva al pari della ragione umana di cui lo stesso linguaggio è il principale strumento e di cui segue o riproduce il procedimento quanto più esattamente è possibile; invece il simbolismo propriamente detto è veramente INTUITIVO, vale a dire è, in modo del tutto naturale, incomparabilmente più adatto del linguaggio per servire da punto di appoggio all’intuizione intellettuale e sopra-razionale, ed è precisamente questo il motivo per cui COSTITUISCE IL MODO D’ESPRESSIONE PER ECCELLENZA DI OGNI INSEGNAMENTO INIZIATICO. La Filosofia non è propriamente che sapere profano e non può pretendere a nulla di più; mentre il simbolismo, inteso nel suo VERO significato, fa parte essenzialmente della Scienza Sacra.
A proposito dei riti
In un tal fatto risiede la confusione, veramente strana per chi abbia pretese più o meno confessate di servire da guida ad altri in un dominio dove sono precisamente i RITI ad avere una parte essenziale e della più grande importanza, essendo veicoli indispensabili delle influenze spirituali senza le quali non può essere questione del minimo contatto effettivo con realtà di ordine superiore, ma solamente d’aspirazioni vaghe ed inconsistenti e di idealismo nebuloso e di speculazioni nel vuoto. Se si risale alle Origini, il Rito non è altro che ciò che è conforme all’ordine, secondo l’accezione del termine sanscrito RITA; dunque è ciò che soltanto è realmente normale. Il Rito comporta in sé stesso sempre, relativamente alla sua essenza, un elemento non umano. Colui che adempie un rito, se ha raggiunto un certo grado di conoscenza effettiva, può e deve anche avere coscienza che vi è qualche cosa che lo supera, che non dipende in alcun modo dalla sua iniziativa individuale.
Le prove iniziatiche
Le prove iniziatiche costituiscono un insegnamento dato sotto forma simbolica e destinato ad essere meditato ulteriormente, e contengono in sé un significato che appartiene ad ognuno di approfondire secondo la misura delle proprie capacità.
Per maggior precisazione, diremo che le prove sono riti preliminari o preparatori all’iniziazione propriamente detta; esse ne costituiscono il preambolo necessario, sicché l’iniziazione stessa è come la loro conclusione o il loro scopo immediato. È da rilevare che esse rivestono spesso la forma di VIAGGI SIMBOLICI; non facciamo che notare questo punto di sfuggita, poiché non possiamo pensare a dilungarci qui sul simbolismo del viaggio in generale, e diremo soltanto che, sotto questo aspetto, esse si presentano come una ”RICERCA” (o meglio una ”questua” come si diceva nel linguaggio del medio evo) CONDUCENTE L’ESSERE DALLE ”TENEBRE” DEL MONDO PROFANO ALLA LUCE INIZIATICA; ma anche questa forma, che si comprende in tal modo da se stessa, non è in qualche maniera che accessoria, per quanto possa essere appropriata a ciò di cui si tratta. In fondo, le prove sono essenzialmente dei riti di purificazione, ed è in un tal fatto che si trova la vera spiegazione di questa parola stessa di prove, che ha qui un significato nettamente ALCHEMICO, e non quello volgare che ha dato luogo agli equivoci segnalati precedentemente.
Si può comprendere ora perché, quando le prove rivestono la forma di viaggi successivi, questi siano messi rispettivamente in rapporto con i differenti elementi della natura; e ci resta soltanto da indicare in quale senso, dal punto di vista iniziatico, il termine stesso di purificazione debba essere inteso. Si tratta di ricondurre l’essere ad uno stato di semplicità indifferenziata, paragonabile, come abbiamo detto in precedenza, a quello della materia prima, alfine che sia atto a ricevere la vibrazione del Fiat Lux iniziatico; è necessario che l’influenza spirituale, la cui trasmissione gli darà questa prima illuminazione, non incontri in lui alcun ostacolo dovuto a preformazioni disarmoniche provenienti dal mondo profano; e perciò deve essere ridotto in primo luogo a questo stato di materia prima, il che, se si vuole riflettere un poco, mostra abbastanza chiaramente come il processo iniziatico sia la conquista della Luce divina che è l’unica essenza di ogni spiritualità.
La seconda nascita, intesa come corrispondente alla prima iniziazione, è propriamente, come abbiamo detto, ciò che può chiamarsi una RIGENERAZIONE PSICHICA; ed è infatti nell’ordine psichico, vale a dire nell’ordine in cui si situano le modalità sottili dell’essere umano, che debbono effettuarsi le prime fasi dello sviluppo iniziatico; ma queste ultime non costituiscono uno scopo in se stesse e non sono ancora che preparatorie in rapporto alla realizzazione delle possibilità di un ordine più elevato, vogliamo dire dell’ordine spirituale nel vero senso di questa parola. IL PUNTO DEL PROCESSO INIZIATICO CUI ABBIAMO ALLUSO È DUNQUE QUELLO CHE SEGNERÀ IL PASSAGGIO DALL’ORDINE PSICHICO ALL’ORDINE SPIRITUALE.
Del segreto dei nomi iniziatici
Valuteremo ora, parlando dei diversi generi di segreti di ordine più o meno esteriore che possono esistere in certe organizzazioni iniziatiche, del segreto riferito ai nomi dei costituenti tali organizzazioni. A prima vista può sembrare che sia da classificare fra le semplici misure precauzionali destinate a garantirsi contro i pericoli che possono provenire da un nemico qualsiasi. In realtà in questo segreto coesistono ragioni ben più profonde. QUESTO SEGRETO, COME VEDREMO, IN REALTÀ RIVESTE UN CARATTERE VERAMENTE SIMBOLICO. L’interesse moderno di voler insistere su questo punto è accresciuto dal fatto che la curiosità dei nomi è una delle manifestazioni più ordinarie dell’individualismo moderno, e che, quando pretende di applicarsi alle cose del dominio iniziatico, testimonia di un grave disconoscimento della realtà di quest’ordine e di una deprecabile tendenza a volerle ridurre al livello delle contingenze profane. Il cosiddetto storicismo dei nostri contemporanei è insoddisfatto se non attribuisce nomi propri ad ogni cosa, vale a dire se non li attribuisce ad individualità umane determinate, secondo la concezione più ristretta possibile, quella che ha corso nella vita profana e non tiene conto che della sola modalità corporea. Tuttavia, il fatto che l’origine delle organizzazioni iniziatiche non può mai essere riferita a tali individualità dovrebbe già far riflettere a tal riguardo; e, quando si tratta delle organizzazioni dell’ordine più profondo, i loro stessi membri non possono essere identificati, non perché si dissimulino, il che, per quante precauzioni si possano prendere, non può essere sempre efficace, ma perché, a stretto rigor di termini, non sono personaggi nel senso che vorrebbero gli storici; chiunque credesse dunque di poterli nominare sarebbe inevitabilmente e proprio per tal motivo in errore. Quando l’essere passa ai grandi misteri, vale a dire alla realizzazione di stati sopra-individuali, passa per tale motivo oltre il nome e la forma, poiché, come insegna la dottrina indù, questi ultimi (nama-rupa) sono le espressioni rispettive dell’essenza e della sostanza dell’individualità. Un tal essere in vero non ha dunque più nome, trattandosi di una limitazione di cui egli si è ora liberato; occorrendo, egli potrà prendere un nome qualsiasi per manifestarsi nel dominio individuale, ma questo nome non lo toccherà in alcun modo e gli sarà accidentale al pari di un semplice abito che si può lasciare o cambiare a volontà. Questa è la spiegazione di quanto dicevamo in precedenza: allorché si tratta di organizzazioni di quest’ordine, i loro membri non hanno nome, e d’altronde neppure esse stesse ne hanno; in tali condizioni, da che cosa può ancora essere suscitata la curiosità profana? Se anche le capita di scoprire dei nomi, questi ultimi non avranno che un valore del tutto convenzionale.
Iniziazione virtuale ed iniziazione effettiva
La distinzione fra l’iniziazione EFFETTIVA e l’iniziazione VIRTUALE è tanto importante da indurci a precisarla meglio; a tal riguardo, faremo rilevare in primo luogo che, tra le condizioni dell’iniziazione enunciate in precedenza, il COLLEGAMENTO ad una ORGANIZZAZIONE TRADIZIONALE REGOLARE (collegamento che naturalmente presuppone la qualificazione) è sufficiente per l’iniziazione virtuale, mentre, il lavoro interiore che ne consegue concerne proprio l’iniziazione effettiva. Insomma questa è a tutti i suoi gradi lo sviluppo in atto delle possibilità cui l’iniziazione virtuale dà accesso. Questa iniziazione virtuale è dunque l’iniziazione intesa nel significato più stretto del termine, vale a dire come una entrata o un principio; il che, bene inteso, non significa minimamente che essa possa essere considerate come qualche cosa di sufficiente a se stessa, ma soltanto come il punto di partenza necessario per tutto il resto; QUANDO SI È ENTRATI IN UNA VIA, BISOGNA ALTRESÌ SFORZARSI DI SEGUIRLA, ED ANZI, SE È POSSIBILE, DI SEGUIRLA FINO IN FONDO. Si può riassumere tutto in poche parole: ENTRARE NELLA VIA È L’INIZIAZIONE VIRTUALE; SEGUIRE LA VIA È L’INIZIAZIONE EFFETTIVA; disgraziatamente, di fatto, molti restano sulla soglia, non sempre per colpa della loro incapacità nel procedere oltre, ma anche, nelle condizioni attuali del mondo occidentale soprattutto, a causa della degenerescenza di certe organizzazioni che, divenute troppo speculative, come abbiamo spiegato precedentemente, non possono per tal motivo aiutarli in alcun modo nel LAVORO OPERATIVO, fosse pure nei suoi stadi più elementari, e nulla forniscono di ciò che almeno possa permettere ad essi di avere il semplice sospetto dell’esistenza di una qualsiasi realizzazione. Però, anche in queste organizzazioni, si parla è vero ad ogni istante di lavoro iniziatico, o almeno di qualche cosa che si considera tale; ma ci si può porre allora legittimamente la questione: in qual senso e in qual misura ciò corrisponde ancora a qualche realtà? Per rispondere ad una tale questione, ricorderemo che l’iniziazione è essenzialmente una trasmissione, ed aggiungeremo che un tal fatto può intendersi in due modi differenti: da una parte, trasmissione di una influenza spirituale, e, d’altra parte, trasmissione di un insegnamento tradizionale. È la trasmissione dell’influenza spirituale che dev’essere soprattutto considerata, non soltanto perché deve logicamente precedere ogni insegnamento (il che è troppo evidente quando si comprende la necessità del collegamento tradizionale), ma anche e principalmente perché proprio questa trasmissione costituisce essenzialmente l’iniziazione in senso stretto, sicché, se non dovesse trattarsi che di iniziazione virtuale, tutto si potrebbe insomma limitare a ciò, senza nemmeno porsi la questione di aggiungervi ulteriormente un insegnamento qualsiasi. In effetti, l’insegnamento iniziatico non può essere altro che un aiuto esteriore apportato al lavoro interiore di realizzazione, alfine di appoggiarlo e guidarlo per quanto possibile; donde in fondo la sua unica ragion d’essere, ed è solo in ciò che può consistere il lato esteriore e collettivo di un vero lavoro iniziatico, se si intende realmente quest’ultimo nel suo significato legittimo e normale.
I simboli e l’insegnamento iniziatico
I SIMBOLI sono essenzialmente un mezzo d’insegnamento, e non soltanto di insegnamento esteriore, ma anche di qualche cosa di più, dovendo soprattutto servire da APPOGGIO alla MEDITAZIONE, che è almeno il principio di un lavoro interiore; ma questi stessi simboli, in quanto elementi dei riti e in ragione del loro carattere non umano, sono pure appoggi della stessa influenza spirituale. Del resto, è sufficiente riflettere sul fatto che questo lavoro interiore RESTA INEFFICACE SENZA L’AZIONE, o, se si preferisce, senza la collaborazione di questa influenza spirituale, per comprendere come la meditazione sui simboli prenda essa stessa in certe condizioni il carattere di un vero Rito, e di un Rito che questa volta non conferisce più soltanto l’iniziazione virtuale, ma permette di raggiungere un grado più o meno avanzato d’iniziazione effettiva.
Dobbiamo ritornare a parlare dei caratteri propri all’insegnamento iniziatico, per i quali quest’ultimo si differenzia profondamente da ogni insegnamento profano; si tratta qui di ciò che si può chiamare l’esteriorità di questo insegnamento, vale a dire dei mezzi d’espressione mediante i quali esso può trasmettersi in una certa misura e fino ad un certo punto, alla stregua di preparazione al lavoro puramente interiore, lavoro che permetterà all’iniziazione, da virtuale che era, di diventare più o meno completamente effettiva. Abbiamo già spiegato in precedenza che il simbolismo, che è come la forma sensibile di ogni insegnamento iniziatico, è di fatto un linguaggio realmente più universale delle lingue volgari, e non è permesso dubitarne, quando si consideri che ogni simbolo è suscettibile di molteplici interpretazioni, in alcun modo contraddittorie, ma invece completantisi le une con le altre, e tutte parimenti vere, pur procedendo da differenti punti di vista; ed è in tal modo, perché questo simbolo non è tanto l’espressione di una idea nettamente definita e delimitata (nel modo delle idee chiare e distinte della filosofia cartesiana, supposte interamente esprimibili con parole) quanto la rappresentazione sintetica e schematica di tutto un insieme di idee e di concezioni che ciascuno potrà afferrare secondo le sue proprie attitudini intellettuali e nella misura in cui è preparato alla loro comprensione. Il simbolo, per chiunque pervenga a penetrarne il significato profondo, potrà fare concepire incomparabilmente più di quanto sia possibile esprimere direttamente; ed esso è anche il solo mezzo per trasmettere, nella misura del possibile, tutto quell’inesprimibile costituente il dominio propriamente iniziatico, o meglio, a più stretto rigor di termini, per depositare le concezioni di quest’ordine in germe nell’intelletto dell’iniziato, che in seguito dovrà farle passare dalla potenza all’atto, svilupparle, ed elaborarle col suo lavoro personale.
Nessuno infatti può fare altro che prepararlo a tal lavoro, tracciandogli con formule appropriate il piano che dovrà in seguito realizzare in se stesso alfine di pervenire al possesso effettivo dell’iniziazione, ricevuta dall’esteriore soltanto virtualmente. D’altronde, non bisogna dimenticare che, se l’iniziazione simbolica, da considerarsi soltanto come la base e l’appoggio dell’iniziazione effettiva, è necessariamente la sola che possa essere data esteriormente, può almeno essere conservata e trasmessa anche da coloro che non ne comprendono ne il senso ne la portata; è sufficiente che i simboli siano mantenuti intatti perché siano sempre suscettibili di svegliare, in colui che ne è capace, tutte le concezioni di cui figurano la sintesi. In tal fatto, ricordiamolo ancora una volta, risiede il vero segreto iniziatico che è inviolabile per natura e che si difende da se stesso contro la curiosità dei profani, e di cui il segreto relativo di certi segni esteriori è soltanto una figurazione simbolica; ciascuno potrà più o meno penetrate questo segreto secondo l’estensione del proprio orizzonte intellettuale, ma anche se riuscisse a penetrarlo integralmente non potrebbe mai comunicare ad un altro ciò che egli stesso avrà compreso; tutt’al più potrà aiutare a far pervenire a questa comprensione coloro soltanto che ne sono attualmente atti.
L’insegnamento iniziatico, esteriore e trasmissibile in certe forme, non è in realtà e non può essere, l’abbiamo già detto e vi insistiamo ancora, che una preparazione dell’individuo per acquistare la vera conoscenza iniziatica mediante l’effetto del suo lavoro personale. Si può indicare in tal modo ad un determinato individuo la via da seguire, il piano da realizzare, e disporlo a prendere l’atteggiamento mentale e intellettuale necessario per pervenire ad una comprensione effettiva e non semplicemente teorica; si può anche assisterlo e guidarlo, controllando il suo lavoro in modo costante, ma è tutto, poiché nessuno, fosse pure un Maestro nell’accezione più completa del termine, può fare questo lavoro in sua vece. Ciò che l’iniziato deve necessariamente acquisire per se stesso, nessuno e niente di esteriore potendo comunicarglielo, è insomma il possesso effettivo del segreto iniziatico propriamente detto; ma, perché egli possa giungere a realizzare questo possesso in tutta la sua estensione e con tutto ciò che implica, bisogna che l’insegnamento, occorrente in qualche modo come base ed appoggio per il suo lavoro personale, sia costituito in maniera tale da aprirsi su possibilità realmente illimitate per permettergli di estendere indefinitamente le sue concezioni, in pari tempo in larghezza e in profondità, invece di chiudergliele, come fa ogni punto di vista profano, nei limiti più o meno ristretti di una teoria sistematica o di una qualsiasi formula verbale.
I limiti del mentale
È il caso di insistere sulla insufficienza del mentale in riguardo ad ogni conoscenza di ordine propriamente metafisico ed iniziatico; siamo costretti ad usare questo termine di mentale a preferenza di altri, come equivalente del sanscrito manas, poiché vi si ricollega per la radice; intendiamo con questo termine l’insieme delle facoltà di conoscenza specificatamente caratteristiche dell’individuo umano, la cui principale è la cosiddetta ragione. Ricorderemo che soltanto la conoscenza metafisica, nel vero significato della parola; meta fusika: dopo le cose fisiche, essendo di ordine universale, sarebbe impossibile se non vi fosse nell’essere una facoltà del medesimo ordine, dunque trascendente in rapporto all’individuo: questa facoltà è propriamente l’intuizione intellettuale. L’uomo in quanto tale, con i suoi propri mezzi umani non può superare se stesso. Ma l’essere che in questo mondo appare come un uomo, è in realtà una cosa del tutto differente, in virtù del principio permanente ed immutabile che lo costituisce nella sua essenza profonda. Ogni conoscenza che può dirsi veramente iniziatica risulta da una comunicazione stabilita coscientemente con gli stati superiori; ed è ad una tale comunicazione che si riferiscono nettamente termini come quelli di ”ispirazione” e di ”rivelazione”, se li si considera nel loro significato più autentico. La conoscenza diretta dell’ordine trascendente, con la certezza assoluta che implica, è in se stessa evidentemente incomunicabile ed inesprimibile. I simboli, in virtù del loro carattere essenzialmente ”sintetico” sono particolarmente adatti a servire da punto di appoggio all’intuizione intellettuale. Bisogna altresì aggiungere che i simboli, in virtù del loro lato non umano, o meglio, ultra-umano, portano in se stessi una influenza la cui azione è suscettibile a risvegliare direttamente la facoltà intuitiva in coloro che li meditano nel modo voluto. L’insegnamento iniziatico non deve mai prendere una forma sistematica, ma deve invece aprirsi sempre su possibilità illimitate, in modo da poter far rilevare la parte dell’inesprimibile, che in realtà è veramente l’essenziale; in tal maniera il linguaggio stesso, quando è applicato alle Verità di quest’ordine, partecipa in qualche modo al carattere dei simboli propriamente detti. La conoscenza effettiva avviene mediante lo Spirito e l’Anima, vale a dire mediante l’Essere intero. Soltanto la rinuncia al mentale permette di valicare. Colui che si attacca al ragionamento, e non se ne disimpegna al momento voluto, RESTA PRIGIONIERO DELLA FORMA, vale a dire della limitazione che definisce lo stato individuale; mai egli potrà dunque oltrepassare quest’ultimo, e non andrà mai oltre l’esteriore, vale a dire resterà legato al ciclo indefinito di ciò che si manifesta nel visibile. Il passaggio dall’esteriore all’interiore è anche il passaggio dalla molteplicità all’unità, dalla circonferenza al centro, al punto unico da dove è possibile all’Essere Umano, restaurato nelle sue prerogative dello Stato Primordiale, elevarsi agli Stati Superiori e, con la realizzazione totale della sua vera essenza, essere infine effettivamente ed attualmente quello che è potenzialmente dall’eternità. Colui che conosce se stesso nella verità dell’essenza eterna ed infinita, conosce e possiede tutte le cose in se stesso e per se stesso, poiché è pervenuto allo STATO INCONDIZIONATO che non lascia al di fuori di sé alcuna possibilità, e questo stato, in rapporto al quale tutti gli altri, per quanto siano elevati, non sono realmente che stadi preliminari senza alcuna comune misura con esso, questo stato, che è lo scopo ultimo di ogni iniziazione, è propriamente ciò che si deve intendere come L’IDENTITÀ SUPREMA.
Della cosiddetta cultura profana
Bisogna finirla col pregiudizio troppo diffuso secondo cui si vuole che la cosiddetta cultura, nel senso profano e mondano del termine, abbia un qualsiasi valore, fosse pure soltanto a titolo preparatorio, in confronto alla conoscenza iniziatica, mentre non ha, né può in vero avere, alcun punto di contatto con quest’ultima. Ogni studio libresco fa parte incontestabilmente dell’educazione più esteriore; vi insistiamo ad evitare che si possa equivocare quando questo studio verta su libri il cui contenuto è di ordine iniziatico. Colui che legge tanti libri al modo stesso della gente colta od anche colui che li studia al modo stesso degli eruditi, e secondo i metodi profani, non sarà per tale motivo più vicino alla vera conoscenza, poiché vi porta disposizioni che non gli permettono di penetrarne il senso reale, né di assimilarlo ad un qualsiasi grado.
GIÀ ABBIAMO DETTO CHE TUTTO QUANTO APPARTIENE ALLA CONOSCENZA INIZIATICA NON PUÒ ESSERE MINIMAMENTE L’OGGETTO DI UNA QUALSIASI DISCUSSIONE, E CHE D’ALTRONDE LA DISCUSSIONE IN GENERALE È, SE COSÌ SI PUÒ DIRE, UN PROCEDIMENTO PROFANO PER ECCELLENZA.
L’insegnamento iniziatico per essere realmente giovevole, richiede naturalmente un atteggiamento mentale ricettivo, ma ricettività non è sinonimo di passività: invece questo insegnamento esige, da parte di chi lo riceve, uno sforzo costante di assimilazione, vale a dire proprio qualche cosa di essenzialmente attivo, ed anzi di attivo al più alto grado. L’iniziato non è un soggetto, anzi ne è il contrario; ogni tendenza alla passività non può essere che di ostacolo all’iniziazione, e quando è predominante, costituisce una squalificazione irrimediabile. L’iniziazione deve precisamente condurre alla COSCIENZA PIENAMENTE REALIZZATA ed EFFETTIVA del SÉ.
LA CATENA INIZIATICA NON ESISTE PER LEGARE L’ESSERE, MA ESISTE PER FORNIRGLI UN APPOGGIO CHE GLI PERMETTA DI ELEVARSI INDEFINITAMENTE E DI OLTREPASSARE LE LIMITAZIONI DELL’ESSERE INDIVIDUALE E CONDIZIONATO.
Qualche riflessione sui Rosa Croce
Coloro che a partire dal XIV secolo furono chiamati i Rosa-Croce in Occidente, e che ricevettero diverse denominazioni in altri tempi e in altri luoghi, (poiché il nome ha qui soltanto un valore puramente simbolico e deve esso stesso essere adattato alle circostanze), non formarono mai una associazione qualsiasi; essi sono la COLLETTIVITÀ DEGLI ESSERI PERVENUTI AD UNO STESSO STATO SUPERIORE A QUELLO DELL’UMANITÀ ORDINARIA, AD UNO STESSO GRADO DI INIZIAZIONE EFFETTIVA, di cui abbiamo indicato uno degli aspetti essenziali, e posseggono così gli stessi caratteri interiori, il che è sufficiente per RICONOSCERSI FRA LORO SENZA AVER BISOGNO DI ALCUN SEGNO ESTERIORE. Per tale motivo, non hanno altro luogo di riunione che il Tempio dello Spirito Santo, che è DOVUNQUE, sicché le sue descrizioni date talvolta non possono essere intese che simbolicamente; ed è anche per un motivo simile che restano necessariamente sconosciuti dai profani fra cui vivono, esteriormente simili a loro, sebbene in realtà interamente differenti da questi ultimi; infatti I LORO SOLI SEGNI DISTINTIVI SONO PURAMENTE INTERIORI E NON POSSONO ESSERE PERCEPITI CHE DA QUELLI CHE HANNO RAGGIUNTO LO STESSO SVILUPPO SPIRITUALE; in tal modo, la loro influenza, più legata ad una azione di presenza che ad un’attività esteriore qualsiasi, si esercita per vie totalmente incomprensibili agli uomini comuni. Quello che esso rappresenta è ciò che può chiamarsi la perfezione dello stato umano, poiché il simbolo stesso della Rosa-Croce figura, per i due elementi da cui semplicemente è composto, la reintegrazione dell’essere al centro di questo stato e la piena espansione delle sue possibilità individuali a partire da questo centro; esso designa dunque molto esattamente la RESTAURAZIONE DELLO STATO PRIMORDIALE o, ed è lo stesso, il compimento dell’iniziazione in senso stretto. Dopo la distruzione dell’Ordine dei Templari, gli iniziati all’esoterismo cristiano si riorganizzarono, d’accordo con gli iniziati dell’esoterismo islamico per mantenere, nella misura del possibile, il legame apparentemente rotto da questa distruzione; ma una tale riorganizzazione dovette farsi in modo più nascosto, in qualche maniera invisibile, e senza prendere appoggio in una istituzione esteriormente conosciuta, che, come tale avrebbe potuto essere distrutta ancora una volta. I veri Rosa-Croce furono propriamente gli ispiratori di questa riorganizzazione, o se si vuole, furono i possessori del grado iniziatico di cui abbiamo parlato, considerati specialmente in quanto rappresentarono questa parte che si continuò fino al momento in cui, in seguito ad altri avvenimenti storici, il legame tradizionale considerato fu definitivamente rotto per il mondo Occidentale, il che si produsse durante il XVII secolo. È detto che i Veri Rosa-Croce si ritirarono in Oriente, vale a dire, da quel momento, non vi fu più in Occidente alcuna iniziazione atta a far raggiungere effettivamente questo grado; in conseguenza l’azione che vi si era esercitata fino ad allora, per il mantenimento dell’insegnamento tradizionale corrispondente, cessò di manifestarsi almeno in modi regolare e normale.
Iniziazione sacerdotale ed iniziazione reale
Figura 2: Il Wang, l’ideogramma del Re e dell’Uomo Trascendente. L’ideogramma Wang 王 graficamente è composto da 3 linee orizzontali, che rappresentano le Tre Potenze dell’Universo, Cielo, Uomo e Terra, unite da un tratto verticale, il Re, che ha il compito di garantire l’armonia di tutte le forze vitali officiando i riti nel luogo giusto al momento giusto.
- Possiamo distinguere le iniziazioni in ambito esoterico in iniziazioni di tipo SACERDOTALE o CONTEMPLATIVO, in uso specialmente nelle tradizioni orientali, ed iniziazioni di tipo REALE, GUERRIERO o ATTIVO, tipiche delle tradizioni occidentali.
- Dobbiamo sottolineare che la Conoscenza è sempre superiore all’Azione, perché il dominio metafisico è sempre superiore al dominio fisico, come il principio è sempre superiore a ciò che ne deriva. Da ciò proviene la distinzione fra i grandi misteri costituenti propriamente l’iniziazione di tipo contemplativo o sacerdotale, ed i piccoli misteri costituenti propriamente l’iniziazione di tipo Reale.
- Stando le cose in tale maniera, ogni Tradizione, per essere regolare e completa deve comportare ugualmente, nel suo aspetto esoterico, le 2 iniziazioni, o più esattamente le due parti dell’iniziazione, vale a dire i Grandi Misteri ed i Piccoli Misteri.
- Comunque ciò che non bisogna mai perdere di vista, e che è alla base stessa di ogni insegnamento veramente iniziatico, è che ogni realizzazione degna di questo nome è di ordine essenzialmente interiore, anche se è suscettibile di avere all’esterno ripercussioni di qualsiasi genere. L’uomo può trovare i principi soltanto in se stesso e lo può perché porta in se la corrispondenza di tutto ciò che esiste; infatti non bisogna dimenticare che, secondo una formula dell’esoterismo islamico, L’UOMO È IL SIMBOLO DELL’ESISTENZA UNIVERSALE E SE ARRIVA A PENETRARE FINO AL CENTRO DEL SUO PROPRIO ESSERE, EGLI RAGGIUNGE LA CONOSCENZA TOTALE, con tutto ciò che implica per sovrappiù: COLUI CHE CONOSCE IL SUO SÈ CONOSCE IL SUO SIGNORE, ed allora conosce tutte le cose nella suprema unità del Principio stesso in cui ogni realtà è eminentemente contenuta.
- L’iniziazione, nella sua prima parte, quella che riguarda propriamente le possibilità dello stato umano e costituisce quelli che vengono chiamati i PICCOLI MISTERI, ha appunto come scopo la restaurazione dello stato primordiale; in altre parole, grazie a questa iniziazione, se effettivamente realizzata, l’uomo è ricondotto, dalla condizione decentrata che presentemente è la sua, alla posizione centrale che normalmente gli compete e reintegrato in tutte le prerogative inerenti a questa posizione centrale.
- L’uomo vero è perciò quello pervenuto effettivamente al termine dei piccoli misteri, ossia alla perfezione dello stato umano; in virtù di ciò, egli è ormai definitivamente insediato nell’INVARIABILE MEZZO (Tchoung-Young) E SFUGGE COSÌ ALLE VICISSITUDINI DELLA RUOTA COSMICA, PERCHÉ IL CENTRO NON PARTECIPA AL MOVIMENTO DELLA RUOTA, MA È IL PUNTO FISSO E IMMUTABILE INTORNO AL QUALE SI EFFETTUA IL MOVIMENTO.
- L’UOMO VERO, ESSENDO PASSATO DALLA CIRCONFERENZA AL CENTRO, DALL’ESTERNO ALL’INTERNO, SVOLGE REALMENTE, RISPETTO A QUESTO MONDO CHE È IL SUO, LA FUNZIONE DEL MOTORE IMMOBILE, LA CUI AZIONE DI PRESENZA IMITA, NEL PROPRIO AMBITO, L’ATTIVITÀ NON AGENTE DEL CIELO.
- Il fatto è che l’unico punto dell’asse che si situi nell’ambito dello stato umano è il centro di tale stato, sicché per chi non sia giunto al centro l’asse non è percettibile direttamente, ma solo attraverso questo punto che è la sua traccia sul piano rappresentativo di tale ambito; ciò equivale, in altri termini, a quanto abbiamo già detto, e cioè che una comunicazione diretta con gli stati superiori dell’essere, effettuandosi lungo l’asse, è possibile unicamente dal centro; per il resto dell’ambito umano, può esserci soltanto una comunicazione indiretta, mediante una specie di rifrazione a partire da tale centro.
- Così, da un lato, l’essere che si trova al centro, senza essersi identificato con l’asse, può svolgere realmente nei confronti dello stato umano quel ruolo di mediatore che l’Uomo Universale svolge per la totalità degli stati; e dall’altra, colui che ha superato lo stato umano, innalzandosi lungo l’asse agli stati superiori, è ormai perduto di vista, se possiamo esprimerci così, per tutti coloro che si trovano in tale stato e non sono ancora pervenuti al suo centro, compresi quelli che possiedono gradi iniziatici effettivi, ma inferiori al grado di uomo vero cioè di uomo pervenuto alla conoscenza dei piccoli misteri. Costoro non hanno perciò alcun mezzo per distinguere l’uomo trascendente dall’uomo vero, in quanto dallo stato umano l’uomo trascendente può essere scorto solo attraverso la sua traccia, e questa traccia si identifica con la figura dell’uomo vero; da tale punto di vista, dunque, l’uno è realmente indiscernibile dall’altro.
Della gerarchia iniziatica
- Ogni organizzazione iniziatica è in se stessa essenzialmente gerarchica, tanto che si potrebbe scorgere in un tal fatto uno dei suoi caratteri fondamentali. La gerarchia iniziatica ha qualche cosa di speciale in se che la distingue da tutte le altre gerarchie nell’ordine profano; ed è che essa è formata essenzialmente da GRADI DI CONOSCENZA, con tutto quello che implica questa parola intesa nel suo vero significato, e quando la si prende nella pienezza di quest’ultimo si riferisce in realtà alla conoscenza effettiva.
- Alcuni hanno rappresentato i gradi iniziatici come una serie di RECINTI CONCENTRICI che devono essere superati successivamente; una tale immagine è esatta, poiché infatti si tratta di AVVICINARSI SEMPRE PIÙ PROPRIO AD UN CENTRO DA RAGGIUNGERE INFINE ALL’ULTIMO GRADO.
L’infallibilità della tradizione
- La Dottrina iniziatica è infallibile perché è una espressione della Verità, che in se stessa è assolutamente indipendente dagli individui che la ricevono e la comprendono. La garanzia della Dottrina risiede in definitiva nel suo carattere ”non-umano”.
- La Verità non è fatta dall’uomo, come vorrebbero i relativisti ed i soggettivisti moderni, ma essa invece gli si impone, non tuttavia dal di fuori come una imposizione fisica, bensì in realtà dal di dentro, perché l’uomo non è evidentemente obbligato a riconoscerla come verità se prima non la conosce, vale a dire se essa non è penetrata in lui e se egli non l’ha realmente assimilata.
- Ne consegue che l’uomo sarà infallibile se esprime una verità che conosce realmente, vale a dire a cui sarà identificato; ma non sarà allora infallibile in quanto individuo umano, bensì in quanto, in virtù di questa identificazione, rappresenta, per così dire, questa verità stessa.
- L’interprete autorizzato della Dottrina Esoterica, in quanto esercita la sua funzione come tale, non può parlare mai a nome proprio, ma unicamente a nome della Tradizione che allora rappresenta, e in qualche modo incarna, e che è essa soltanto realmente infallibile; finché è così, l’individuo non esiste che come semplice appoggio della formulazione dottrinale, appoggio che in se stesso non rappresenta una parte attiva, come non ne ha la carta su cui un libro viene stampato, nei confronti delle idee cui serve da veicolo. Se poi gli capita di parlare a proprio nome nell’esercizio della sua funzione, ed allora non esprime che semplici opinioni individuali, per cui non è più infallibile, non più infallibile di un altro individuo qualsiasi; egli non gode dunque per se stesso di alcun privilegio, poiché, appena la sua individualità riappare e si afferma, cessa immediatamente di essere il Rappresentante della Tradizione, e non è più che un uomo ordinario come qualsiasi altro, che, nel rapporto dottrinale, vale soltanto nella misura della conoscenza da lui posseduta realmente in proprio, e che, in ogni caso, non può pretendere di imporre ad alcuno la sua autorità.
- L’infallibilità di cui abbiamo trattato è dunque legata unicamente alla funzione e non all’individuo in quanto tale.
Cos’è infine l’iniziazione
- Con l’iniziazione l’essere passa dunque dalle tenebre alla luce, come il mondo alla sua stessa origine (e il simbolismo della ”nascita” è ugualmente applicabile ai due casi) vi è passato per l’atto del Verbo creatore ed ordinatore. E così l’iniziazione è veramente, secondo un carattere d’altronde molto generale dei riti tradizionali, un’immagine di ciò che è stato fatto in Principio.
- Lo stato dell’essere anteriormente all’iniziazione costituisce la sostanza indistinta di tutto quello che egli potrà diventare effettivamente in seguito, poiché, come abbiamo detto in precedenza, l’iniziazione non può avere per effetto d’introdurre in questo essere possibilità prima inesistenti (questa è d’altronde la ragione d’essere delle qualificazioni richieste come condizione preliminare), al pari del Fiat Lux cosmogonico che non aggiunge sostanzialmente nulla alle possibilità del mondo per cui è proferito; ma queste possibilità non vi si trovano che ancora allo stato caotico e tenebroso, ed è necessaria l’illuminazione perché possano cominciare ad ordinarsi ed a passare dalla potenza all’atto.
- Si deve infatti comprendere che questo passaggio non si effettua istantaneamente, ma si continua durante tutto il lavoro iniziatico, come, dal punto di vista macrocosmico, esso si persegue durante tutto il ciclo di manifestazione del mondo considerato; il cosmos o l’ordine non esiste che solo virtualmente, per il fatto del Fiat Lux iniziale (che d’altronde in se stesso deve essere considerato come avente un carattere propriamente intemporale, poiché precede lo svolgimento del ciclo di manifestazione e non può quindi situarsi all’interno di quest’ultimo), e parimenti l’iniziazione non è compiuta che virtualmente con la comunicazione dell’influenza spirituale di cui la luce è in qualche maniera l’appoggio rituale.
Conclusioni
La corrente del fiume magnetico
Essere iniziati è lasciarsi portare via dal lumen senza cercare di fermarlo, di caratterizzarlo. Il lumen è una corrente di energia sottile sostenuta da una sorgente primordiale, che può essere attinta solo da un CUSTODE-MAGO, un ROSA-CROCE sotto mentite spoglie, un TEMPLARE del CERCHIO INTERNO, uno SCIAMANO ANDINO, un SUFI. Noi ci sintonizziamo con la corrente sulla base delle nostre capacità e formiamo una catena ininterrotta, assicurando così una continuità alla sapienza ancestrale. Non siamo migliori o superiori agli altri, sappiamo di essere fortunati perché ci siamo trovati anni fa in una bottega magica a contatto con un portatore di iniziazione. IL SEMPLICE CONTATTO CON UN UOMO DI ELEVATO LIVELLO SPIRITUALE È SUFFICIENTE PER INNESCARE IL PROCESSO ALCHEMICO DI TRASFORMAZIONE. Il trasferimento avviene per mezzo di una specialissima combinazione di sostanze che sono generate dal profondo dell’essere risvegliato, dal suo corpo planetario, e ritrasmesse ad altri. Essa può assumere la consistenza, approssimativamente, di uno psicofluido (acqua caricata) che ha capacità terapeutiche e viaggianti (immersione in varchi interdimensionali). È il Vello d’Oro che ricompatta il cervello bicamerale e passa più in là: nel mondo cosmico dei Nove Mondi in cui il nostro mondo è immerso. Non v’è segreto, tuttavia non c’è niente di più inafferrabile del percorso iniziatico tradizionale. Nostro compito è quello di cercare nuovi pascoli per coltivare l’antico sapere, irrorando la terra col nostro fiume magnetico. Nel corso dei millenni, singoli e gruppi hanno realizzato il compito, la missione se volete, di non disperdere l’antica sapienza, la magia presente prima della scomparsa di Atlantide. I cicli discendenti della civiltà, hanno diradato l’influenza dell’antico sapere, fino a renderlo minoritario rispetto alla scienza; anzi, bandendolo dai comuni canali di apprendimento. Oggi la magia è sceneggiatura per film, soggetto di letteratura d’evasione, pretesto intrigante di furbi cialtroni, prestigiatori e mentalisti da palcoscenico: certo, una ben misera fine se si considera la sua centralità nelle umane vicende di altri tempi. Qualcosa si smuove però, gli archetipi ritornano sotto altre forme. L’attuale successo del fantasy, dei supereroi, di tutta una serie di tematiche misteriosofiche sul web, al di là di facili sociologie, dimostrano che nel cuore dell’uomo pulsa ancora il sacro fuoco. Voglia di evadere dal comune, piatto, asfittico, digitale senso della realtà?
Rompere le catene
La nostra missione è:
- Infrangere MAYA che ci limita la percezione della Realtà
- Nuotare ai margini del fiume per evitare di esser trascinati dalle centrali correnti samsariche, le onde delle dissipazioni terrene
- Tagliare il velo d’Iside oppressore della nostra natura stellare
- Uscire dalle convenzioni che ci impediscono di conoscere realmente chi siamo
- Fuggire dalla puzza ammorbante della narcoipnosi di massa: ci buttiamo nella melma per navigarla e vedere cosa c’è oltre.
Il fine della Vita è veicolare qualcosa di superiore, una eredità cosmica oltre il passaggio terreno. Rimaniamo radianti tra gli scarti del mondo. Prima o poi ci faremo strada. Il ciclo finale, quello per intenderci dell’età oscura, è collegato ad Atlantide che non fu sommersa dalle acque, ma scomparve a causa di una guerra fratricida, dove furono usate armi magnetiche capaci di alterare la stessa struttura della realtà, ANNULLANDO LA PARETE DI BLOCH, che è un limite ideale di separazione tra due regioni caratterizzate da differenti proprietà. Eppure ritroviamo un facile nesso tra onde che raffigurano e simbolizzano l’acqua e quelle elettromagnetiche, che causarono la fine sul piano visibile del Continente Rosso. L’era in cui viviamo è allo stato terminale, poiché siamo continuamente separati dal Creatore e l’uomo della Brocca (chi perde la Brocca perde il senno; ma vi è anche la curiosa assonanza con l’area di Broca che governa il linguaggio, parte dell’emisfero sinistro del nostro cervello) ha versato tutta l’acqua a disposizione. Due linee ondulate, l’una sopra l’altra, sono il geroglifico delle onde in movimento che si propagano lungo l’ultimo tratto del Tempo. L’Età dell’Acquario non è un’epoca a venire piena di meraviglie e cambiamenti gratuiti, come credono gli astrologhi e i volenterosi seguaci della New Age, la nuova era è una frequenza magnetica. Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro:
«Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua (storicamente gli uomini a quel tempo non portavano l’acqua, essendo un compito da donne: allora chi era quell’uomo e che acqua conteneva la sua brocca?); seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. – Vangelo di Marco 14,2.
Il lato oscuro del mondo
Di tutti i problemi che costantemente hanno preoccupato gli uomini, ve ne è uno, quello DELL’ORIGINE DEL MALE, che pare esser sempre stato il più difficile da risolvere, tanto da rivelarsi un ostacolo insormontabile per la maggior parte dei filosofi e soprattutto dei teologi:
SI DEUS EST, UNDE MALUM? SI NON EST, UNDE BONUM?
Il dilemma è effettivamente insolubile per coloro che considerano la Creazione come l’opera diretta di Dio e che, di conseguenza, sono OBBLIGATI A RITENERLO RESPONSABILE SIA DEL BENE CHE DEL MALE. Si dirà senza dubbio che questa responsabilità è in una certa misura attenuata dalla libertà delle creature; ma se le creature possono scegliere tra il Bene ed il Male, è segno che entrambi esistono già, almeno in principio, e se esse talvolta sono piuttosto propense a decidersi per il Male invece di essere sempre portate al Bene, ciò è dovuto al fatto che sono imperfette; ma come ha potuto Dio, se è perfetto, creare esseri imperfetti?
È evidente che il perfetto non può generare l’imperfetto, perché, se così fosse, il perfetto dovrebbe contenere in se stesso l’imperfetto allo stato principiale ed allora non sarebbe più il perfetto. L’imperfetto non può dunque procedere dal perfetto per via di emanazione; potrebbe solo risultare dalla creazione ex nihilo; ma com’è possibile ammettere che qualcosa possa venire dal nulla, o, in altri termini, che possa esistere qualcosa che non abbia un principio? D’altronde, l’ammettere la creazione ex nihilo equivarrebbe ad ammettere l’annientamento finale degli esseri creati, poiché ciò che ha avuto un inizio deve anche avere una fine, e non vi sarebbe nulla di più illogico del parlare in tal caso di immortalità; del resto la creazione così intesa non è che un’assurdità, perché essa contraddice quel principio di causalità che nessun uomo ragionevole può in buona fede negare, per cui possiamo dire con Lucrezio «Ex nihilo nihil, ad nihilum nil posse reverti». Niente può esistete che non abbia un principio; ma qual è questo principio? E non vi è in realtà un principio unico di tutte le cose?
Se si considera l’Universo totale, è evidente che esso comprende tutte le cose, perché tutte le parti sono contenute nel Tutto; d’altra parte, il Tutto è propriamente illimitato, perché, se avesse un limite, ciò che è al di là di questo limite non sarebbe compreso nel Tutto, supposizione, questa, assurda. Ciò che non ha limiti può essere chiamato l’Infinito, e, comprendendo esso tutto, questo Infinito è il principio di tutte le cose. D’altronde, l’Infinito è necessariamente unico, perché due infiniti che non fossero identici si escluderebbero a vicenda; ne consegue dunque che non vi è che un Principio unico di tutte le cose, e questo Principio è la Perfezione, poiché l’Infinito può esser tale solamente se esso è perfetto. Così la PERFEZIONE è il PRINCIPIO SUPREMO, la CAUSA PRIMA; essa contiene tutte le cose in potenza, ed essa ha prodotto ogni cosa; ma allora, poiché non v’è che un Principio unico, che ne è di tutte le opposizioni che si colgono abitualmente nell’Universo: l’Essere ed il Non-Essere, lo Spirito e la Materia, il Bene ed il Male?
Ci ritroviamo così di fronte alla domanda formulata all’inizio e che ora possiamo porre in un modo più generale: COME HA POTUTO L’UNITÀ PRODURRE LA DUALITÀ?
Certuni hanno creduto di dover ammettere l’esistenza di due principi distinti, opposti l’uno all’altro; ma questa ipotesi è da scartarsi per quanto abbiamo precedentemente detto. Infatti questi due principi non possono essere entrambi infiniti, perché allora si escluderebbero a vicenda o si confonderebbero; se solo uno fosse infinito, esso sarebbe il principio dell’altro; e, se entrambi fossero finiti, non sarebbero veri principi, poiché dire che il finito può esistere di per se stesso equivarrebbe a sostenere che qualcosa possa venire dal nulla: infatti tutto ciò che è finito ha un inizio, logico anche se non cronologico. In tal caso, essendo entrambi finiti, essi devono procedere da un principio comune, quest’ultimo infinito, e così siamo ricondotti a considerare un PRINCIPIO UNICO. Del resto, molte dottrine, abitualmente ritenute «dualistiche», non lo sono che apparentemente; nel Manicheismo, così come nella religione di Zoroastro, il dualismo era una dottrina puramente exoterica che celava la vera dottrina esoterica dell’Unità: Ormuzd e Ahriman sono entrambi generati da Zervané-Akerene e dovranno fondersi in lui alla fine dei tempi.
LA DUALITÀ, NELL’IMPOSSIBILITÀ DI ESISTERE DI PER SE STESSA, È DUNQUE NECESSARIAMENTE PRODOTTA DALL’UNITÀ; MA IN CHE MODO PUÒ PRODURSI?
Per comprenderlo dobbiamo anzitutto considerare la Dualità nel suo aspetto meno particolaristico, quello dell’opposizione tra l’Essere ed il Non-Essere; ma poiché l’uno e l’altro sono necessariamente contenuti nella Perfezione totale, appare subito evidente che tale opposizione non può essere che apparente. Sarebbe dunque più giusto parlare solo di distinzione; ma in cosa consiste tale distinzione? Esiste in realtà indipendentemente da noi, od è semplicemente una conseguenza del nostro modo di vedere le cose? Se per Non-Essere si intende il nulla, è inutile parlarne: infatti cosa si può dire del nulla? Non così se si considera il Non-Essere come possibilità d’Essere; l’Essere è allora la manifestazione del Non-Essere inteso in questo modo, ed è contenuto allo stato potenziale in tale Non-Essere. Il rapporto tra il Non-Essere e l’Essere è dunque il rapporto tra il non-manifestato ed il manifestato, e si può affermare che il non-manifestato è superiore al manifestato, di cui è il principio, poiché contiene in potenza tutto il manifestato ed anche ciò che non è, che non fu, né sarà mai manifestato. Nello stesso tempo, è evidente che non si può parlare qui di una distinzione reale, poiché il manifestato è contenuto in principio nel non-manifestato; tuttavia, noi non possiamo concepire direttamente il non-manifestato se non attraverso il manifestato; questa distinzione dunque esiste, ma unicamente per noi. Se ciò vale per la Dualità colta nel suo aspetto di distinzione tra l’Essere ed il Non-Essere, a maggior ragione varrà per tutti gli altri aspetti della Dualità. A questo punto ci si accorge quanto illusoria sia la distinzione tra Spirito e Materia, sulla quale nondimeno, soprattutto nei tempi moderni, è stato costruito un così gran numero di sistemi filosofici aventi appunto tale distinzione a fondamento delle loro teorie, va da sé che se tale distinzione venisse meno, nulla più rimarrebbe di tutti questi sistemi. Inoltre possiamo notare che la Dualità non può esistere senza il TERNARIO: se il Principio supremo, differenziandosi, dà luogo a due elementi, i quali del resto sono distinti solo in quanto li reputiamo tali, questi due elementi ed il loro Principio comune formano un Ternario, sicché in realtà è il Ternario e non il Binario ad essere immediatamente prodotto dalla prima differenziazione dell’Unità primordiale. Ritorniamo ora alla distinzione tra il Bene ed il Male, la quale è appunto un aspetto particolare della Dualità. Quando si oppone il Bene al Male, generalmente si fa consistere il Bene nella Perfezione, o quantomeno in una tendenza alla Perfezione, ed allora il Male non è nient’altro che l’imperfezione: ma come può l’imperfetto opporsi alla Perfezione?
Abbiamo visto che la Perfezione è il principio di tutte le cose e che, d’altra parte, non può produrre l’imperfetto, donde risulta che in realtà l’imperfetto non esiste, o almeno non può esistere che come elemento costitutivo della Perfezione totale; ma allora esso non può essere realmente imperfetto, e quel che noi chiamiamo imperfezione non è che relatività. Per cui un «errore» non è che una verità relativa: tutti gli errori, infatti, devono essere contenuti nella Verità totale, poiché, diversamente, questa trovandosi limitata da qualcosa di esteriore a se stessa non sarebbe perfetta, cioè non sarebbe la Verità. Gli errori, o piuttosto le verità relative, non sono che frammenti della Verità totale; è dunque la FRAMMENTAZIONE A PRODURRE LA RELATIVITÀ, PER CUI LA SI POTREBBE RITENERE LA CAUSA DEL MALE, sempre che «relatività» fosse realmente sinonimo di «imperfezione»; sennonché il Male non è tale se non quando lo si distingue dal Bene. D’altra parte, se si chiama Bene il Perfetto, il relativo non ne è realmente distinto, poiché v’è contenuto in principio; dunque, dal punto di vista universale, il Male non esiste.
ESSO ESISTE SOLO, SE SI CONSIDERANO LE COSE SOTTO UN ASPETTO FRAMMENTARIO ED ANALITICO, separandole dal loro Principio comune invece di vederle sinteticamente contenute in questo Principio, che è la Perfezione. Così si crea l’imperfetto; e distinguendo il Male dal Bene, li si crea entrambi proprio con questa distinzione, poiché il Bene ed il Male sono tali solamente se messi in opposizione l’uno all’altro; inoltre, se il Male non esiste, non si può neppure parlare di Bene nel senso ordinariamente attributo a questa parola, ma solamente di Perfezione.
È DUNQUE LA FATALE ILLUSIONE DEL DUALISMO AD ATTUARE IL BENE ED IL MALE, OSSIA, CONSIDERANDO LE COSE DA UN PUNTO DI VISTA PARTICOLARE, A SOSTITUIRE LA MOLTEPLICITÀ ALL’UNITÀ, IMPRIGIONANDO COSÌ GLI ESSERI SU CUI ESERCITA IL SUO POTERE NEL DOMINIO DELLA CONFUSONE E DELLA DIVISIONE: TALE DOMINIO È L’IMPERO DEL DEMIURGO.
Quanto abbiamo detto sulla distinzione tra il Bene ed il Male permette di comprendere il simbolismo della Caduta originale, almeno nella misura in cui queste cose possono venir espresse. La FRAMMENTAZIONE DELLA VERITÀ TOTALE, o del VERBO, che è in fondo la stessa cosa, FRAMMENTAZIONE CHE PRODUCE LA RELATIVITÀ, è identica alla segmentazione dell’Adam Kadmon, le cui separate particelle costituiscono l’Adam Protoplastes, cioè il primo formatore; la causa di tale segmentazione è Nahash, l’Egoismo o il desiderio dell’esistenza individuale. Nahash non è affatto una causa esteriore all’uomo, ma è in lui, inizialmente allo stato potenziale, diventandogli esteriore nella misura in cui l’uomo stesso l’esteriorizza; questo istinto di separatività, per la sua natura di provocatore di divisione, spinge l’uomo a gustare del frutto dell’Albero della Scienza del Bene e del Male. Allora gli occhi dell’uomo si aprono, perché ciò che era interiore è diventato esteriore in conseguenza della separazione che si è prodotta tra gli esseri; questi appaiono allora rivestiti di forme, le quali limitano e definiscono le loro esistenze individuali; e l’uomo pure è rivestito di una forma, o, secondo l’espressione biblica, di una «tunica di pelle»; egli si trova così racchiuso nel dominio del Bene e del Male, nell’Impero del Demiurgo.
DA QUESTA BREVE ESPOSIZIONE PER SOMMI CAPI E MOLTO INCOMPLETA, RISULTA CHE IL DEMIURGO NON È AFFATTO UNA POTENZA ESTERIORE ALL’UOMO: NON È CHE LA STESSA VOLONTÀ DELL’UOMO ALLORQUANDO REALIZZA LA DISTINZIONE TRA IL BENE ED IL MALE.
Ma in seguito, limitato in quanto essere individuale da quella volontà che in realtà è la sua, l’uomo la ritiene come qualcosa di esteriore, e così essa diventa distinta da lui, non solo, ma opponendosi essa agli sforzi che l’uomo compie per uscire dal dominio in cui s’è egli stesso racchiuso, egli la considera come una potenza ostile, e la chiama Shaitan – l’Avversario. Facciamo notare, del resto, che questo Avversario, che noi stessi abbiamo creato e che creiamo ad ogni istante (infatti non si deve pensare che la cosa si svolga in un tempo o in un luogo determinato) non è affatto cattivo in se stesso, ma è solamente l’insieme di tutto ciò che ci è contrario. Da un punto di vista più generale, il Demiurgo, quale potenza distinta ed in quanto tale, è appunto il «Principe di questo Mondo» di cui si parla nel Vangelo di S. Giovanni; anche qui, egli non è propriamente parlando né buono né cattivo, o piuttosto egli è l’uno e l’altro, poiché contiene in se stesso il Bene ed il Male. Il suo dominio è il Mondo inferiore, che si oppone al Mondo superiore o all’Universo principiale da cui è stato separato, ma occorre rilevare che questa separazione non è mai stata reale in senso assoluto; essa è reale solo nella misura in cui la realizziamo, perché questo Mondo inferiore è contenuto allo stato potenziale nell’Universo principiale, essendo evidente che una parte non può realmente uscire dal Tutto. È questo, d’altronde, che impedisce alla Caduta di continuare indefinitamente: questa è un’espressione del tutto simbolica, e la profondità della Caduta è semplicemente la misura del grado di separazione. Con questa restrizione, il Demiurgo si oppone all’Adam Kadmon o all’Umanità principiale, manifestazione del Verbo, solamente come una sorta di riflesso, poiché non ne è affatto un’emanazione e non esiste di per se stesso; ciò è rappresentato dalla figura dei due Vegliardi dello Zohar e anche dai due triangoli del Sigillo di Salomone.
Ciò ci induce a considerare il Demiurgo come un riflesso tenebroso ed invertito dell’Essere, poiché altro non può essere in realtà. Esso non è dunque un essere, ma, secondo quanto abbiamo precedentemente detto, può venire inteso come la collettività degli esseri nella misura in cui essi sono distinti o, se si preferisce, in quanto essi hanno un’esistenza individuale. Noi siamo esseri distinti perché creiamo noi stessi la distinzione, la quale non esiste se non nella misura in cui la creiamo; creando questa distinzione, siamo gli elementi del Demiurgo, e, fintantoché siamo esseri distinti, apparteniamo al dominio di questo stesso Demiurgo, il quale è appunto la «Creazione». Tutti gli elementi della Creazione, cioè le creature, sono dunque contenuti nel Demiurgo, stesso, il quale non può trarli che da se stesso, perché la creazione ex nihilo è impossibile. Considerato come Creatore, il Demiurgo produce per prima cosa la divisione, dalla quale non è realmente distinto, poiché egli non esiste che nella misura in cui la divisione stessa esiste; inoltre, siccome la divisione è la fonte dell’esistenza individuale, ed essendo questa definita dalla forma, il Demiurgo deve essere considerato come formatore, ed allora egli è identico all’Adam Protoplastes, così come già abbiamo visto.
Si può ancora dire che il Demiurgo crea la Materia ‑ intendendo con questa parola il caos primordiale, crogiuolo di tutte le forme – per poi organizzare questa Materia caotica e tenebrosa, ove regna la confusione, e farne scaturire le molteplici forme il cui insieme costituisce la Creazione.
Si deve ora dire che questa Creazione sia imperfetta? Certamente non la si può considerare perfetta; ma se ci si pone dal punto di vista universale, essa è uno degli elementi costitutivi della Perfezione totale. La Creazione è imperfetta solo se la si considera analiticamente e separata dal suo Principio, e lo è d’altronde nella misura stessa in cui essa è il dominio del Demiurgo; ma, se l’imperfetto non è che un elemento del Perfetto, esso non sarà veramente imperfetto, per cui in realtà il Demiurgo ed il suo dominio non esistono, dal punto di vista universale, così come non esiste la distinzione tra il Bene e il Male. Ne consegue pure, sempre dallo stesso punto di vista, che la Materia non esiste: l’apparenza materiale non è che un’illusione, anche se non bisogna concludere che gli esseri che hanno questa apparenza non esistano, perché altrimenti si cadrebbe in un’altra illusione, quella di un idealismo esagerato e mal compreso.
SE LA MATERIA NON ESISTE, PER CIÒ STESSO SPARISCE LA DISTINZIONE TRA SPIRITO E MATERIA.
TUTTO È SPIRITO IN REALTÀ, ma questo termine deve essere inteso in un senso del tutto diverso da quello attribuitogli dalla maggioranza dei filosofi moderni. Costoro, infatti, pur opponendo lo Spirito alla Materia, non lo considerano affatto indipendente dalla forma, per cui si può domandare in che cosa esso si differenzi dalla Materia; e se si afferma che esso è inesteso, a differenza della Materia che è estesa, come si può sostenere che l’inesteso possa esser rivestito di una forma? Del resto, perché questo volere definire lo Spirito? Che ciò avvenga con il pensiero o altrimenti, è sempre con una forma che si cerca di definirlo, ed allora non si tratterà più dello Spirito. In realtà, lo Spirito universale è l’Essere, e non questo o quell’altro essere particolare; è il Principio di tutti gli esseri, e tutti li contiene: perciò tutto è Spirito. Quando l’uomo perviene alla conoscenza reale di questa verità, identifica se stesso ed ogni cosa allo Spirito Universale, ed allora ogni distinzione per lui scompare, ed egli contempla tutte le cose come in se stesso e non più come esteriori, perché l’illusione svanisce di fronte alla Verità, come l’ombra davanti al sole.
COSÌ, DA QUESTA STESSA CONOSCENZA L’UOMO SI TROVA LIBERATO DAI LEGAMI DELLA MATERIA E DELL’ESISTENZA INDIVIDUALE, NON È PIÙ SOGGETTO ALLA DOMINAZIONE DEL «PRINCIPE DI QUESTO MONDO», EGLI NON APPARTIENE PIÙ ALL’IMPERO DEL DEMIURGO.
Da quanto detto in precedenza risulta che l’uomo, nella sua esistenza terrestre, può liberarsi dal dominio del Demiurgo e che questa liberazione si opera mediante la Gnosi, cioè mediante la Conoscenza integrale. Tale Conoscenza non ha niente in comune con la scienza analitica e non la presuppone per nulla. È un’illusione troppo diffusa ai giorni nostri credere che si possa arrivare alla sintesi totale attraverso l’analisi; al contrario, la scienza è del tutto relativa e, limitata com’è al solo Mondo tangibile, non esiste più di quanto esista quest’ultimo, dal punto di vista universale.
D’altra parte dobbiamo anche notare che i differenti Mondi, o secondo l’espressione generalmente ammessa, i diversi piani dell’Universo, non sono affatto luoghi o regioni, ma modalità dell’esistenza o stati dell’essere. Il che permette di comprendere come un uomo vivente sulla terra possa, in realtà, appartenere non soltanto al Mondo tangibile, ma al Mondo psichico o anche al Mondo pneumatico. Ed è questo che costituisce la «seconda nascita»; tuttavia, essa corrisponde propriamente parlando solo alla nascita al Mondo psichico, mediante la quale l’uomo diventa cosciente in entrambi questi due piani, ma senza accedere ancora al Mondo pneumatico, cioè senza identificarsi allo Spirito universale. Quest’ultimo viene raggiunto unicamente da chi possiede integralmente la triplice Conoscenza, mediante la quale è per sempre Liberato dalle nascite mortali: è ciò che si intende con l’espressione «solo i Pneumatici sono salvati».
Lo stato degli Psichici non è insomma che uno stato transitorio: è lo stato dell’esser già preparato a ricevere la Luce, pur non percependola ancora, che non ha ancora preso coscienza della Verità una ed immutabile. Parlando di nascite mortali, intendiamo le modificazioni dell’essere, il suo passaggio attraverso forme molteplici e variabili; in ciò non vi è nulla che rassomigli alla dottrina della reincarnazione quale la concepiscono gli spiritisti ed i teosofisti, dottrina della quale un giorno avremo l’occasione di dare maggiori spiegazioni. Il Pneumatico è liberato dalle nascite mortali, è cioè liberato dalla forma, dunque dal mondo demiurgico; egli non è più soggetto al cambiamento e, di conseguenza, egli è non agente; su questo punto ritorneremo più avanti. Lo Psichico, invece, non va oltre il Mondo della Formazione, quello che è designato simbolicamente come il Primo Cielo o la sfera della Luna, donde egli ritorna al mondo terrestre; ciò, in realtà, non significa che assumerà un corpo sulla Terra, ma semplicemente ch’egli dovrà rivestire nuove forme prima di ottenere la Liberazione. Quanto abbiamo sin qui esposto dimostra l’accordo, anzi, l’identità reale, nonostante certe differenze nell’espressione, tra la dottrina gnostica e le dottrine orientali, e più particolarmente con il Vêdânta; il più ortodosso di tutti i sistemi metafisici fondati sul Brahmanesimo. Possiamo quindi completare le nostre considerazioni riguardanti i diversi stati dell’essere con alcune citazioni tratte dal Trattato della Conoscenza dello Spirito di Shankarâchârya:
«Non vi è altro mezzo se non la Conoscenza per ottenere la liberazione completa e finale; essa è il solo strumento che scioglie i legami delle passioni; senza la Conoscenza, la Beatitudine non può esser ottenuta».
«L’azione, non opponendosi all’ignoranza, non può rimuoverla; ma la Conoscenza dissolve l’ignoranza così come la Luce dissipa le tenebre».
L’ignoranza è qui lo stato dell’essere avvolto nelle tenebre del Mondo tangibile, legato all’apparenza illusoria della Materia e alle distinzioni individuali; come abbiamo già visto, tutte queste illusioni scompaiono per mezzo della Conoscenza, la quale non appartiene affatto al dominio dell’azione e le è superiore.
«Quando l’ignoranza che nasce dagli attaccamenti terrestri viene allontanata, lo Spirito brilla di splendore suo proprio in uno stato indiviso, così come il sole risplende nel cielo allorquando le nubi si sono disperse».
Ma, prima di pervenire a questo grado, l’essere passa attraverso uno stato intermedio, quello corrispondente al Mondo psichico, ove egli non crede più di essere il corpo materiale bensì l’anima individuale; nondimeno la distinzione continua per lui a sussistere, poiché non è ancora uscito dal dominio del Demiurgo.
«Immaginando d’essere l’anima individuale, l’uomo è colto dalla paura, come chi per errore scambia un pezzo di corda per un serpente; tuttavia il suo timore viene allontanato dalla percezione che egli non è l’anima, ma lo Spirito universale».
Colui che ha preso coscienza dei due Mondi manifestati, cioè del Mondo tangibile, ossia l’insieme delle manifestazioni grossolane a materiali, e del Mondo psichico, ossia l’insieme delle manifestazioni sottili, è un «nato due volte», Dwija; ma colui che è cosciente dell’Universo non-manifestato o del Mondo senza forma, cioè del Mondo pneumatico, e che è arrivato alla identificazione di se stesso con lo Spirito universale, Âtmâ: quegli solo può esser chiamato Yogi, cioè «unito» allo Spirito universale.
«Lo Yogi, il cui intelletto è perfetto, contempla tutte le cose in quanto facenti parte di se stesso, e così, con l’occhio della Conoscenza, percepisce che ogni cosa è Spirito».
Notiamo per inciso che il Mondo tangibile viene paragonato allo stato di veglia, il Mondo psichico allo stato di sogno, ed il Mondo pneumatico allo stato di sonno profondo.
Al di sopra dell’Universo pneumatico, secondo la dottrina gnostica, vi è il Pleroma, il quale può esser inteso come costituito dall’insieme degli attributi della Divinità. Esso non è un quarto Mondo, ma lo Spirito universale stesso. Principio supremo dei Tre Mondi, né manifestato, né non-manifestato, indefinibile, inconcepibile e incomprensibile. Lo Yogi, o il Pneumatico, che sono in fondo la stessa cosa, si percepisce, non più come una forma grossolana, né come una forma sottile, ma come un essere senza forma; egli si identifica allora allo Spirito universale, stato che è così descritto da Shankarâchârya:
- Egli è Brahma, dopo il cui possesso non vi è più nulla da possedere; dopo il godimento della cui felicità non v’è altra felicità che possa esser desiderata; e dopo l’ottenimento della cui conoscenza non v’è altra conoscenza che possa esser ottenuta.
- Egli è Brahma, la cui vista elimina quella di ogni altro oggetto, l’identificazione con il quale impedisce ogni ulteriore nascita, dopo la cui percezione, non v’è più nulla da percepire.
- Egli è Brahma, che è dovunque: nello spazio mediano, in ciò che gli è superiore ed in ciò che gli è inferiore. Egli è il Vero, il Vivente, il Beato, senza dualità, indivisibile, eterno ed unico.
- Egli è Brahma, senza dimensioni, increato, incorruttibile, senza forma, senza qualità o caratteristiche.
- Egli è Brahma, dal quale tutte le cose sono illuminate, la cui luce fa brillare il sole e gli altri corpi luminosi, ma che non è punto reso manifesto dalla loro luce.
- Egli stesso penetra la sua propria essenza eterna e contempla il Mondo intero apparendo come Brahma.
- Brahma non rassomiglia affatto al Mondo, e al di fuori di Brahma non vi è nulla; tutto ciò che sembra esistere al di fuori di Lui è un’illusione.
- Di tutto quanto viene visto, di tutto quanto viene udito, nulla esiste che non sia Brahma, e, mediante la conoscenza del Principio, Brahma viene contemplato come l’Essere vero, vivente, beato, senza dualità.
- L’occhio della Conoscenza contempla l’Essere vero, vivente, beato, che tutto penetra; ma l’occhio dell’ignoranza non può scoprirlo, né percepirlo, come il cieco non può vedere la luce.
- Quando il Sole della Conoscenza spirituale sorge nel cielo del cuore, esso scaccia le tenebre e tutto penetra abbracciando ed illuminando ogni cosa.
Facciamo notare che il Brahma di cui si parla qui è il Brahma superiore, da non confondere con il Brahma inferiore, il quale non è altro che il Demiurgo, considerato come riflesso dell’Essere. Per lo Yogi, non vi è che il Brahma superiore, che contiene tutte le cose e al di fuori del quale non v’è nulla: per lui, il Demiurgo e la sua opera di divisone non esistono più.
«Colui che ha compiuto il pellegrinaggio del suo proprio spirito, un pellegrinaggio che nulla ha a che vedere con lo spazio e con il tempo, un pellegrinaggio che si svolge dappertutto, nel quale non si prova né il freddo, né il caldo, che procura una felicità perpetua e una liberazione da ogni pena: quegli è senza azione, conosce tutte le cose, ed ottiene l’eterna Beatitudine».
Dopo aver esposto le caratteristiche dei tre Mondi e degli stati dell’Essere che vi corrispondono, ed aver indicato, per quanto possibile, che cosa sia l’essere liberato dalla dominazione demiurgica, dobbiamo nuovamente ritornare sulla questione della distinzione tra il Bene ed il Male, onde vedere quali conseguenze possano trarsi da queste ultime considerazioni.
Di primo acchito si potrebbe esser tentati di pensare così: se la distinzione tra il Bene ed il Male è illusoria, se essa in realtà non esiste, lo stesso può dirsi della morale, poiché la morale si fonda proprio su tale distinzione. Ma sarebbe andar troppo lontano. La morale esiste, ma nella stessa misura in cui esiste la distinzione tra il Bene ed il Male, cioè relativamente al dominio del Demiurgo, mentre dal punto di vista universale, essa non ha alcuna ragione d’essere.
INFATTI LA MORALE PUÒ TROVARE APPLICAZIONE SOLO NELL’AZIONE; L’AZIONE PRESUPPONE IL CAMBIAMENTO, IL QUALE NON È POSSIBILE CHE NEL FORMALE O NEL MANIFESTATO; PER CONTRO, IL MONDO SENZA FORMA È IMMUTABILE, SUPERIORE AL CAMBIAMENTO, E QUINDI ANCHE ALL’AZIONE, PERCIÒ L’ESSERE CHE NON APPARTIENE PIÙ ALL’IMPERO DEL DEMIURGO È SENZA AZIONE.
Ciò dimostra che occorre fare molta attenzione a non confondere i diversi piani dell’Universo, perché quel che si afferma a proposito di un piano può non esser vero per un altro. Ad esempio, la morale esiste necessariamente nel piano sociale, che è essenzialmente il dominio dell’azione, mentre non se ne può più parlare quando si passa a considerare il piano metafisico o universale, poiché allora non v’è più alcun genere di azione. Chiarito questo punto, dobbiamo far rilevare che l’essere che è superiore all’azione possiede tuttavia la pienezza dell’attività; ma si tratta di un’attività potenziale, quindi di un’attività che non si esplica in azioni. Questo essere non è affatto immobile, come a torto si potrebbe dire, ma immutabile, cioè superiore al cambiamento. In effetti, egli si identifica con l’Essere, il quale è sempre identico a se stesso conformemente all’espressione biblica: «L’Essere è l’Essere». Il che ci induce ad un accostamento con la dottrina taoista, secondo la quale l’attività del Cielo è non-agente: il Saggio, in cui si riflette l’Attività del Cielo, si attiene al non-agire. Tuttavia questo Saggio, che in precedenza abbiamo chiamato Pneumatico o Yogi, può presentare le apparenze dell’azione, così come la Luna può assumere le apparenze del movimento allorquando le nubi le passano davanti, ma il vento che sospinge le nubi non ha influenza alcuna sulla Luna. Similmente, l’agitazione del Mondo demiurgico non influisce sul Pneumatico, e, a questo proposito, possiamo ancora citare alcuni passi di Shankarâchârya:
- Lo Yogi, avendo attraversato il mare delle passioni, si unisce alla Tranquillità e si allieta nello Spirito.
- Avendo rinunciato ai piaceri offerti dagli oggetti perituri e godendo delle delizie spirituali, egli è calmo e sereno come la fiamma di una lampada, e si delizia nella sua propria essenza.
- Durante la sua permanenza nel corpo, non è modificato dalle proprietà di questo, così come il firmamento non è turbato dal movimento che si svolge nel suo seno; conoscendo tutte le cose, le contingenze non lo toccano.
Possiamo così comprendere il vero significato della parola Nirvâna, di cui sono state date tante e così false interpretazioni. Essa significa letteralmente «CESSAZIONE DEL SOFFIO E DELL’AGITAZIONE», dunque lo stato di un essere che non è più soggetto all’agitazione, che è definitivamente libero dalla forma. Un errore molto diffuso, almeno in Occidente, è quello di ritenere che non vi sia più nulla quando si sia in assenza di una forma, mentre, in realtà, la forma è nulla e l’informale è tutto; per cui il Nirvâna, lungi dall’essere l’annientamento, come hanno preteso certi filosofi, È AL CONTRARIO LA PIENEZZA DELL’ESSERE. Da tutto quanto abbiamo sinora esposto si potrebbe concludere che non occorra affatto agire; ma ciò è ancora inesatto, se non in principio, almeno nell’applicazione che se ne vorrebbe fare. Infatti l’azione è propriamente la condizione degli esseri individuali appartenenti all’Impero del Demiurgo. Il PNEUMATICO, o il SAGGIO, è in realtà senza azione, ma, risiedendo in un corpo, è del tutto simile agli altri uomini; tuttavia sa che si tratta solo di un’apparenza illusoria, e ciò è sufficiente affinché egli sia realmente affrancato dall’azione, poiché È MEDIANTE LA CONOSCENZA CHE SI OTTIENE LA LIBERAZIONE. Essendo affrancato dall’azione, non è più soggetto alla sofferenza; questa non è che un risultato dello sforzo, ed è in ciò che consiste la cosiddetta imperfezione, anche se in realtà non vi è nulla di imperfetto. È evidente che l’azione non può esistere per colui che contempla tutte le cose in se stesso, come esistenti nello Spirito universale, senza che vi si distinguano oggetti individuali, così come è espresso dalle seguenti parole dei Vêda:
- Gli oggetti differiscono solamente per i loro nomi, accidenti e designazioni, così come le suppellettili ricevono nomi differenti, sebbene siano in realtà solamente diverse forme di terra. La terra, principio di tutte queste forme, è di per se stessa senza forma, ma tutte le contiene in potenza: tale è anche lo Spirito universale.
L’azione implica il cambiamento, cioè la distruzione incessante di forme che scompaiono per essere sostituite da altre: tali sono le modificazioni che noi chiamiamo nascita e morte, cioè i molteplici cambiamenti di stato che devono essere attraversati dall’essere che non ha ancora raggiunto la liberazione o la «trasformazione» finale, parola, questa, da intendersi nel suo significato etimologico, che è quello di PASSAGGIO AL DI LÀ DELLA FORMA. L’attaccamento alle cose individuali, o alle forme transitorie e periture è proprio dell’ignoranza; le forme non sono niente per l’essere che è liberato dalla forma, ed è per questo motivo che egli, anche durante la permanenza nel corpo, non è modificato dalle proprietà di quest’ultimo.
- Così egli si muove, libero come il vento, poiché i suoi movimenti non sono ostacolati dalle passioni.
- Quando le forme sono distrutte, lo Yogi entra, con tutti gli esseri, nell’Essenza che tutto penetra. Egli è senza qualità e senza azione; imperituro, senza volizione; felice, immutabile, eternamente libero e puro.
- Egli è come l’etere che è diffuso dappertutto, e che penetra nel contempo l’esterno e l’interno delle cose; egli è incorruttibile, imperituro; egli è sempre lo stesso in tutte le cose, puro, impassibile, senza forma, immutabile,
- Egli è il supremo Brahma, che è eterno, puro, libero, solo, incessantemente colmo di beatitudine, senza dualità, Principio di ogni esistenza, e senza fine.
Questo è lo stato al quale perviene l’essere mediante la Conoscenza spirituale, liberato per sempre dalle condizioni dell’esistenza individuale, liberato cioè dall’Impero del Demiurgo.
Fonte: Considerazioni sulla via iniziatica di René Guénon
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