Castel Sant’Angelo è un luogo mitico che resiste al passare del tempo. Il monumento in parola, situato in posizione pittoresca, tra il lungotevere e la basilica di San Pietro, è uno tra i posti più emblematici di Roma che ha subìto molteplici trasformazioni attraverso i secoli, grazie soprattutto alla varietà delle funzioni a cui è stato destinato.
Al giorno d’oggi, Castel S. Angelo ci appare come un’inespugnabile fortezza, ma un tempo fu progettato dall’imperatore Adriano, come edificio destinato a diventare la sua tomba, con il nome di di “Mole Adriana”, in lingua latina conosciuta anche come “Hadrianeum”. Essa fu iniziata nel 123 d.C. ed accolse tutte le salme dei membri delle famiglie imperiali fino a Caracalla, più di un secolo dopo. La fortezza che ammiriamo oggi è soltanto una parte della costruzione originaria e bisognerebbe compiere uno sforzo di immaginazione non indifferente, per riuscire a concepire lo splendore iniziale. Nonostante ciò, dall’antichità ci è pervenuta qualche preziosa testimonianza, come quella dello storico bizantino Procopio, vissuto nel VI secolo, che fornì una descrizione abbastanza precisa di come si presentava l’imponente mausoleo, nel periodo della sua vita. L’edificio era strutturato su un basamento quadrato, sul quale sorgeva una grande torre formata da colonne doriche, a cui si aggiungevano statue e spazi per gli epitaffi degli individui sepolti. Sulla cima della costruzione si distingueva un gruppo statuario colossale in bronzo che rappresentava l’imperatore filosofo Adriano in una quadriga. Ricordiamo che proprio sotto il suo “imperium” la scultura e l’architettura romana, tradizionalmente legate a schemi più sobri, si avvicinarono maggiormente allo stile ellenico. Procopio racconta che tutte le mura del Mausoleo erano ricoperte di marmo pario, rivaleggiando con il Colosseo, per acquisire la dignità di monumento maggiormente emblematico della città eterna.
Tramontato l’impero romano d’occidente e, di seguito, esauritasi l’effimera restaurazione bizantina nella penisola italiana, dopo l’epoca di Procopio, la storia dell’Hadrianeum seguì quella della città di Roma, affrontando il periodo confuso del Medioevo, i fasti della corte papale rinascimentale, fino allo scempio del “sacco della capitale”, tragico evento del 1527. Ai fini del successivo utilizzo della costruzione da parte dei papi, è necessario precisare che già l’imperatore Aureliano nel 275 e, ancora di più, Onorio nel 403, si preoccuparono di fortificare il Mausoleo, in modo che formasse un vero e proprio bastione, come baluardo della riva occidentale del fiume Tevere. Tale vocazione strategica si mostrò palpabile fin dalla prima discesa dei barbari, guidati da Alarico nel 410.
Originariamente sembra che la costruzione avesse ben 6 torri, provviste di 164 merli, 14 piazzole per le artiglierie e 18 feritoie. Gli storici ritengono che fu trasformato in una sorta di castello nel corso del X secolo, quando rientrò nei possedimenti di Alberico e di sua madre Marozia, esponenti di una potente famiglia di Roma. Successivamente fu acquistato dalla famiglia dei Crescenzi, per poi essere occupato nel 1277 da papa Niccolò III che unì l’edificio al Vaticano mediante il noto “passetto”, quell’originale percorso disegnato al di sopra delle mura di cinta del Vaticano. Tale percorso rappresentava un vero e proprio corridoio fortificato che permetteva ai pontefici di spostarsi direttamente dai Palazzi Vaticani al Castello. Possiamo dire che alla fine del XIII secolo iniziò a configurarsi l’edificio con lo stesso aspetto che conosciamo oggi. Da allora il “Castello” fu adoperato dai papi come fortezza, come luogo di rappresentanza, ma soprattutto come prigione e luogo dove venivano esercitate le più atroci torture.
Ci dobbiamo chiedere ora, da dove provenga l’odierna denominazione di “Castel S.Angelo”? Sembra che tale appellativo risalga al XII secolo, fondando le proprie origini su una leggenda molto più antica. Si racconta, infatti, che durante una solenne processione condotta da papa Gregorio Magno (poi santificato) allo scopo di pregare la Vergine Maria, affinchè eliminasse la peste che stava funestando la città, apparve un angelo nel cielo che si posò sulla sommità del mausoleo, rimettendo la spada nel fodero per segnalare che la grazia sarebbe stata esaudita. A quel punto, si pensò di erigere una cappella in onore dell’Angelo e, per rafforzare la devozione popolare, anche una statua ad eterna memoria del miracolo celeste. Il Castello, tuttavia, ha ben poco di soave e di celeste, in quanto legato a tanti episodi di sangue e di violenti delitti, come la prigionia di Clemente VII, mentre la città era messa a ferro e fuoco dalle truppe guidate da Carlo V .
Per quanto riguarda la struttura, una panoramica generale dell’edificio ci rivela cinque distinti piani, partendo dal primo piano, o pianterenno, da cui parte la suggestiva rampa elicoidale, lunga ben 125 metri, uno dei resti originari dell’antica costruzione romana. Superata la rampa, continuando a salire sul lato sinistro attraverso la condotta di Alessandro VI, si arriva direttamente al terzo piano nel Cortile dell’Angelo. Il secondo piano è, invece, chiamato anche “piano delle prigioni” e vi si accede, scendendo dal cortile di Alessandro VI, collocato nel piano superiore. In questa area del castello furono rinchiusi personaggi famosi come Arnaldo da Brescia e Benvenuto Cellini, a differenza di altre lugubri celle, dette “prigioni storiche”, che videro l’agonia di soggetti meno illustri, le cui orrende condizioni di isolamento si possono ancora oggi intuire dalla triste atmosfera che si respira. Il terzo piano ha un volto diverso e, per la sua specifica funzione, è denominato anche “piano militare”. Qui si trovano due cortili di pregevole fattura: il primo è appunto il “Cortile dell’Angelo”, con al centro l’Angelo di marmo elaborato da Raffaello da Montelupo che fino al 1752 era collocato sulla cima del castello; il secondo è il cortile di Alessandro VI, lo spregiudicato papa Borgia, che presenta al suo interno un bel pozzo risalente al XVI secolo. Nelle stanze che si affacciano su entrambi i cortili sono state allestite mostre militari a tema, a secondo del periodo storico di riferimento. Una menzione particolare merita il “bagno di Clemente VII”, impreziosito dagli affreschi di Giulio Romano e a cui si accede salendo attraversando un’angusta saletta. Il quarto piano non a caso è denominato “piano papale”, in quanto comprende le opere più importanti del “Castello”, tra cui spiccano la loggia di Giulio II, progettata dal Sangallo e situata nella parte frontale dell’edificio, nonchè il sontuoso appartamento papale, formato da stupendi saloni, arricchiti dagli affreschi del già menzionato Giulio Romano, di Perin del Vaga e di altri pittori della scuola di Raffaello. Uno dei luoghi più misteriosi del “Castello” è senza dubbio la “Sala del Tesoro” o “dell’archivio segreto”, ancora oggi arredata con armadi che risalgono al pontificato di Paolo III dove, secondo fonti più che attendibili, erano custoditi documenti riservati e segreti, in grado di minare la già traballante credibilità del Vaticano. Ed è proprio questo ambiente il fulcro dell’intera costruzione, in quanto, unitamente alla sovrastante sala rotonda, avrebbe dovuto costituire il nucleo sepolcrale della salma dell’imperatore Adriano. Sempre al quarto piano, si trova la Sala “Cagliostra”, dove sembra sia stato imprigionato il celebre e controverso alchimista nel XVIII secolo e la Sala Paolina, detta anche del “Consiglio”, piena di straordinarie decorazioni, opera di Perin del Vaga che raffigurano le gesta di Alessandro Magno, le imprese di Adriano e la missione dell’Arcangelo Michele. Al quinto piano troviamo la grande terrazza, sulla quale svetta la magnifica statua dell’ angelo di bronzo di Verschaffelt compiuta nel 1753 e restaurata da pochi anni. E’ forse superfluo rammentare che da questa terrazza è possibile ammirare uno dei più suggestivi panorami della città eterna.
L’incantevole scenario di Caste Sant’Angelo è strettamente legato al ponte omonimo, un tempo denominato “ponte Elio” e fondato nel 134 d.C,, sempre sotto l’imperium di Adriano. Appena dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, il nome del ponte cambiò in “ponte San Pietro”, in quanto costituiva l’unico accesso per accedere alla basilica vaticana, ma nel 590 assunse il nome attuale, a seguito della presunta visione leggendaria dell’angelo già illustrata in precedenza. Nel 1533 sul ponte furono erette le statue di San Pietro e di San Paolo, per mano rispettivamente del Lorenzetto e del Taccone, al posto di due cappelline in procinto di crollare edificate tanto tempo prima. Tre anni dopo, Paolo III commissionò a Raffaello da Montelupo l’incarico di arricchire il ponte con otto statue che raffigurassero i quattro evangelisti ed i quattro principali patriarchi biblici, ma tali statue andarono ben presto distrutte. Negli anni 1668-1669, in piena epoca barocca, papa Clemente IX affidò al Bernini un’ambiziosa opera di restauro generale del ponte. Il nuovo progetto comportò la chiusura dei parapetti che furono sostituiti da balaustrate di pietra e da cancellate di ferro, affiancando alle due statue originarie e superstiti, altre suggestive opere che rappresentavano gli angeli con i simboli della Passione di Cristo. Prendendo come punto di partenza il lato opposto al Castello, dopo le statue di San Pietro e di San Paolo, è possibile ammirare: l’Angelo del flagello, l’Angelo che porta in mano la corona di spine, l’Angelo con la veste e con i dadi, l’Angelo con la croce, l’Angelo con il cartiglio, l’Angelo con la spugna, l’Angelo con la lancia, l’Angelo con i chiodi, l’Angelo con il Volto Santo di Gesù e l’Angelo con la colonna. Per quanto riguarda la simbologia delle statue, una particolare menzione meritano quelle di San Pietro e Paolo: il primo santo tiene le chiavi del cielo, mentre il secondo impugna una spada, così come spesso raffigurati nell’iconografia tradizionale. Nello specifico, a San Paolo si attribuisce spesso il simbolo della “spada”, in quanto lui stesso, nel testo della lettera agli Efesini, adoperò l’oggetto come emblema della strenua lotta contro le forze del male. Le incisioni latine alla base delle due precitate statue si articolano rispettivamente: “hinc humilibus venia” ed “hinc retributio superbis”, a significare che il transito per quel ponte dovrà rendere giustizia agli umili e ai superbi, a seconda dei loro comportamenti. Come già accennato prima, ciascuno degli angeli collocati sul ponte porta gli strumenti della passione, anche se le incisioni alla base delle statue sono ricavate dall’Antico Testamento, ad eccezione di quelle poste sotto l’angelo con la tunica e l’angelo con i chiodi, estrapolate l’una dal Vangelo di Matteo e l’altra dal testo denominato “vexilia regis”.
La bellezza struggente degli angeli ed i loro compito di custodi della fede stride senza dubbio con l’opulenza della Chiesa rinascimentale e barocca, fino ad arrivare ai tanti scandali che ne hanno deturpato l’immagine negli ultimi decenni. Ma il comprensorio formato dal Castello e dal ponte omonimo rimane magico e intriso di energia cosmica, sia per i fautori del pensiero religioso che per i seguaci dell’epistemologia laica.
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