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Cartesio, il Dubbio come Base della Conoscenza

Il francese Renè Descartes, italianizzato in Cartesio, fu nella prima metà del Seicento, il riconosciuto fondatore della filosofia e della matematica moderne. Cartesio è, a giusta ragione, considerato uno dei padri della filosofia moderna, al quale si deve soprattutto il tentativo di applicare un metodo matematico alle speculazioni filosofiche. Egli, infatti, ricerca il concetto di “mathesis universalis” (matematica universale), per rilanciare una ricerca che parta da una scienza matematica e che comprenda in sé già una sintesi di aritmetica e di geometria. E nella notte del 10 novembre 1619, Cartesio racconta di aver scoperto le “mirabilis scientiae fundamenta” (le fondamenta della scienza straordinaria), attribuendo ad essa il triplice significato di: a) fondamentale complesso della scienza; b) riconciliazione e ritrovata unità tra filosofia e scienza; c) una specie di investitura divina  di formare la nuova scienza, collegata allo sviluppo della speculazione filosofica. Per il pensatore francese, il problema fondamentale è di carattere gnoseologico-metodologico, nella distinzione delle diverse discipline scientifiche, arrivando ad affermare nella sua opera “Regole per la direzione dell’ingegno”, che esse sono così connesse fra loro che è molto più semplice analizzarle nel loro complesso che separandole l’una dall’altra. La definizione cartesiana di metodo è ancora oggi una di quelle di carattere più paradigmatico, utilizzata anche nelle definizioni accademiche: “tutto il metodo consiste nell’ordine e nelle disposizioni di ciò cui deve essere rivolto l’acume della mente per trovare una qualche verità”. In particolare, Cartesio tende a risolvere la questione del metodo, abbracciando quattro regole fondamentali: la necessità dell’evidenza, l’obbligo dell’analisi, l’ordine argomentativo o sintesi e l’enumerazione completa. Da ciò sviluppa l’importante questione del “dubbio metodico”, con particolare riferimento all’evidenza e del dovere dello studioso di sottoporre un determinato concetto ad un’implacabile critica costruttiva, che possa consentire di ritenere una conclusione talmente evidente e, pertanto, al riparo da ogni dubbio. Va da sé che per Cartesio il carattere dell’indubitabilità rappresenta il profilo negativo dell’evidenza, i cui principi ispiratori sono la chiarezza e la distinzione. Egli è il primo pensatore che introduce “l’esercizio del dubbio” come tappa obbligatoria dell’intero processo di riflessione, arrivando alla famosissima definizione “cogito ergo sum” che, molto spesso, è liquidata nel linguaggio comune con la letterale traduzione “penso quindi sono”. In realtà, il significato della definizione è molto più profondo, perché vuole implicare la stessa evidenza della propria esistenza come qualcosa di pensante.  Nelle “Meditazioni Metafisiche”, Cartesio utilizza un’immagine iperbolica del dubbio, identificandolo  addirittura come un  “genio maligno” che è capace di deformare ogni  apparente certezza ed ogni pensiero. Questa immagine così forte e suggestiva serve proprio a rinsaldare la convinzione del “cogito”, del pensiero, in quanto lo stesso dubbio che ne deriva non fa altro che confermare l’esercizio del pensiero di colui che è ingannato. La totalità del giudizio umano, per il filosofo, si compone delle due facoltà classiche dell’intelletto e della volontà, seguendo la strada tracciata dal pensiero occidentale. Cartesio cerca di risolvere il problema della fallibilità del giudizio umano, attribuendola all’eventuale prevaricazione della volontà sull’intelletto, come se si trattasse di una sorta di “guasto” nella mente umana che spingerebbe, talvolta, la volontà ad andare oltre quanto prescritto dall’intelletto. Nei suoi passaggi successivi, è possibile ravvisare una notevolissima nota di modernità del pensiero e di superamento della tradizionale prospettiva aristotelica. Cartesio, infatti, operando la distinzione tra “res cogitans” e “res extensa”, intuisce come il mondo fenomenico può essere determinato solo all’interno della mente dell’uomo, perdendo di valore se considerato al di fuori della nostra possibilità di conoscenza. Si possono notare già alcune riflessioni che saranno meglio esplicitate da Kant più di un secolo dopo, come lo scarto tra realtà fenomenica e noumenica. La separazione tra “res cogitans” e “res extensa” è alla base della concezione antropologica di Cartesio che concepisce l’uomo come segnato dal dualismo, spirito e materia. D’altra parte, il suo grande interesse per gli studi medici, lo portò ad affermare che l’uomo è, comunque, un tutt’uno con il suo corpo e di cui non può fare a meno, allontanandosi da concezioni neoplatoniche che, nella sua epoca ed in quella immediatamente precedente, si erano diffuse nell’intera Europa. Rimane abbastanza complicata la soluzione della questione dell’interazione dell’anima con il corpo, anche se Cartesio cerca di rimediare, individuando nella “ghiandola pineale” il punto di contatto fra le due dimensioni. Ma lui stesso, con grande onestà intellettuale, afferma che si tratta di una ricostruzione alquanto visionaria, in quanto non si spiegherebbe come fa l’anima, assolutamente incorporea, ad agire su un’entità materiale come il corpo. Parimenti complessa è la spiegazione di Cartesio dell’esistenza di Dio che, pur partendo da premesse aristoteliche e della Scolastica, le plasma in relazione al suo complessivo pensiero. Per il filosofo, la consapevolezza della finitezza esistenziale dell’uomo e della sua relativa imperfezione determinerebbe, per contrasto, l’idea di Dio infinito ed assolutamente perfetto. Cartesio afferma che la prova dell’esistenza di Dio sarebbe chiara e distinta, poiché non vi sarebbe nulla di più evidente, per la nostra mente, di concepire un essere sovrano e perfetto che implica necessariamente l’idea di eternità. Si tratta di una teologia filosofica che sarà criticata in maniera aspra dai pensatori successivi che gli rimprovereranno di aver operato una ricostruzione strumentale e con il grave difetto di presentare una frattura, almeno in apparenza insanabile, tra soggettività ed oggettività. Nell’etica cartesiana, invece, la ricerca della felicità è percorribile, con la pratica di una vita virtuosa ed attraverso il controllo delle proprie passioni: si intuiscono componenti di origine stoicistica nel pensiero cartesiano. Una particolarità è rappresentata dalla cosiddetta “morale provvisoria”, così come denominata dallo stesso filosofo, che dovrebbe caratterizzare l’uomo mentre si attua il processo di rifondazione del sapere, come una specie di alloggio temporaneo che andrebbe occupato, mentre si demolisce la vecchia casa e se ne ricostruisce un’altra. Cartesio avrebbe giustificato questa sua scelta tattica, perché altrimenti sarebbe stato accusato di vivere senza religione e senza fede, tradendo, comunque, uno scarso interesse per l’intera sfera morale. Le tre massime della “morale provvisoria” possono essere riepilogate in: a) obbedire alle leggi e ai costumi del proprio paese, conservandone la fede religiosa acquisita; b) agire con la più risolutezza possibile e di seguire con costanza le stesse opinioni più dubbie come fossero state certissime; c) cercare sempre di vincere se stesso piuttosto che la fortuna, e di mutare i propri desideri piuttosto che l’ordine del mondo. In sintesi, per Cartesio, la condotta morale di ciascun individuo deve essere orientata alla ricerca della felicità, intesa come beatitudine e non come ricerca sfrenata dei piaceri personali, come da lui stesso affermato “la virtù sola basta a renderci felici in questa vita”. Nella comprensione di Cartesio, per l’approfondimento del quale si rimanda ovviamente a testi più specifici e dettagliati, mi preme sottolineare l’importanza della sua ricerca sempre pronta a mettersi in gioco, mai paga, rivolta sempre alla costruzione di un sistema coerente, in un accrescimento progressivo ed in una continua rivisitazione delle proprie posizioni. In estrema sintesi, l’impostazione metodologica di Cartesio ci insegna che il dubbio rappresenta più un alleato che un avversario, in ogni processo di crescita formativa della nostra esistenza.

 

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cartesio conoscenza dubbio fenomeni Filosofia gnoseologia morale pensiero realtà stoicismo teologia 2020-03-24

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Luigi Angelino
Pubblicato da: Luigi Angelino
Luigi Angelino ha conseguito la maturità classica a Napoli e poi la laurea in giurisprudenza presso l'Università Federico II. A seguire, ha ottenuto l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte di Appello di Roma ed un master di secondo livello in diritto internazionale presso l'Università di Roma tre. Non ha mai abbandonato la passione per le materie classiche, filosofiche e teologiche, conseguendo una laurea magistrale in scienze religiose. Ha pubblicato un romanzo di ampio respiro con la Cavinato editore international dal titolo "Le tenebre dell'anima" nel 2017, che è stato tradotto con il titolo "The darkness of the soul". Nel 2018 ha pubblicato un libro sui grandi misteri religiosi, filosofici e di costume dal titolo "I Miti- luci e ombre". Nel 2019 ha pubblicato il thriller filosofico "La redenzione di Satana-Apocatastasi" e la raccolta di racconti/saggi "Ritratti mortali" con Elisabetta Munerato. Nel gennaio 2020 ha pubblicato "L'arazzo dell'Apocalisse di Angers: una testimonianza fra Cielo e Terra". Ha, inoltre, collaborato al libro auralcrave "Il sipario strappato" e nel 2020 ha pubblicato il saggio "Pandemia-il mondo sta cambiando", il racconto "Anna", dedicato a sua madre ed il libro auralcrave "Viaggio nei luoghi più affascinanti d'Europa". Scrive, inoltre, per alcuni importanti blog culturali.

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