Nana e Lulu, le prime bambine progettate geneticamente.
PECHINO. “Due bambine cinesi, Lulu e Nana, sono nate in salute qualche settimana fa”. A darne l’annuncio, se lieto o meno lo capiremo solo in futuro, non sono il papà e la mamma, bensì il genetista cinese He Jiankui in un video pubblicato su YouTube. Perché Lulu e Nana, nomi di fantasia per proteggere la loro privacy, sono i primi due bebé geneticamente modificati a vedere la luce sulla Terra. Il loro Dna, spiega He nel video, è stato alterato con la tecnica di “chirurgia genetica” nota come Crispr, per introdurre nel corredo un gene che le rende più resistenti a una serie di malattie tra cui l’Hiv, da cui è affetto il padre.
Per una delle due, però, la modifica del Dna non sarebbe riuscita. La decisione di voler utilizzare comunque questo embrione, ha detto George Church, dell’Università di Harvard, suggerisce che “l’obiettivo principale dei ricercatori era sperimentare la tecnica di diting del Dna piuttosto che evitare la malattia”. Il genetista Kiran Musunuru, dell’Università della Pennsylvania, ha rilevato che per la bambina che nata da questo embrione non ci sarebbe stato “davvero quasi nulla da guadagnare in termini di protezione contro l’Hiv” e sarebbe inoltre stata “esposta a tanti altri rischi attualmente sconosciuti per la sicurezza”.
Fino ad ora, comunque, la notizia non è stata confermata da fonti scientifiche indipendenti, né pubblicata su riviste di settore, e contattato dai media He Jiankui si è rifiutato di commentare.
Se la notizia fosse vera si tratterebbe di un momento epocale nella storia dell’umanità, dai risvolti etici profondissimi e destinato a scatenare infiniti dibattiti e polemiche. “Sono disposto a ricevere le critiche”, dice He nel video. Quando una équipe di scienziati cinesi fu la prima a sperimentare la tecnica di modificazione genetica Crispr su un embrione umano nel 2015, la reazione della comunità scientifica internazionale fu fortissima con la richiesta di impegnarsi a non usarla mai per una vera gravidanza.
E invece, a dar credito a He e in attesa che la comunità scientifica studi le carte della ricerca, è quello che sarebbe avvenuto negli ultimi mesi alla Southern University of Science and Technology di Shenzhen, dove la tecnica sarebbe stata applicata a sette coppie che si sono rese disponibili. Una normale fecondazione in vitro, spiega lo scienziato, che però di normale non ha nulla. Perché insieme allo sperma di Mark, questo il nome (di fantasia) del padre, verso le uova di Grace è stata indirizzata anche una proteina Crispr/Cas9 con le istruzioni per sostituire il gene (CCR5) con una variante che renderà i bebé più resistenti alle infezioni da Hiv e altre malattie come il colera. Una variazione che avviene già in natura per cento milioni di persone, per lo più in Europa, ma che in questo caso è stata ottenuta artificialmente, prima che l’embrione fosse impiantato nell’utero della donna.
Questa terapia sarebbe destinata a “un ridotto numero di famiglie” ha spiegato He, per evitare il contagio di malattie infettive o geneticamente trasmissibili, come quella di Mark, che ora ha “una nuova ragione per vivere”. Nel caso di Lulu e Nana però il punto non è proteggerle dal contagio attraverso gravidanza, le cui possibilità sono molto basse e contrastabili con terapie tradizionali, bensì da eventuali contatti con il virus durante la loro vita futura. Una precauzione non necessaria, obiettano già in tanti, e che è destinata ad attirare una valanga di critiche per il salto mortale in avanti nella capacità dell’uomo di modificare la vita biologica. Non a caso arriva dalla Cina, Paese il cui rapporto con l’innovazione e le sue implicazioni morali è molto meno problematizzato che in Occidente.
Gli esami fatti finora sul genoma delle due bambine, dice lo scienziato, non hanno mostrato alterazioni significative a parte quella voluta. Ma per capire se ci saranno delle controindicazioni di lungo periodo, per esempio la formazione di tumori, Lulu e Nana, i primi due esemplari dell’uomo che verrà, dovranno essere testate a intervalli regolari.
Fonte: www.laRepubblica.it
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